Intervista / Don Arturo Grasso, novello sacerdote e nuovo collaboratore dell’Ufficio diocesano per le Comunicazioni Sociali, racconta la sua esperienza americana

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Don Arturo nella sede americana di Tele Mater

Don Arturo Grasso è un novello sacerdote della nostra diocesi, ed è stato ordinato il 6 luglio scorso in Cattedrale. Originario della parrocchia di S. Maria degli Angeli, prima di iniziare gli studi teologici si è laureato in Scienze Agrarie. Appassionato di informatica e telecomunicazioni, subito dopo l’ordinazione il Vescovo lo ha mandato negli Stati Uniti per specializzarsi in tecniche della comunicazione, e dopo il suo rientro ad Acireale lo ha nominato collaboratore dell’Ufficio diocesano per le Comunicazioni Sociali, di cui è direttore don Marco Catalano. Qualche giorno dopo il suo rientro da New York (dove è stato dal 12 luglio al 12 settembre), è venuto a trovarci nella nostra redazione, con cui ha instaurato un rapporto di collaborazione. Ne abbiamo approfittato per porgli qualche domanda.

Don Arturo Grasso

– Parliamo della tua esperienza americana.
«Quando il Vescovo mi ha convocato, prima dell’ordinazione, tutto mi potevo aspettare tranne che mi comunicasse che mi voleva mandare in America. È stata un’esperienza particolare, molto bella. Particolare perché sono andato in America – a New York per l’esattezza – per studiare delle nuove tecniche di comunicazione, però poi nel frattempo ho potuto conoscere la società americana e la Chiesa americana.»

– Dov’eri di preciso?
«A S. Francesco di Sales come residenza, ma per l’approfondimento delle tecniche comunicative andavo alla chiesa di Nostra Signora di Pompei (Our Lady of Pompei), chiesa di Scalabriniani, specializzati in tecniche comunicative. È una chiesa per italiani in America, in comunicazione con Tele Mater. E poi avevano i collegamenti con CTV (Centro Televisivo Vaticano), Tele Care e Net TV. Avevano oltre 20 milioni di utenti, nell’area metropolitana di New York e nel Queens. Trasmettevano le dirette delle sante messe e poi facevano i collegamenti con Tele Pace.»

Don Arturo nella sede americana di Tele Mater

– Perché il Vescovo ha mandato proprio te?
«Il Vescovo ha avuto l’idea di mandare me perché in seminario da autodidatta ho cominciato ad avere contatti con i giornalisti sul sito internet. Diciamo che è un mondo che mi ha sempre affascinato e quindi ha pensato di indirizzarmi su questa via.»

– Una curiosità: celebravi in italiano o in inglese?
«Inizialmente mi facevano solo concelebrare, in inglese, nella chiesa di S. Francesco di Sales. Solo un paio di volte ho celebrato in italiano nell’altra chiesa (quella per italiani in America), nel mese di agosto quando tutti sono andati in ferie ed io sono rimasto solo nello studio. Poi alla fine celebravo da solo in inglese, anche perché in due mesi non si riesce a conoscere bene la lingua (che conoscevo già da prima, ma a livello scolastico), e poi lì si parla anglo-americano, che è un po’ diverso.»

Don Arturo sullo sfondo di New York

– Qualche aspetto particolare del tuo soggiorno americano?
«Ciò che mi ha fatto riflettere molto in questa esperienza è stata la vita sociale, una vita sociale in cui le persone neanche si guardano negli occhi, perché è una vita frenetica. Si corre sempre, c’è la metropolitana che ti porta dappertutto, e quindi mancano le relazioni, corri e non c’è un posto in cui poter fare una passeggiata (come il nostro Corso), tranne Central Park, ma anche lì tra tanta confusione. Poi ci sono molti barboni per strada, come se facessero parte dell’arredo urbano; molti addirittura facevano le fotografie ai barboni. Qua penso che non sarebbe assolutamente possibile una cosa del genere, perché qua abbiamo la Caritas e vari enti di assistenza. Questo mi ha fatto molto riflettere. E poi lì i sacerdoti non girano col clergymen, per non essere identificati. Io invece ci tenevo e molte persone mi fermavano: “Sei prete?”. Penso che lì abbiano tanto bisogno di sacerdoti come siamo qua, come riferimento.

