Cronaca nera: le responsabilità del giornalismo e dell’opinione pubblica di fronte alle quotidiane tragedie umane

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Ogni giorno l’opinione pubblica viene isuicidinformata nei minimi particolari su fatti delittuosi che formano ormai una lunga e triste catena di morti e di lutti. C’è un accanimento sui dettagli che suscita qualche perplessità e qualche domanda.

La regola del mestiere dice che bisogna raccontare tutto, proprio tutto. La verità va assolutamente messa in pagina, senza sconti e a ogni costo. Bisogna scegliere i frammenti più scabrosi, bisogna mostrare le macchie di sangue sui muri e l’arma del delitto insanguinata. Occorre soffermarsi minuziosamente sulla dinamica di un omicidio o di un suicidio. Nulla deve essere sottratto al sacrosanto diritto a essere informati. Se non si segue questa linea con fermezza non si è professionalmente credibili. Non si è all’altezza del compito.
Qualche dubbio sorge di fronte ad affermazioni talmente perentorie da rasentare l’arroganza. Davvero la verità, per essere pienamente raccontata e compresa, ha bisogno di sostegni morbosi ? È davvero necessario provocare forti scosse emotive per rendere più notiziabile un fatto di cronaca nera e più vendibile il giornale che lo riporta? Il lettore, il radioascoltatore, il telespettatore hanno davvero bisogno di un supplemento di morbosità? Come è possibile ritenere che non abbiano abbastanza intelligenza per comprendere pienamente un fatto delittuoso attraverso una notizia con i dati essenziali? Sono alcune domande in cerca di risposte.
Forse la professionalità giornalistica vive di un’altra responsabilità, ha un altro respiro umano ed etico soprattutto quando tratta di raccontare atti che distruggono persone e famiglie. Forse l’accanimento sui dettagli non fa bene neppure all’informazione.
È, questa, una questione dibattuta da tempo sia tra i addetti ai lavori che nell’opinione pubblica. Non si tratta di stabilire un elenco di buoni e un elenco di cattivi perché il mestiere di ascoltare e raccontare gli altri è comunque difficile per tutti. Si tratta piuttosto di ragionare intorno al rapporto tra la verità e la dignità delle persone. La prima non può escludere la seconda.
C’è allora un equilibrio a cui tendere con convinzione per rendere credibile la professione giornalistica e per non subordinarla a interessi che poco o nulla hanno a che fare con la ricerca e la narrazione della verità. Certamente non è un percorso facile: esige un esercizio permanente di riflessione sui fondamentali di un mestiere che ogni giorno si misura con le altezze e le bassezze dell’uomo.
Anche l’opinione pubblica ha una responsabilità nella crescita della propria capacità critica rispetto a un’informazione che fatica a mettere in linea la verità dei fatti con la dignità delle persone. Non è vero che questo equilibrio sia irraggiungibile. Molti giornalisti lo hanno raggiunto e lo raggiungono proprio per amore di una professione costruita con la fatica dell’ascolto, del pensiero e del racconto.
Non è vero che questo equilibrio sia irraggiungibile: c’è un’opinione pubblica che legge, vede e ascolta con competenza, che sa giudicare e distinguere il servizio alla verità dal servizio ad altri interessi.
È l’alleanza tra le due responsabilità, quella del giornalismo e quella dell’opinione pubblica, che può aiutare la verità e la dignità a farsi strada insieme nel groviglio dei fatti di ogni giorno, anche di quelli più tristi e dolorosi.

                                                                                        Paolo Bustaffa

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