“Amoris laetitia” / Don Antonio Pennisi sullo “stato febbrile” delle famiglie: “Riscoprire l’inno della carità e usare un linguaggio amabile”

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Continuiamo la nostra serie di interviste sull’esortazione apostolica “Amoris laetitia” affidando questa volta il p. Pennisi 1commento a don Antonio Pennisi, direttore dell’Ufficio per la pastorale della famiglia della diocesi di Acireale. Le nostre domande sono scaturite dopo la lettura del capitolo quarto “L’amore nel matrimonio”, definito dal sacerdote “cuore pulsante” dell’esortazione di Papa Francesco. Sposi, fidanzati, integrazione nel tessuto parrocchiale di coppie divorziate e risposate, e poi i consacrati: un’intervista che non ha toccato solo l’argomento famiglia ma che ha voluto “parlare dell’amore” a tutto campo affinché non appaia più come una parola sfigurata ma piuttosto trasfigurata.

 Come definirebbe questa esortazione apostolica?

“Mi piace pensare ad Amoris laetitia come un organismo ben strutturato e il capitolo quarto, che parla proprio dell’amore nel matrimonio, il suo cuore pulsante. Il Papa si rivolge ai giovani, che si preparano a formare una famiglia, e alle coppie di sposi, aiutandoli a recuperare la dimensione della gioia dell’amore, che non è affatto scontata. Il tema del matrimonio non viene affrontato solo come istituzione ma come cuore della scelta, che è l’amore. Nella misura in cui le famiglie, i fidanzati, s’impegnano a prendersi cura l’uno dell’altro, ecco che scaturisce la gioia”.

Oggi la famiglia come sta?

“È in uno stato febbrile e attraversa un periodo oggettivamente di stanchezza anche se ci sono quelle dove traspare la gioia dello stare insieme. Assieme ai miei confratelli osserviamo spesso una difficoltà nel dialogo tra i coniugi, nell’ascoltarsi reciprocamente, il prevalere delle proprie ragioni. Talvolta si assiste a famiglie che fuori presentano armonia ma poi dentro vivono separati. C’è quindi una difficoltà nel comprendersi e nell’usarsi tenerezza”.

Come può la famiglia affrontare e superare questo periodo di stanchezza?

“Riscoprendo l’inno alla carità di San Paolo che, non a caso, apre il capitolo quarto. L’apostolo qui ci descrive  l’amore sincero tra i cristiani e questo inno rappresenta, specie per le famiglie, il modello di amore cristiano. E poi usando un linguaggio amabile. Gesù incoraggia, conforta, consola, stimola, coltiva legame,  genera vincoli, usa un linguaggio dunque che qualifica l’altro e non lo squalifica. Così deve avvenire nella coppia: l’uno deve considerare l’altro, e viceversa, come il bene più prezioso e prendersene cura come un tesoro geloso”.

Quali sono i primi passi della nostra diocesi rispetto all’esortazione di Papa Francesco?

“Dobbiamo ammettere che non è facile e che c’è il rischio di creare ghetti dentro le nostre comunità. Piuttosto il nostro impegno di parroci è quello di integrare le famiglie ferite nei gruppi famiglia e nella vita ordinaria della pastorale parrocchiale. Diversi parroci stanno curando un percorso di integrazione per famiglie di divorziati risposati. Lo scopo è non fare sentire queste coppie come extraterrestri ma parte integrante del tessuto parrocchiale. In diocesi c’è da segnalare l’opera di don Angelo Grasso, salesiano di Monte Tabor, che si sta occupando dell’accompagnamento spirituale di coppie divorziate e risposate, che provengono dalla diocesi e non solo”.

Afferma il Papa che “impegnarsi con l’altro in modo esclusivo e definitivo comporta sempre una quota di rischio” (132). A cosa dovrebbero puntare i corsi per giovani fidanzati?

“A me piace parlare più di percorso. Sono convinto che il percorso di preparazione al sacramento è una fase di potenziamento ma non può essere ridotto solo a quella fase. Mi rifaccio un po’ agli orientamenti dei vescovi di due anni fa quando chiesero che questa attenzione partisse già dall’adolescenza. Nelle nostre parrocchie dovremmo prenderci cura dei giovani ed educarli al vero amore. Questi incontri servono per dare loro strumenti specifici ma poi ogni parroco deve preoccuparsi verso i propri fidanzati, essere creativo e inventarsi una pastorale idonea per accompagnarli verso il sacramento del matrimonio”.

Il Papa parla di matrimonio e verginità affermando che il primo è un segno storico mentre la seconda un segno escatologico (160). Ci aiuti a capire meglio

“Il matrimonio è segno cristologico: gli sposi diventano una sola carne e sono espressione dell’amore che c’è, per esempio, tra Cristo e la Chiesa. Mentre la verginità è segno escatologico: i vergini consacrati diventano segno di quello che saremo, di come vivremo in cielo. Il Papa ci dice che tra i due segni con c’è contrapposizione ma complementarietà. Dio ha voluto che la realtà matrimoniale aiutasse quella della verginità e viceversa: i vergini guardando gli sposi imparano a donarsi, ammirano l’alleanza tra Dio e l’uomo. Di converso gli sposi ammirano nei consacrati la loro meta ultima e anche loro imparano a donarsi con un certo distacco. E questo perché non ci si appartiene l’uno all’altro ma si appartiene solo a Dio e a lui solo daremo conto”.

Domenico Strano

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