Visita pastorale / Con don Tonino Bello per una Chiesa “contempl-attiva”. Francesco a Molfetta sui passi del vescovo col grembiule

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La sosta in preghiera davanti alla tomba e la messa davanti alla cattedrale affacciata sul porto. Sono i momenti salienti della visita pastorale ad Alessano e Molfetta, in memoria e in omaggio a don Tonino Bello, a 25 anni dalla morte del servo di Dio. La sintonia tra due vescovi e il sogno di una Chiesa “contempl-attiva” che accorcia le distanze, innamorata di Dio e appassionata dell’uomo. Per lottare contro la povertà e costruire la pace, senza ritardi e senza cedere al disfattismo.

Da Roma ad Alessano. Un vescovo sosta in preghiera – dieci minuti in silenzio da solo, a fianco solo il vescovo oggi “padrone di casa” – sulla tomba di un altro vescovo, e lo chiama come lo hanno sempre chiamato tutti: “don Tonino”. E azzera le distanze del tempo e della storia dandogli del “tu”, nel suo paese natale come a Molfetta, la diocesi di cui è stato la guida pastorale per oltre un decennio. È l’istantanea già consegnata alla storia del 21° viaggio pastorale di Papa Francesco in Italia, dedicato alla memoria del prete salentino oggi servo di Dio, di cui è in corso la causa di beatificazione, a 25 anni dalla morte.

Francesco depone un mazzo di fiori bianchi e gialli sulla semplice lapide di pietra, e il pronipote di don Tonino, che si chiama come lui, poco dopo gli dà il benvenuto a nome dei 20mila fedeli che lo hanno accompagnato lungo il viale che porta al cimitero: “Grazie Papa Francesco per essere venuto qui”. Ad Alessano, come nell’omelia della messa celebrata a Molfetta, davanti alla cattedrale che si affaccia sul porto, le consonanze tra la Chiesa del grembiule di don Tonino e quella in uscita di Francesco non si contano. Nei due discorsi della visita pastorale di oggi, le 19 citazioni sono tutte per don Tonino, eccetto una dedicata a San Giovanni Paolo II. Quasi che il Papa venuto “dalla fine del mondo” abbia voluto prestare la sua voce al vescovo della “terra-finestra” che dal Sud dell’Italia si spalanca ai tanti Sud del mondo, “dove i più poveri sono sempre più numerosi mentre i ricchi diventano sempre più ricchi e sempre di meno”, la fotografia profetica del prete salentino.

“Capire i poveri era per lui la vera ricchezza, era anche capire la sua mamma”, esordisce Francesco al cimitero di Alessano: don Tonino non andava dietro ai potenti di turno, non si adagiava in una vita comoda, non teorizzava la vicinanza ai poveri ma stava loro vicino.

“Non lo disturbavano le richieste, lo feriva l’indifferenza. Non temeva la mancanza di denaro, ma si preoccupava per l’incertezza del lavoro. Non perdeva occasione per affermare che al primo posto sta il lavoratore con la sua dignità, non il profitto con la sua avidità. Non stava con le mani in mano: agiva localmente per seminare pace globalmente”, perché “se la guerra genera povertà, anche la povertà genera guerra”. E la pace “si costruisce a cominciare dalle case, dalle strade, dalle botteghe, dove artigianalmente si plasma la comunione”.“Don Tonino ci parla ancora”, assicura il vescovo di Roma ricordando la sua “evocazione” di prete innamorato del Signore, che voleva “una Chiesa non mondana, ma per il mondo”, al servizio del mondo, affetta da “una salutare allergia verso i titoli e gli onori”, capace di “provare vergogna” per gli immobilismi e le giustificazioni. Una Chiesa, quella di don Tonino, che accorcia le distanze e offre una mano tesa:

Amiamo il mondo. Vogliamogli bene. Prendiamolo sotto braccio. Usiamogli misericordia. Non opponiamogli sempre di fronte i rigori della legge se non li abbiamo temperati prima con dosi di tenerezza”.

“Caro don Tonino”, dice il Papa rivolgendosi a questo “credente con i piedi per terra e gli occhi al cielo”, che ha coniato un neologismo –

contempl-attivi” – per collegare cielo e terra, preghiera ed azione ed inseguire il sogno di “una Chiesa contemplattiva, innamorata di Dio e appassionata dell’uomo”.

A Molfetta, tra cielo e mare, campeggia uno striscione che definisce don Tonino Bello “il vescovo con il profumo del popolo”. “In piedi costruttori di pace”, la scritta di fiori gialli su erba verde al centro del sagrato, sul quale troneggia una gigantografia che riproduzione la croce pastorale del vescovo. È il motto di don Tonino, che Francesco riprende sottolineando che il cristiano, come lui, deve “rialzarsi sempre, guardare in alto, perché l’apostolo di Gesù non può vivacchiare di piccole soddisfazioni”. ”Vivere per” è il marchio di fabbrica dei credent, e il Papa invita la diocesi che per la prima volta riceve la visita di un successore di Pietro ad

esporre davanti ad ogni chiesa, come chiedeva il suo vescovo, l’avviso: “Dopo la messa non si vive più per se stessi, ma per gli altri”.

Don Tonino, ripete Francesco, “sognava una Chiesa affamata di Gesù ed intollerante ad ogni mondanità”: quella di “un vescovo-servo, un pastore fattosi popolo” che davanti al tabernacolo vuole “farsi mangiare dalla gente”, incontrando gli altri “tabernacoli scomodi della miseria, della sofferenza, della solitudine”. Perché essere costruttori di pace significa dire no al “disfattismo”, a quelli che don Tonino chiamava

“gli specialisti della perplessità, i contabili pedanti dei pro e dei contro, i calcolatori guardinghi fino allo spasimo prima di muoversi”.

Significa “amare ogni volto, ricucire ogni strappo” “andare, uscire, nonostante tutti i problemi e le incertezze”. Senza rimandare.

Bisogna essere “soprattutto uomini. Fino in fondo. Anzi, fino in cima”, diceva don Tonino: “Perché essere uomini fino in cima significa essere santi’. I “santi della porta accanto”, li chiama Francesco nella sua ultima esortazione apostolica, “Gaudete et Exsultate”.

M. Michela Nicolais

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