La salvezza nascosta: un volume a più voci per parlare di gratuità

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“La sfida che la Caritas in Veritate ci invita a raccogliere è quella di battersi per restituire il principio di gratuità alla sfera pubblica”.

Il pensiero dell’economista Stefano Zamagni esprime molto chiaramente la posizione del mondo cattolico riguardo all’azione del dare senza pretese di riavere, all’interno di un libro curato da Francesca Brezzi e Maria Teresa Russo, “Oltre la società degli individui. Teoria ed etica del dono” (Bollati Boringhieri, 216 pagine), davvero prezioso per conoscere il pensiero di alcuni esperti (di economia, bioetica, teologia ed altro) sulla nostra situazione attuale.

Siamo di fronte ad un passaggio cruciale: l’economia continentale – e non solo – vacilla, e le soluzioni prospettate sanno di sudore e lacrime. Ma tra gli errori (perché è probabile che, se siamo arrivati a questo punto, siano stati fatti anche errori) compiuti nel percorso di costruzione dell’Europa unita e più in generale dell’economia planetaria, ve ne è uno di cui si parla qui: quello di aver scisso la persona umana dall’economia, di aver creato una scienza che non tiene conto della specificità umana, che è fatta anche di dono, di spirito, di passione, di povertà. Si è creata una scienza economica che ha assunto come valore assoluto una logica di scambio assolutamente meccanicistica e impersonale. Gli specialisti qui presenti attaccano questo Leviatano da diverse posizioni, tenendo conto soprattutto di una dimensione, appunto quella della gratuità, che non solo è auspicabile moralmente, ma a quanto pare anche capace di muovere l’economia di un Paese. Come ha mostrato già Amartya Sen, dare un’occasione gratuita ai poveri mette in moto la macchina del lavoro e dell’economia, basata non più solo sul profitto in sé e per sé, ma solidale, parola di fronte alla quale molti economisti rabbrividiscono. Ma senza solidarietà e senza gratuità, dicono gli estensori dei saggi presenti in questo volume, non usciamo più dal vicolo cieco nel quale ci siamo andati a infilare.

Un altro economista, Luigino Bruni, affronta il problema delle “cure” di Hobbes e di Adam Smith contro la supposta asocialità dell’uomo: cure che hanno portato alla completa spersonalizzazione del progetto economico e alla convinzione che sia un bene tenere lontani gli affetti – quasi fossero elementi legati alla animalità – dall’amministrazione dei beni. C’è un rimedio? Quello di un nuovo ethos del mercato, afferma Bruni, che “non potrà evitare la tensione drammatica tra interessi e dono, comunità e immunità, éros e agàpe, perché è questa tensione che alimenta la vita, anche quella economica”. L’invito è di accettare il rischio del dono, anche se esso mette in gioco la possibilità dell’incomprensione o della derisione. A questo proposito, mette conto qui parlare dell’altra faccia del dono, quella degli studi che cercano di notomizzarlo, di decostruirlo e di analizzarlo come se fosse una parte meccanica o puramente materiale. Siamo nel contesto esorcizzato profeticamente da Kant nelle “Lezioni di etica”, giustamente ricordate qui da Maria Teresa Russo nel suo saggio “Donare il corpo”: “È impossibile essere una persona e una cosa”.

Alcuni studiosi, partendo da elementi sociologici, filosofici, antropologici decretano l’impossibilità del dono. Come se esso potesse essere oggetto di studio e di analisi, invece che punto di incontro senza ritorno, foriero di progresso civile e morale.

Un’economia da ricostruire, quindi, ripartendo dalla dimensione della famiglia e dei suoi affetti, come sottolinea la filosofa morale Paola Ricci Sindoni nella sua interpretazione del libro di Tobia, che rimanda ad altro cammino nella privazione e nella donazione di sé: “Dio sacrifica suo Figlio e tramite lui diventiamo figli; ancora un modo per dire come il paradigma della filialità, oltre che rifondare i legami generativi della famiglia, può rappresentare l’ethos compiuto per ogni uomo”.

Libro davvero utile, questo, per capire come – nonostante alcuni affermino il contrario – quella fondata sul profitto senz’anima e pietas non sia l’unica forma di gestione del bene comune. La gratuità non appare qui solo come filantropia eccentrica di ricchi presi da rimorsi o astratti amori per i poveri sfruttati, ma come forza capace di rimettere l’uomo al centro di un discorso che da troppo tempo ne ha fatto una variabile secondaria.

Marco Testi

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