Agricoltura: le conseguenze delle avverse condizioni metereologiche

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Il cielo della nostra agricoltura è affollato da troppe nubi minacciose; quelle vere, che hanno funestato quest’estate soprattutto nel Nord Italia, hanno aggiunto il loro carico da undici su una crisi di settore per la quale si fatica a trovare soluzioni. Ha piovuto molto, troppo, in buona parte del Nord. Le eccessive precipitazioni, accompagnate da temperature primaverili in pieno luglio, hanno decimato le produzioni e costretto gli agricoltori a spese ulteriori (e spesso inutili) per salvare i raccolti. Il caso dell’uva è emblematico, anche perché la viticoltura è un fiore all’occhiello della nostra economia. Le piogge hanno costretto a ricorrere a trattamenti chimici per preservare l’uva, trattamenti che venivano dilavati poche ore dopo da altre piogge. Che a loro volta creavano muffe o danni agli acini. Fatto sta che i migliori produttori vinicoli stanno rinunciando a vinificare certi vini al top della qualità, che appunto abbisognano di uve nelle migliori condizioni: vedi certi forfait a produrre il pregiato Amarone nel Veronese. Un danno economico da milioni di euro. La frutticoltura, poi… Frutta danneggiata o insapore, consumi – già in crisi di per sé – in picchiata: se fa freddo, è difficile acquistare angurie, meloni, pesche. Prezzi pertanto in caduta libera, con gli agricoltori che faticano a coprire i costi. Se non li coprono, la frutta rimane sull’albero o a terra. Ci si è messo infine Putin ad ingarbugliare una situazione già difficile, con il pretestuoso blocco delle importazioni di frutta (ritorsione contro le nostre minacciate sanzioni pro-Ucraina) che hanno fermato alla frontiera non solo i nostri tir carichi di pesche, ma pure quelli polacchi strapieni di mele. Tutta frutta tornata indietro ad intasare vieppiù un mercato i cui prezzi già erano in caduta libera: un grosso esportatore del Nordest ha tenuto diversi camion frigoriferi a girare attorno alla frontiera russa per alcuni giorni, nella speranza che qualcosa si sbloccasse, e per le pressioni di chi temeva il ritorno di quei prodotti nel nostro mercato. colture danneggiateAggiungiamoci una concorrenza che mai come quest’anno è stata devastante: le arance e le pesche spagnole arrivano a prezzi concorrenziali, le ciliegie e le albicocche turche non hanno avuto rivali, e così via. Chiudiamo con una grande distribuzione che detta legge unilateralmente ormai da anni: il prezzo lo fa chi acquista, e sono prezzi veramente miseri, soprattutto se confrontati con quelli che i consumatori si ritrovano dentro i supermercati: normalmente, il quadruplo. Rimedi? Ce ne sarebbero, in teoria. È assodato che il piccolo coltivatore, ma pure la piccola organizzazione di produttori hanno ormai il fiato corto. Ci vogliono spalle larghe, capacità di fare massa critica, di seguire le richieste del mercato (non solo quello nazionale), di innovare perché anche le campagne devono stare al passo con i tempi. Tra l’altro, prima o poi bisognerà affrontare il tema degli Ogm senza isterie e pregiudizi. E sfatiamo il mito delle produzioni doc, delle nicchie di estrema qualità, dell’autoctono da tutelare e valorizzare: tutte ottime cose, per carità; tutte eccellenze che non devono però far dimenticare di essere appunto nicchie, piccole cose dietro le quali ci stanno allevamenti assediati dalla carne tedesca o polacca; olio i cui costi sono il doppio degli altri olii mediterranei; campi di mais in concorrenza con quello Ogm americano; piantagioni di pomodori che devono da una parte dare reddito a chi le segue, dall’altra affrontare la spietata concorrenza cinese di salse che costano meno della metà delle nostre. Ci sarebbe tutto il discorso della salubrità e della qualità, ma le statistiche dicono che ai consumatori d’oggi interessano relativamente: il prezzo prima di tutto. A ben vedere, l’agricoltura italiana soffre degli stessi problemi che attanagliano il resto dell’economia: tanti piccoli produttori magari di grande qualità, ma incapaci di conquistare il mondo, e di non farsi sopraffare da esso. Il mondo cambia: cambiamo prima che ci cambi lui.

NICOLA SALVAGNIN

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