L’ultimo libro di don Spartà “I due Crocifissi più venerati dalla collettività di Randazzo”

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Il Cristo della pioggia

Abbiamo intervistato don Santino Spartà, sacerdote, giornalista e scrittore randazzese che vive a Roma, per saperne di più in merito alla sua recente pubblicazione dal titolo I due crocifissi più venerati di Randazzo (edizioni Calabria, Patti, 2013).
Come sempre, ci accoglie con il suo sorriso ed il suo modo amichevole di fare nel suo studio, stracolmo di libri, trofei, medaglie, quadri. 

Il Crocifisso della pioggia, conservato nella chiesa di S. Martino a Randazzo

– Quale l’ispirazione dei due crocifissi?
“Molti randazzesi mi hanno esplicitamente chiesto una biografia sui Crocifissi più venerati della nostra cittadina medioevale, senza però scolorire gli altri. Il Crocifisso della Pioggia, conservato nella parrocchia di S. Martino, attribuito a Giovanni Tifano, alias De li Matinati, liricamente più bello, e il Crocifisso del Venerdì Santo, custodito nella chiesetta di S. Pietro, più venerato, portato maggiormente per fede, che sulle spalle”.

 – Mi risulta che lei abbia già scritto del Crocifisso di S. Martino. E’ vero?
“Quanto di sua conoscenza corrisponde al vero. La differenza sta nel fatto che il primo constava di un articolo giornalistico, senza approfondite sillabe documentarie, ricorrendo il 470°anniversario  del Crocifisso della Pioggia. Quindi mi premeva dare la notizia. Assicuratomi dell’unicità di tale possesso, senza perdere tempo, ho consultato il Libro Rosso di S. Martino e documenti relativi all’oggetto di studio. Ed ho specificato data, autore, il perché sostasse nella chiesa di S. Martino, l’acquirente e l’impasto”.

 – Perché si trovava nella chiesa suddetta?
“Si narra che lo scultore, mentre si incamminava verso la destinazione di consegna, fu costretto, in una sera di settembre, a sospendere il viaggio. Fermatosi, fu ospitato nella chiesa di S. Martino. Appena giorno, deliziatosi per l’incantevole giornata, si preparò per proseguire, ma ecco sopraggiungere un temporale, che ininterrottamente si ripetè per tre volte. A tal punto, i fedeli si legarono spiritualmente e vollero che il sacro involucro rimanesse lì. Nel 1765 ci fu una carestia generale e pensando che il Crocifisso potesse ripetere ancora una volta il miracolo della pioggia, avrebbe potuto aiutarli contro il flagello naturale. Difatti, uscito dalla chiesa giunse alla Porta di S. Martino e venne giù l’acqua a catinelle”.

 –  Cosa cela il libro rosso?
“Ho potuto, possedendo conoscenze specifiche di paleografia e diplomatica, traslitterare il contenuto archivistico di scritture risalenti al 1540”.

 – Il Matinati si è sempre attenuto alla veridicità della crocifissione, oppure ha obbedito al suo afflato artistico?
“In armonia con il Vangelo, ricalca la flagellazione e la corona di rovi sul capo. Racconta non la rottura delle gambe bensì di un colpo di lancia avvenuto per mano di un soldato romano, dalla cui ferita al costato uscì sangue e acqua. Attribuisce la scritta INRI in cima alla croce. Si adegua al salmo, nell’importazione brutale dei chiodi nei piedi e palme delle mani, ma non ai polsi in corrispondenza dello ‘spazio di Destot’. Modella il viso affondato sul petto, forse per evidenziarne le sofferenze. Non narra, per ragioni d’estetica, il piolo fissato a metà del palo verticale, fondamentale per impedire la caduta del corpo. Le mani non avrebbero potuto sostenerne il peso in quanto troppo deboli”.

 – Su quale tipologia di croce morì?
“Dai miei studi e documentazioni risulta che l’artista usa la croce ‘immissa’ o latina, vale a dire con il braccio orizzontale a tre quarti del palo e alla quale appartiene la più antica rappresentazione cristiana della croce”.

 – Il Cristo è stato crocifisso con tre o quattro chiodi?
“L’artista, per obbedire al suo pathos plastico non fece riferimento all’usanza dei romani, che crocifiggevano con quattro chiodi. Ho inoltre scoperto che i chiodi, fusi nell’argento, sono firmati Galeano”.

 – Di quale composto è l’impasto?
“Il Matinati, nel modellarlo, ha impiegato più misture. Un impasto di gesso, cartapesta, colla, legno. Contrariamente e limitatamente da ciò che sostiene uno spazzino della “cultura randazzese”.

 – Che relazione corre tra S. Carlo Borromeo e il quadro sito nella parrocchia di S. Martino?
“Tradizione vuole, non impreziosita da documento alcuno, ma raccontatami da un prezioso collaboratore della parrocchia di S. Martino, Salvatore Guidotto, che l’arcivescovo di Milano, trovandosi in Piemonte, ebbe in visione un incendio che si stava sviluppando nella suddetta chiesa, dove era custodito il Crocifisso. Il simulacro, pur non sfiorato dalle fiamme per intercessione del Santo, rimase annerito dall’esalazione, palese soprattutto sul volto, anche dopo il restauro. Si spiegherebbe, in tal modo, la presenza del quadro con l’immagine del Santo nella chiesa, risalente, peraltro, alla stessa epoca, XVII secolo, quale ringraziamento da parte della collettività randazzese”.

Maria Pia Risa

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