Custodia del creato / Grazia Francescato: “L’ambientalismo è cambiato, Francesco insegna”

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Grazia Francescato alla Giornata per la custodia del creato

Dici ambientalisti in Italia e non puoi che pensare a Grazia Francescato, storica leader dei Verdi, già presidente del Wwf Italia, parlamentare per più legislature e prima ancora giornalista per Ansa e Rai. Cessata la politica attiva, Francescato continua a occuparsi di questioni ambientali: scrive della relazione tra natura e spiritualità, fa parte dell’Arc, Alliance Religion and Conservation (che mette insieme esponenti di 11 grandi religioni del mondo e movimenti di tutela della natura) e cura i rapporti internazionali per Greenaccord, Associazione per la Salvaguardia del Creato che, tra l’altro, ogni anno su questo tema organizza il Forum dell’informazione cattolica. In questo ruolo, Grazia Francescato è stata tra le voci più autorevoli alla ultima edizione del Forum, svoltosi in varie sessioni tra Assisi e Gubbio, in occasione della Giornata per la Custodia del Creato. Con lei approfondiamo alcuni aspetti della materia quanto mai attuale.

Francescato, cosa significa oggi essere ambientalista? Quali sono le priorità? Cosa è cambiato rispetto a decenni fa?

«Il rischio maggiore è l’estinzione non del pianeta, che ha la pelle dura e se la caverà comunque, ma della civiltà come la conosciamo. Il processo potrebbe essere molto veloce: il primo elemento da tenere presente è il fattore tempo. Prendiamo il caso dei cambiamenti climatici. Quando venti o trenta anni fa noi ambientalisti ammonivamo sul consumo dei combustibili fossili ci dicevano catrastrofisti o cassandre; quando spiegavamo che c’erano alternative come le rinnovabili e l’efficienza energetica e bisognava adottare un diverso modo di produrre e consumare, ci dicevano utopisti. Adesso parla Madre Terra e tutti cominciano a capire con enorme ritardo che il cambiamento climatico interessa l’intero globo e si manifesta con un alternarsi di eventi estremi: periodi di grandi siccità, come quello del centro-sud Italia, si alternano con piogge intense o uragani, con fenomeni molto più intensi del passato. Questo cambiamento non riguarda più il futuro ma il presente. È questione di anni: o cambiamo rotta in 6-7 anni o ci saranno disastri non più governabili. Certo, a vedere certi atteggiamenti o comportamenti c’è da preoccuparsi».

Venti anni fa era solo il movimento ambientalista a porre certe questioni, mentre oggi alcune istanze sono patrimonio condiviso e sono corroborate dalla scienza. Perché non si arriva a realizzare pienamente la cura dell’ambiente? Cosa è mancato allora e cosa manca oggi?

«Prima a porre alcune questioni eravamo gli ambientalisti ed alcuni scienziati, oggi ci sono migliaia di scienziati e si è aggiunta la voce del Papa e di quella parte della Chiesa che ha fatto propria la Laudato si’. Si tratta di un documento – lo dico da laica ma con grande chiarezza ovunque vada a parlare – assolutamente cruciale perché non è soltanto un’enciclica verde, ecologica, ma una visione del mondo. Francesco parla infatti di ecologia integrale, mettendo insieme la dimensione economica, ambientale, sociale, spirituale, etica: omnicomprensiva. Dovrebbe essere una stella polare per tutta l’umanità. Cosa impedisce alla gente di seguire questa strada? Ci sono innanzitutto grandi gruppi di interesse: la marcia indietro di Trump sul clima è dovuta al fatto che è sostenuto non soltanto dalla destra ma anche da gruppi dai grandi industriali del carbone e delle trivellazioni petrolifere. I poteri forti e il grande business che non ha alcuna voglia di lasciare il campo. Ma c’è anche un’inerzia culturale: siamo abituati a vedere il mondo così e non riusciamo a immaginare come potrebbe essere quando il caos climatico ci sbatterà in faccia veramente. Se pensiamo all’uragano di questa fine estate, certo non è direttamente frutto del cambiamento climatico ma è rimasto in stallo a lungo tempo proprio per i cambiamenti. Sono disastri naturali ma aggravati dalla complicità dell’uomo. Dopo un uragano e la sua distruzione, si ricostruisce. Ora, se questo accade ogni sei anni è un conto: puoi ricostruire, ma se accadrà ogni anno si scateneranno conflitti sociali e problemi di sicurezza. La democrazia potrà andare a rotoli: dobbiamo capire che il cambiamento climatico non è un problema soltanto ambientale ma geopolitico di prima grandezza».