– Quindi che cosa pensi di avere portato con te da questa esperienza americana?
«Soprattutto, io mi sono occupato di tecniche di comunicazione. Ed è importante fare rete, fare comunione, proprio quando si dice “uno accanto all’altro”. Perché per lanciare una notizia o per conoscere determinate notizie, non si può sapere tutto; ci sono vari ambiti, e se tu li conosci e li sai captare, puoi avere una conoscenza globale e puoi trasmettere qualcosa. Per questo l’emittente Tele Mater non era sola, era collegata con Tele Pace, Net, Tele Care, perché insieme si può fare qualcosa, da soli oggi non si può fare nulla. E poi ha anche un sito internet su cui fanno molte dirette, messe, programmi, ecc. Ci sono anche molti giovani, con i social reality, quindi giovani coinvolti all’interno della Chiesa non in maniera passiva, ma in maniera attiva, con tutte le nuove tecnologie, smartphone, ecc. Ho visitato pure l’Università delle Comunicazioni sociali, un college enorme, con delle tecnologie molto avanzate, videocamere 4K, altri modi di interagire. Devo dire però che noi non siamo lontani da questo tipo di cose. Certo New York è New York, anche se, io dico, l’America noi ce l’abbiamo qua, perché la realtà di Acireale non è una realtà né troppo grande né troppo piccola. Però la Sicilia è una realtà diversa rispetto all’America, e c’è sempre da imparare.»

Don Arturo indossa orgogliosamente la maglia dell’Acireale Calcio sulle sponde del fiume Hudson

– Tu dicevi “fare rete”, però queste reti che hai conosciuto e di cui stai parlando sono reti di enti, istituzioni, gruppi di lavoro (televisioni, radio). Però, dicevi anche, la vita sociale non è così unita; per cui la rete tra enti funziona, però tra persone la rete non è possibile farla, perché la società americana è molto più anonima, più spersonalizzata della società italiana.
«Però io nella chiesa italiana (Nostra Signora di Pompei) ho ritrovato le nostre – le mie – origini; perché questa è una chiesa italiana, dove c’è un prete italiano e ragionavano come ragioniamo noi, con la nostra mentalità. Ci sono i vecchi italiani, mentre i giovani, soprattutto i ragazzi, i sedicenni, cominciano a non avere più l’esigenza di tornare in Italia. Invece i più grandi, i sessantenni, i cinquantenni, ed anche i trentenni come me, almeno una volta l’anno hanno l’esigenza di tornare in Italia, mentre le nuove generazioni non conoscono l’Italia e quindi non avvertono più l’esigenza di venire in Italia, di venire a conoscere le proprie origini, perché loro sono già nativi americani e non hanno più quella voglia di tornare a casa. Ciò che mi fa impressione è che io ho fatto amicizia con alcuni italiani della parrocchia di S. Francesco di Sales, un biologo e un esperto in economia. Questi, una volta che si sono inseriti nel mondo del lavoro (e loro hanno cominciato con poco), non vogliono più tornare in Italia, perché qua non ci sono gli sbocchi e le possibilità che ci sono là; là esiste la meritocrazia, cioè tu cominci con poco, poi se sei bravo vai avanti, e non esistono le raccomandazioni. Partono senza niente, e le nostre “menti” sono lì, è vero.»

Un’altra immagine americana di don Arturo

– Come pensi di mettere adesso in pratica qua in Italia, ad Acireale in particolare, questa tua esperienza americana, soprattutto nel campo delle comunicazioni?
«Innanzitutto vorrei far conoscere questa nuova realtà dove sono stato io, quindi mi piace parlarne, raccontare, anche perché ho documentato tutto non solo dal punto di vista fotografico, ma anche dal punto di vista – come dire – pratico, con qualunque cosa, un pezzo di giornale, cosa scrivevano, come scrivevano, impostazioni… Tornando a casa, i miei souvenir sono stati i documenti delle esperienze vissute. Ce li ho tutti e sto cercando anche di mettere qualcosa in pratica nella nuova parrocchia di Aci S. Filippo dove sto prestando servizio, soprattutto con un bollettino parrocchiale di sole notizie. E poi con il sito della diocesi, cercando di mantenerlo sempre aggiornato, perché oggi la notizia deve essere data subito, e soprattutto la Chiesa deve dare le notizie perché siamo chiamati a dire la verità e a far conoscere la verità. Per noi la verità è Gesù Cristo, e quindi vedere il mondo, la quotidianità di oggi, con gli occhi di Gesù Cristo. Perciò anche una notizia che apparentemente non c’entra con la Chiesa cattolica, se vista con gli occhi di Cristo, può darci l’opportunità di essere fermento noi, e quindi cambiare una mentalità, che forse ad Acireale oggi è una mentalità che si sta scristianizzando. E questo l’ho notato nella mia ordinazione, alla quale avevo invitato il sindaco e tutte le autorità. Ho notato che tutti i sacerdoti di Acireale avevano la targa, consegnata dal sindaco della loro città – perché essere sacerdote oggi è importante anche per il sociale –, ma da me non è venuto nessuno, nonostante gli inviti, nonostante le promesse, e la prima fila era vuota. Ed io che sono acese, forse uno dei pochi acesi che credono nella città di Acireale, da me non è venuto nessuno, solo la Guardia di Finanza.»

– Bene. Se vuoi aggiungere qualche altra cosa.
«No, basta così.»

Nino De Maria

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