EuroStars / Jamie Vardy, l’operaio del gol

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Quando la storia del calcio si ferma è bene osservarla da vicino, per incamerare quanto dal suo magico archivio riluce in forma di sprazzi che sembrano direttamente estrapolati dalle più dolci favole a lieto fine. Per un attimo, la storia sembrava proprio essersi fermata al “King Power Stadium” di Leicester, nel Regno Unito, il 28 Novembre scorso, al minuto 24 della partitissima di Premier League che vedeva il sorprendente Leicester capolista ospitare il Manchester United, secondo in classifica ad una lunghezza…

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Jamie Vardy

Su un calcio d’angolo per i “Red Devils” ospiti, i beniamini di casa erano ripartiti per ribaltare il gioco, sostenuti dal fragoroso boato del loro pubblico. Il pallone era finito tra i piedi di Fuchs, che si involava sulla destra per 30-40 metri prima di indirizzare al limite dell’area avversaria un pregevolissimo pallone rasoterra, sul quale come una rapace si avventava un velocissimo attaccante ventottenne: il ragazzo riceveva e con un primo tocco aggiustava la traiettoria, poi con un secondo gonfiava la rete battendo il portiere in uscita in diagonale.

Qui la storia si era fermata ed il boato mozzafiato dei “citizens” del Leicester era stato impressionante: non era solo un gol ai leggendari “diavoli rossi” del Manchester, spesso padroni del campionato da sempre; non era solo il gol vantaggio dei propri ragazzi, guidati clamorosamente al primo posto dal nostro Claudio Ranieri in panchina, contro la rivale inseguitrice; quel gol era, ancora una volta, per l’undicesima nelle ultime undici partite consecutive, di Jamie Vardy. La storia si era fermata perché il suo, come talvolta accade in questo incredibile sport, non era solo un gol che lo immortalava come “mister 11 gol in 11 partite”, nuovo recordman storico della mitica Premier League, ma la consacrazione di una straordinaria parabola di vita, ai limiti della realtà sportiva, che noi torniamo a raccontarvi per la rubrica #EuroStars, dedicata ai volti più significativi che rappresenteranno le contendenti di #Euro2016.

E come potevamo sottrarci dall’immortalare Jamie Vardy, punta di diamante di quel Leicester del nostro mister Claudio Ranieri (foto sotto) campione della Premier League, la cui parabola in ascesa è sembrata una trasposizione reale dalle più romantiche pellicole cinematografiche che hanno cresciuto generazioni di sportivi, quali “Le riserve” con Gene Hackman o “Ogni maledetta domenica” con Al Pacino. Ma se quella del Leicester è una favola che molti tramanderanno quale metafora di vita, quella di Jamie Vardy è una favola nella favola.

Fino a soli quattro anni fa, nel 2012, Jamie giocava nella “Conference”, più o meno corrispondente al campionato dilettantistico di Eccellenza in Italia. Se vogliamo dirla tutta, fino a cinque anni prima militava addirittura nell’ottava serie inglese con la maglia del Stocksbridge Park Steels di Sheffield, piccola città industriale dell’entroterra inglese dove è nato e cresciuto. Promessa del calcio locale, a 15 anni giocava nelle giovanili del suo Sheffield Wednesday, storica squadra di Premier League, ma già l’anno successivo era stato escluso ai provini, perché ancora troppo basso.

Al “punto più basso della carriera”, come Jamie lo definì ai colleghi del “Leicester Mercury”, seguì uno stop di otto mesi, durante il quale si iscrisse al college e contemporaneamente iniziò a lavorare come operaio in un’azienda locale che produceva protesi in fibra di carbonio. Se hai il calcio dentro, però, non puoi fuggirne il richiamo e chi ama il calcio lo sa: eccolo così provarsi con il suddetto Stocksbridge Park Steels, rappresentativa calcistica dei dipendenti della British Steel, compagnia siderurgica britannica, dove dal 2007 al 2010 inanellò 66 reti in una serie che, per provare un’ardita corrispondenza, equivale alla Prima categoria italiana (terzo gradino della nostra Lega Dilettanti).

