I cattolici e la corruzione / La “rinascita” di Roma è un dovere

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“La nostra città deve rinascere moralmente e spiritualmente…La nostra città ha bisogno di questa rinascita!”. È il grido lanciato dal Papa ieri, davanti ad un fiume di famiglie – 25 mila persone – accorso in piazza san Pietro per l’inaugurazione del Convegno della diocesi, con il suo vescovo. Solo poche ore dopo, un altro fiume in piena sta travolgendo la Città Eterna: dalle prime ore di questa mattina, infatti, la Guardia di Finanza di Roma sta eseguendo un sequestro di beni ritenuti riconducibili a Salvatore Buzzi, il “ras” delle cooperative sociali arrestato a dicembre nella prima ondata dell’inchiesta su “Mafia Capitale”. Il valore dei beni è di circa 16 milioni di euro.

Lo tsumani che a più riprese ha sconvolto, e continua a sconvolgere Roma, non si ferma: lo scioglimento delrinascita Roma Comune capitolino per mafia è una possibilità che neanche l’imminente Giubileo della Misericordia, indetto da Papa Francesco a partire da dicembre, potrebbe servire a scongiurare. Con le sue parole, il Papa “venuto dalla fine del mondo” ma che fin dal suo primo saluto dalla Loggia delle Benedizioni ha tenuto a definirsi vescovo di Roma chiede innanzitutto ai suoi fedeli e concittadini un sussulto di riscatto. Un moto di sana indignazione capace di porre nei fatti una cesura netta tra i fautori della “terra di mezzo”, gli alfieri del malaffare elevato a sistema, e tutti quegli uomini e quelle donne di buona volontà – un altro fiume in piena, che però non merita mai l’onore delle cronache – che cercano di sbarcare il lunario facendo i conti con una crisi che mette a dura prova parole come onestà, dignità e sacrificio.

“La corruzione spuzza!”, aveva tuonato il Papa nel marzo scorso a Napoli: le inchieste di “Mafia capitale” ne sono un eloquente e lampante dimostrazione. Quello che il vescovo di Roma chiede a noi romani è di non arrenderci al dilagare del male, assumendoci ognuno la fetta di responsabilità che gli compete per andare controcorrente, nuotando a ritroso come i salmoni.

C’è una distanza abissale tra la “terra di mezzo” dei corrotti che emerge con arroganza dalle intercettazioni e la marea umana, senza nome, di chi non si arrende ad un sistema di vita degradante e aberrante nella sua cinica perversione. Non manca chi, come il leghista Salvini, contesta l’etichetta di “Mafia Capitale” e parla di “Mafia solidale”, che coinvolge chiunque, a Roma e in altre zone del Paese, lucri sull’immigrazione. È vero, nell’inchiesta che sta sconvolgendo Roma sono implicate anche alcune “cooperative bianche”, quelle legate al mondo cattolico: nulla, tuttavia, di paragonabile a quella “grande forza di bene che attraversa Roma” – per usare le parole del direttore della Caritas romana, monsignor Enrico Feroci – e ha il volto delle migliaia di volontari pronti a dare braccia e mani a quella Chiesa “ospedale da campo” auspicata da Francesco.

Il malessere che i romani vivono in questi mesi sulla loro pelle per chi – usando le loro stesse parole – si sta “mangiando” Roma chiede un sussulto di onestà e di riscatto. La piazza di ieri, formata da figli, genitori e nonni è pronta a rispondere all’invito del suo vescovo. Perché “i bambini ci guardano…”.

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