Benedetta filosofia / “Palestra di botta e risposta”: sì alle polemiche ma per soppesare le proprie idee

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Adelino Cattani, insegna teoria dell’argomentazione nell’università di Padova: “Abbiamo una quantità di scuole di scrittura creativa: non sarebbe bene, prima di scrivere, seguire qualche scuola di ragionamento?”. Il rammarico: “Abbiamo espulso la retorica dal nostro bagaglio di insegnamento”. Il tweet? “Dire tante cose, con poche parole, raccomandava Erasmo da Rotterdam”.
Si chiama “Palestra di Botta e Risposta” (www.educazione.unipd.it/bottaerisposta), ed è un progetto di formazione al dibattito che l’Università di Padova propone dal 2006: ispirato all’idea che “la discussione non sia solo un diritto e un dovere, ma anche un piacere”, il progetto si attua sotto forma di torneo destinato agli Istituti di istruzione secondaria di secondo grado.
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Adelino Cattani, professore di teoria dell’argomentazione – Università di Padova

A condurlo è Adelino Cattani, professore di teoria dell’argomentazione nell’ateneo patavino. Sulla scorta del successo dell’iniziativa, ormai esportata a carattere nazionale, ci “argomenta” la sua idea di “polemica” al tempo del tweet, che se usato bene può essere un formidabile strumento di “sintesi”, per declinare la regola aurea di Erasmo da Rotterdam: “dire tante cose, con poche parole”. A patto, però, che dietro la sintesi ci sia un’ottima analisi… La filosofia, insomma, sale “in cattedra” per riportare in auge la capacità di argomentare e dibattere di stampo socratico (ma anche aristotelico e “romano”), riveduta e corretta in salsa digitale. Perché gli americani ci hanno scippato la retorica e noi, invece, l’abbiamo espulsa dalla nostra “cassetta degli attrezzi”? È una delle provocazioni dell’esperto, tra i relatori del convegno su “Il ruolo educativo della filosofia”, promosso in questi giorni a Roma dalla Pontificia Università della Santa Croce.

Professore, ne è passata di acqua sotto i ponti dalle controversie di stampo medievale: quali sono oggi le regole dell’argomentare e del dibattere?
“La prima regola è mai scaldarsi, o meglio scaldarsi solo al fuoco della controparte. Ad esempio: noi conosciamo benissimo le regole del calcio, ma il gioco del dibattito, nella vita, chi ce lo insegna con le sue regole? Nessuno. Abbiamo una quantità di scuole di scrittura creativa: non sarebbe bene, prima di scrivere, seguire qualche scuola di ragionamento? La ‘disputatio’ è nostra, l’arte della controversia è nostra, e invece l’abbiamo venduta oltreoceano: abbiamo espulso la retorica dal nostro bagaglio di insegnamenti”.
Quali sono le lacune all’interno del nostro sistema scolastico?
“Una delle carenze che riscontrano anche le indagini dell’Invalsi è che la scuola non forma ad un sapere argomentativo. Si arriva alla maturità con conoscenze associative, emozionali, non differenziali: bisogna recuperare un tipo di formazione – soprattutto in filosofia, che è la materia più adatta a questo scopo – basata sulla capacità di fondare le nostre affermazioni, anche le più banali. Dobbiamo essere in grado di dire il perché di quello che diciamo. Rendere ragione di ciò che si dice è un consiglio prezioso anche nell’ambito dei rapporti personali: se i genitori, ad esempio, motivano le loro richieste, queste ultime vengono più facilmente accettate dai loro figli. Dobbiamo imparare a ‘costruire’ le cose che diciamo e proponiamo di fare in maniera logica, persuasiva, offrendone le motivazioni”.
Serve un prontuario di argomenti, ma prima ancora la disponibilità al dibattito. Come farlo capire ai ragazzi, immersi in un clima da “talk show” e “talent” in cui dominano il parlarsi addosso e la carenza di ascolto?
“In primo luogo, sempre sia lodato il dialogo, ma prima di tutto bisogna valorizzare la polemica. Abbiamo una concezione troppo negativa della polemica, che invece a livello linguistico svolge la funzione che il collaudo svolge in ambito merceologico. Bisogna valorizzare non solo il diritto e il dovere, ma anche il piacere di discutere: la ‘disputatio’ ha il gusto del confrontarsi con gli altri, magari anche con argomenti strampalati. Occorre recuperare il gusto della polemica, che significa mettere alla prova l’idea avversa: se resiste alle mie critiche, vuol dire che una parte di verità ce l’ha”.
Cosa mettere, allora, nella “cassetta degli attrezzi”?
“La filosofia. Ogni filosofo ha la sua ‘cassetta degli attrezzi’: c’è il martello di Aristotele, la squadra geometrica di Kant, il trapano di Heidegger… Ognuno ha il suo mezzo preferito, ma tutti hanno in comune quello che deve essere il primo attrezzo di chi fa il mestiere di filosofo: una buona bilancia, per ponderare il peso degli argomenti. Lo strumento principe del filosofo è la capacità di soppesare il pro e il contro, in maniera dialogica. Uno dei vizi dei filosofi è, invece, di lavorare per conto proprio, come se ciascuno fosse un pensatore solitario. Il Socrate che ci tramanda Platone appartiene al modello opposto: è un Socrate ‘polemizzante’, che propone e si oppone, cercando sempre un confronto con l’interlocutore. In filosofia, bisogna sempre introdurre un personaggio che svolga il ruolo di deutero-agonista: il filosofo argomenta e propone, perché il logos è pensiero e parola. Non basta argomentare, non basta aver ragione, bisogna saper esprimere le proprie ragioni e farsele riconoscere: una cosa che va recuperata oggi è l’importanza non solo di ciò che si dice, ma del ‘come’ si esprimono le proprie ragioni. Logica e retorica vanno insieme”.
Il “tweet” rende più incisivi gli argomenti o li riduce di spessore?
“Io credo che il tweet sia una sfida da sfruttare, per introdurre l’arte del riassunto, che insegna a dire molto con poche parole. Un’ottima sintesi, però, deve essere sempre preceduta da un’eccellente analisi. ‘Dire tante cose, con poche parole’, raccomandava Erasmo da Rotterdam: una delle regole base della comunicazione è non dire né più, né meno di quanto è necessario”.
M. Michela Nicolais
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