Carattere difficile, regole della strada ancora dentro ma già noto per un cuore grande, in quel periodo si addentrò in una rissa in difesa di un amico preso in giro per l’apparecchio acustico. “Non attaccò rissa per primo, ma fu lui a concluderla” dichiarò Allen Bethel, proprietario dello Stocksbridge: Vardy fu condannato per violenza, per sei mesi costretto a rimanere in casa dalle 18 alle 6 del mattino, con tanto di cavigliera elettronica. “Ero in grado lo stesso di giocare a calcio – ricorda Jamie – ma in un paio di occasioni mi toccò scappare fuori dal campo e andare direttamente a casa per evitare di violare il coprifuoco. Mi accompagnavano i miei genitori. Se le partite in trasferta erano troppo lontane, potevo giocare solo un’ora: dovevo sperare fossimo in vantaggio, lasciare il campo e tornare in tutta fretta a casa. La cavigliera funzionava da protezione per la caviglia. Non c’era modo di spezzarla: potevi colpirla con un martello e non si rompeva. Era indistruttibile”.

Acquistato quindi dallo Halifax, squadra dilettanti superiore, nel 2010 per 15mila sterline, realizzò 29 gol in 41 partite, meritandosi l’anno successivo l’ingaggio del Fleetwood Town, squadra della massima lega dilettantistica, che pagò ben 150mila sterline per il suo cartellino, cifra altissima per il settore. E’ nel 2011 che Vardy potè così permettersi di lasciare la fabbrica per mettersi agli ordini di mister Andrew Pilley, che ricorda ancora come fosse “ridicolamente veloce: facendolo giocare mi sembrava di barare”. Non a caso, dopo un’eccellente stagione da 34 gol in 40 partite, nel 2012 venne comprato dal Leicester City, allora in seconda divisione inglese, per un milione di sterline, prezzo più costoso mai pagato per un giocatore dilettante inglese. “Finora ha segnato contro elettricisti, idraulici e postini. Può fare lo stesso contro atleti professionisti?” si chiedevano tifosi e addetti ai lavori.

La prima stagione al Leicester City vide in effetti Vardy andare a segno solo 5 gol in 29 partite ma l’allenatore Nigel Pearson rifiutò l’idea della società di mandarlo in prestito: nella stagione 2013-2014 Vardy ripagò la scelta con 16 gol, i quali valsero la promozione del Leicester City in Premier League, massima serie mantenuta con il cuore nella scorsa stagione, anche grazie al suo buon rendimento che, pur traducendosi in soli 5 gol, gli aprì le porte della nazionale di Sua Maestà britannica, dove ha esordito il 7 Giugno 2015 subentrando ad un totem come Wayne Rooney. Dal 28 Novembre scorso, Jamie è diventato l’idolo di tanti ceti popolari cui è negato ancora spesso sognare non solo condizioni economiche dignitose ma anche la semplice partita in quei magnifici templi del calcio inglese che lo stesso Jamie ha impreziosito d’orgoglio.

Nella sua corsa portentosa sembrano muoversi sorprendentemente le volontà di rivalsa spesso tradite di tante periferie dimenticate, scartate come lo fu lui, poi arrampicatosi rabbiosamente dalle pendici della sua più grande passione, la stessa che lo ha portato a desiderare l’apertura di “V9”, dall’iniziale del cognome e del numero di maglia: una sorta di accademia del calcio per dare la possibilità a decine di giocatori dilettanti di allenarsi per un anno con allenatori e preparatori di alto livello, nella speranza che in futuro riescano a giocare da professionisti, perché “là fuori ci sono diversi calciatori nella stessa posizione in cui ero io che hanno solo bisogno di un’opportunità”, spiega. “In fabbrica era massacrante: sollevavo centinaia di pesi e il calore dei forni mi bruciava la pelle” ha ricordato Jamie, trascinatore delle “Foxes” con 22 reti verso una memorabile vittoria della Premier che ora, però, cede il passo al sogno degli Europei 2016. “Tu non la smetti proprio mai di correre?” gli chiese Josè Mourinho dopo una gara contro il Chelsea ad aprile 2015… Se permette mister, la risposta seguitiamo a darla noi: Jamie non può smettere, continua a correre per tutti noi.

Mario Agostino

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