Questo vale anche per il fenomeno dell’immigrazione…

«Sicuramente: gli esperti dicono che nei prossimi decenni i profughi ambientali saranno 250 milioni. Persone che fuggiranno dalle guerre e dalla povertà, ma anche dal surriscaldamento, dalla desertificazione, dagli uragani, dai disastri climatici in generale: anche solo questo elemento dovrà farci pensare. È vero che anche l’informazione non fa il suo dovere – e lo dico da ex giornalista – perché i tg parlano sempre di disastri naturali e di emergenza, mentre spesso si tratta di condizioni strutturali. Spesso i giornalisti non sono documentati a sufficienza, oppure non sanno bene a chi rivolgersi e non sanno come approfondire, quando non sono i gruppi di interesse ad evitare la trattazione di alcuni tempi».

Lei parla anche di “punti luce”: quali possono essere?

«Dobbiamo conservare un orizzonte di speranza e vogliamo essere parte attiva del cambiamento. Dalla mia esperienza in giro per l’Italia e all’estero, noto gruppi, movimenti, realtà che fanno molto e bene. Penso ad esempio ai giovani che hanno gli agriturismi che fanno raccolta differenziata ed educazione ambientale: questo è un punto luce. Può esserlo anche il professore che spiega come fare la raccolta differenziata e non sporcare».

O magari l’approfondimento sulla Laudato si’.

«È un altro esempio. Qualcuno dice che sono piccole cose e non contano niente. Ma è la politica del tassello che conta: i tasselli fanno un mosaico, noi dobbiamo lavorare affinché questi punti luce possano fare costellazione».

Tra le criticità c’è ad esempio considerare emergenze alcuni fenomeni che non sono più tali.

«È quasi un’abitudine. Pensiamo agli incendi in estate o alle nevicate estreme in inverno. È la nuova normalità ma è anche la sfida della complessità. Bisogna spiegare alle persone con pazienza, nel modo più semplice possibile, che esiste una connessione tra il fatto che una persona vada in giro con l’automobile contribuisce alla pioggia violenta che magari devasta la casa. È evidente che scienziati, governanti e giornalisti abbiano la maggiore responsabilità, ma nessun cittadino può sentirsi esonerato. Basti pensare al comportamento di ogni singolo rispetto ai rifiuti urbani».

Lei ha detto di parlare da laica, ma collabora da anni con Greenaccord. Ci sono molti punti in comune?

«Certo. C’è da dire che mi occupo da più di venti anni del rapporto fra natura e spiritualità. Sono convinta che il contatto con i boschi e i fiumi consente anche di affacciarsi sulla dimensione più alta, che per chi crede è la dimensione divina, per altri è la dimensione spirituale. Non è un caso che tutti i santuari sono costruiti in cima al colle o in mezzo alla foresta: c’è un collegamento tra l’anima individuale e l’anima mundi. Noi non siamo atomi vaganti in uno spazio vuoto, siamo collegati e questo la natura lo fa capire anche con il corpo, non solo con l’anima. Lo dico inoltre con chiarezza: nella Chiesa ci sono tanti sacerdoti e vescovi ma anche fedeli cristiani che fanno, e non soltanto predicano, bene. Credo sia arrivato il momento di una grande alleanza per curare e custodire questo meraviglioso e fragilissimo pianeta».

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