Dopo la strage di Parigi / La voce laica: “Il discrimine sta nel non imporre la propria religione”

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Remo Bodei, docente di filosofia alla Ucla di Los Angeles risponde a chi, dinanzi a certo terrorismo di matrice islamista, si augura l’irrilevanza della religione: “Una buona soluzione potrebbe essere l’impegno a rendere irrilevanti le differenze tra le religioni… Togliere, però, agli uomini la religione equivarrebbe a privarli di una forma identitaria forte, ed anche del senso della vita e della morte. 

“Rendere irrilevanti le differenze tra le religioni”. È il possibile antidoto ad attentati terroristici come quello di Parigi. Ne è Remo Bodeiconvinto Remo Bodei, docente di filosofia alla Ucla di Los Angeles, che analizza da “laico” i tragici eventi del 7 gennaio stigmatizzando la “reazione violenta” dell’Islam ma nello stesso tempo mettendo in guardia l’Occidente dai suoi “errori” del passato. Per il filosofo la “grande differenza” con l’11 settembre è che “si è passati da una strategia di coordinamento forte ad uno Stato-Califfato che ha un centro locale su una zona, ma manda cani sciolti per il mondo dando loro permesso e accreditamento”. Nel frattempo, l’Europa è diventata “la portaerei del Mediterraneo” e la gente si sveglia con la paura di essere uccisa sotto casa o per strada.

L’attentato di Parigi, oltre che minacciare la libertà di espressione e di stampa, porta lo scontro tra le religioni e lo “scontro di civiltà” in Europa? 
“Le cosiddette religioni del Libro sono state molte volte, a seconda dei tempi, abbastanza violente: basta leggere la Bibbia, con le maledizioni contenute nei Salmi, o alcuni passi del Corano. Oppure pensare alla pratica dei cristiani, che da perseguitati sono diventati a loro volta persecutori: alla fine del Cinquecento, ad esempio, un francescano voleva ammazzare Enrico III e un teologo spagnolo inveiva contro eretici ed atei, esortando ad usare tutti i mezzi per ammazzarli tranne il veleno ad effetto lento. In seguito, per la contaminazione con la democrazia e le scienze moderne, non si è più imposta la conversione forzata come per gli indiani americani: il gioco democratico prevede che, se non si usa violenza, si possono propagandare fedi e convinzioni religiose senza che questo influisca negativamente nella società. Le religioni, in altre parole, possono essere violente, ma non necessariamente debbono esserlo. Per quanto riguarda l’Islam, la sua reazione violenta di oggi si incrocia con gli errori dell’Occidente: la prima e la seconda guerra del Golfo, i bombardamenti in Libia e in Siria sono stati il brodo di cultura di questo tipo di terrorismo. La reazione dell’Islam è stata di tipo politico-religioso, poiché nella tradizione islamica non esiste il ‘date a Cesare quel che di Cesare e a Dio quel che è di Dio’: la distanza tra politica e religione è sostanzialmente minima”.

Visti gli esiti che questi scenari hanno prodotto, qualcosa si augura l’irrilevanza delle religioni…

“Dal mio punto di vista, una buona soluzione potrebbe essere l’adiaforizzazione, cioè l’impegno a rendere irrilevanti le differenze tra le religioni. In questa prospettiva, la questione se portare o no il velo avrebbe la stessa importanza di quella se collocare o meno il Crocifisso nelle scuole. Togliere, però, agli uomini la religione equivarrebbe a privarli di una forma identitaria forte, ed anche del senso della vita e della morte. Giovanni Paolo II, nella Veritatis splendor, parla dello splendore della verità, che per lui era il cristianesimo: ognuno può pensare che la sua religione sia la verità, il discrimine è il non volerla imporre agli altri con la forza. In termini politico-giuridici si può fare: già la maggioranza degli Stati sono agnostici, non esiste quasi più una religione di Stato. Il ruolo dello Stato dovrebbe essere quello di garantire la libertà di culto e di propaganda, ma anche di evitare che ci sia una conversione violenta, da qualsiasi parte provenga”.

C’è chi dice che l’attentato di Parigi sia un nuovo 11 settembre, sferrato nel cuore del nostro Continente: è così?      

“Aspettiamo che si chiarisca la dinamica dell’evento, che sembra comunque opera di reduci dalla Siria. Rispetto al 2001, il fondamentalismo islamico sta inviando in missione degli ex combattenti addestrati in Mali, in Iraq o in zone di altri Stati per mandarli a compiere degli ‘attentati fai-da-te’, compiuti da commando di due o tre persone. È questa la grande differenza con l’11 settembre: l’attentato delle Torri Gemelle aveva alle spalle una diversa organizzazione, molto più complessa e attrezzata anche dal punto di vista tecnico. Si è passati da una strategia di coordinamento forte ad uno Stato-Califfato che ha un centro locale su una zona, ma manda cani sciolti per il mondo dando loro permesso e accreditamento. Si tratta di una forma di ribellione, politica e sociale, non in vigore solo in Iraq o nel Califfato, ma anche in Nigeria con Boko Haram o in Somalia: è l’uso della religione a scopi politici, in cui l’elemento religioso è in parte un alibi, ma in parte è considerato come una saldatura possibile con quanto accadeva otto secoli fa con i Crociati. Un conflitto di civiltà che minaccia la democrazia, il rispetto delle persone e della loro dignità”.

Oggi a Parigi ci si sveglia pensando che si può essere uccisi sotto casa o per strada: come è cambiata l’Europa dall’attentato alle Torri Gemelle? 
“È cambiata molto, soprattutto per le migrazioni di massa: l’Europa è ormai una portaerei nel Mediterraneo, con le sue isole. I flussi, via mare e via terra, sono difficilmente frenabili: c’è una paura legittima della saturazione. Solo sulle nostre coste quest’anno sono sbarcate 200mila persone, e altrettante centinaia di migliaia sono in attesa nei porti di Libia, Turchia, Egitto o Grecia. Tutto ciò provoca spesso un allarme sociale che da una parte è giustificato, dall’altra genera odi o incomprensioni verso la parte islamica delle popolazioni. Per contrastarlo ci vuole un doppio impegno: gli Stati dovrebbero stare attenti a controllare i predicatori d’odio, ma anche il mondo musulmano dovrebbe prendere posizioni non ambigue su questi aspetti”.

M. Michela Nicolais

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