Migranti / Don Ciotti e don Zanotelli: due voci nel silenzio dell’indifferenza

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Don Ciotti e la maglietta rossa

Sono due uomini di chiesa diversi ma con un amore spiccato per la verità, l’impegno e il prossimo. Anche quando questo comporta rischi e critiche. Don Luigi Ciotti e padre Alex Zanotelli non sono persone che restano alla finestra del mondo a scrutare l’orizzonte e criticare. Si muovono, mettendoci la faccia, rischiandola.
Don Luigi Ciotti, una vita sotto scorta per le minacce della mafia, è ritornato in cronaca per la proposta del 7 luglio: magliette rosse da indossare contro “l’emorragia della umanità”. Una maglietta rossa perché di questo colore era quella del piccolo Aylan, trovato annegato sulle coste della Turchia. Perché rosso è il colore dominante negli abiti dei bambini riportati senza vita sulle spiagge della Libia. E perché di rosso le mamme vestono i loro piccoli prima della partenza nella speranza che, in caso di naufragio, quel colore sia ben visibile dai soccorritori nel doppio azzurro del cielo e del mare.

Don Ciotti e la maglietta rossa

Hanno risposto in tanti, dalle montagne del Trentino a Lampedusa. Tra i nomi noti Fiorella Mannoia, Vasco Rossi, Roberto Saviano, Carlo Lucarelli, Rosy Bindi, Enrico Letta, Giusy Nicolini e Pietro Bartolo – ex sindaco e medico lampedusani -, Susanna Camusso, l’equipaggio della Goletta Verde. Il sito dell’iniziativa raccoglie le loro foto come le tante spedite da gruppi di amici, dai grest, da squadre sportive, da cene aziendali, perfino da un matrimonio con sposi e invitati tutti in maglietta rossa. Gente comune, speciale quanto basta per non rinunciare al cuore.
Sulla vicenda non sono mancate polemiche e strumentalizzazioni: non conta qui riportare chi ha detto cosa. Conta piuttosto che sia servita a ricordare la domanda posta da papa Francesco a Lampedusa, suo primo viaggio, nel 2013: “Avete mai pianto quando avete visto un barcone affondare?”.
Dalla stessa domanda è partito anche padre Zanotelli, che ha intrapreso un “Digiuno di giustizia” contro un mondo che scoppia di ingiustizia, che ne fa indigestione. Il digiuno è iniziato il 10 luglio in piazza San Pietro e viene protratto a staffetta per 10 giorni, mantenendo un presidio davanti a Montecitorio. Lo ha promosso a nome dei missionari comboniani, a cui si sono uniti: la Comunità del Sacro Convento di Assisi, il vescovo emerito Raffaele Nogaro di Caserta, altri religiosi e religiose, comprese comunità di monache di clausura. Non è rimasta dunque l’iniziativa solitaria di un missionario idealista e ideologico, fissato coi poveri del mondo.
Padre Zanotelli si è mosso da quando le nazioni hanno preso a giocare a ping pong con le vite dei migranti, ridotti a palline da rilanciare lontano non appena si avvicinano ai porti.
Certo, il momento è teso, la gestione complessa, la soluzione cercata da anni. Ed è altrettanto vero, giusto e legittimo chiedere il coinvolgimento dell’Europa tutta e una condivisione sia strategica che operativa.
Eppure, queste due azioni a difesa dei più deboli, e tese a scuotere le coscienze, hanno il merito di ammonirci: la corazza dell’abitudine non deve irrigidirci nell’indifferenza. E quello di ricordarci: la parte più nobile dell’uomo è quella che si china su chi soffre. Il buon samaritano docet.
E’ probabile che a una parte di mondo don Luigi e padre Alex appaiano come due moderni don Chisciotte, ma resta possibile che siano invece due nuovi Battista, che ancora annunciano la verità in un deserto di attenzione.

Simonetta Venturin
 direttrice “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)

 

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