Lavoro & dintorni / Apprendistato: in Italia funziona solo quello professionalizzante

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Pietro Antonio Varesi, presidente dell’Isfol, commenta i dati del XV Rapporto annuale di monitoraggio: “La nostra tradizione è quella di considerare l’apprendistato come un contratto di sostegno ai giovani per l’ingresso al lavoro, mentre in altri Paesi esiste una impostazione diversa, per cui l’apprendistato può essere uno strumento per acquisire titoli di studio”. Attualmente sono 450mila gli apprendisti in Italia.

L’apprendistato è un contratto a due velocità: quello professionalizzante viaggia con il piede sull’acceleratore; gli apprendistato profaltri due, quello per la qualifica professionale e quello in alta formazione, camminano con il freno a mano tirato.

Una fotografia della situazione. I dati del XV Rapporto annuale di monitoraggio sull’apprendistato realizzato dall’Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione dei lavoratori) su incarico del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali non lasciano dubbi. Complessivamente le assunzioni nel corso del 2014 sono aumentate del 4,4% rispetto al 2013, passando da 243.530 a 254.132. La spinta è stata massima nel secondo trimestre del 2014 e comunque positiva nei due periodi vicini. L’anno si è chiuso però con una variazione negativa, proseguita nel primo trimestre 2015 (-14,3% rispetto al primo trimestre 2014). Evidentemente l’annuncio degli sgravi collegati all’approvazione della Legge delega al governo in materia di servizi per il lavoro e politiche attive 183/2014 e l’introduzione del contratto a tutele crescenti hanno indotto un effetto “spiazzamento” nei confronti dell’apprendistato. Le aziende hanno preferito attendere l’introduzione delle novità in materia di lavoro. “In questo momento ci sono 450mila apprendisti in Italia, ciò vuol dire che il contratto ha ancora una sua vitalità, anche se in realtà il 99% riguarda solo quello professionalizzante, mentre gli altri due non funzionano”, spiega Pietro Antonio Varesi, presidente dell’Isfol. In generale l’apprendistato è molto diffuso al Nord (57%), mentre un apprendista su quattro è occupato nel Centro e uno solo su sei al Sud. La tendenza dei settori produttivi ad adottare questo tipo di contratto tra il 2009 e il 2014 ha mostrato una diminuzione di dieci punti percentuali nelle costruzioni a vantaggio dei servizi (+6,6%) e dell’industria (+3,5%). L’agricoltura è rimasta costante, ma molto residuale (0,4%). Sono sempre di più gli apprendisti con un’età compresa tra i 25 e i 29 anni: nel 2009 erano il 22,9% del totale, nel 2014 sono arrivati al 34,4%. Sono diminuiti i più giovani, compresi tra i 15 e i 19 anni, scesi dal 26,1% del 2009 al 12,9% del 2014. Positivo è il dato sulle cessazioni dei rapporti di apprendistato: nel 2014 si sono contratte del 3%. Tendenza confermata anche nel primo trimestre del 2015.

Realtà complessa. Il Rapporto ci dice anche che nel 2013 gli iscritti alle attività formative per l’apprendistato relativo al conseguimento della qualifica e del diploma professionale sono state pari a 3.302 unità. Non considerando la Provincia autonoma di Bolzano, dove è operativo un sistema duale consolidato che riesce a coinvolgere circa 3mila apprendisti l’anno, solo cinque amministrazioni hanno avviato attività formative per meno di 300 giovanissimi, diventati 450 nel 2014. Per quanto riguarda l’apprendistato di alta formazione e ricerca sono 508 gli apprendisti partecipanti ai percorsi attivi nel 2013 e 582 quelli coinvolti nel 2014. Questi dati mettono in evidenza sia la complessità della realtà sia la necessità di ripensare profondamente questi due tipi di apprendistato. Secondo il presidente dell’Isfol gioca molto il fattore culturale. “La nostra tradizione – spiega – è quella di considerare l’apprendistato come un contratto di sostegno ai giovani per l’ingresso al lavoro, mentre in altri Paesi come Austria, Germania, Danimarca e Francia esiste una impostazione diversa, per cui l’apprendistato può essere uno strumento per acquisire titoli di studio”. Sono due anime diverse che in Italia non si tengono insieme facilmente. “Da noi, né le imprese né le istituzioni formative né le famiglie hanno ancora interiorizzato il messaggio che arriva da questi paesi per il quale è possibile acquisire un titolo di studio attraverso l’apprendistato nonostante ci siano state delle sperimentazioni di successo che dimostrano che se ci si crede si può fare”. Il quadro poco roseo non deve scoraggiare. Bisogna rinnovare dalle fondamenta questo sistema ed è quello che il governo ha fatto con il decreto legislativo 81/2015 (Jobs Act) e in parte con lo schema di decreto legislativo sulle politiche attive del lavoro, ora all’attenzione del Parlamento. “Da una parte si è provveduto a disciplinare in maniera molto più semplice e favorevole alle aziende il rapporto di apprendistato di primo e terzo tipo, senza rinunciare al secondo, dall’altro si sono dati incentivi consistenti alle imprese. L’impegno è davvero importante. Vedremo i risultati”, conclude Varesi.

Costantino Coros

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