Pasqua 2013: senza di Lui la storia è vuota

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Papa PalmeTutti i cristiani delle varie Confessioni dovrebbero rivolgere l’annuncio del “Cristo morto e risorto” in maniera credibile e, quindi, unitaria con perfetta sincronia. La fissazione di una stessa data per la comune celebrazione della Pasqua, ad esempio accogliendo la datazione degli ebrei che sono i primi detentori della festa e “fratelli maggiori”, può favorire l’unità dei cristiani.

Nel nostro tempo in cui tutto viene riduttivamente considerato in termini economici, si rischia che anche la Pasqua sia presentata e vissuta secondo criteri commerciali. Molti sarebbero felici di poter coniugare risurrezione con ripresa e trovare nelle uova di pasqua la sorpresa di nuovi posti di lavoro e crescita economica per tutti. Purtroppo sembra invece che sia in crisi anche il commercio delle colombe e delle uova di cioccolato e lo scenario politico è più da tempo di passione che di risurrezione. Sembra banale tutto ciò. La Pasqua, una delle principali e più antiche feste della tradizione ebraico-cristiana, che tiene desta lungo il corso delle generazioni la memoria dell’esodo biblico e della vicenda del Cristo morto e risorto, dobbiamo impedire che venga svuotata del suo perenne messaggio.
La prospettiva della storia illuminata dalla luce che si accende nella notte della Veglia Pasquale, ha impregnato la cultura e segnato indelebilmente tutta la nostra civiltà. “Camminare, costruire, confessare”, sono i tre verbi che segnano la vita cristiana, ricordati da Papa Francesco proprio all’inizio del suo ministero di vescovo di Roma. Sono termini pasquali. Il cammino della liberazione verso il regno annunciando il Cristo risorto, segno di amore e fonte di speranza.
Oltre che dalla banalizzazione ci si deve distinguere dall’idealizzazione astratta e dal folklore tradizionalistico.
Sarà bene ricordare che il mistero pasquale, culmine della rivelazione e della storia della salvezza, tende a entrare in relazione con ogni uomo e trasformare la vita del mondo (Gaudium et Spes 38). Non è un rito chiuso in se stesso, neppure la forma popolare del “principio speranza” declinato ideologicamente, né un placebo psicologico o criterio terapeutico per far fronte alla tristezza e alla depressione. La Pasqua è una vicenda concreta definita in parametri geografici e storici, sia per gli ebrei sia per i cristiani. In tempi di secolarizzazione e di sincretismi equivoci si deve tenere le distanze anche da chi interpreta la Pasqua come un rito popolare puramente simbolico evocativo del mito della primavera, come taluni contemporanei neo-gnostici pensano. A questo proposito Guardini indica due affermazioni del Vangelo di Giovanni poste come due pilastri quando afferma “il Verbo si fece carne” e poi che egli “è risorto”. Colui che si fece carne è risorto (Guardini, “Il Signore”).
Chi fa memoria di questa vicenda concreta del Cristo vi si trova dentro ed è invitato a lasciarsi coinvolgere e ritrovare le proprie esperienze di vita nei personaggi e nelle vicende raccontate dai Vangeli. Nel Giusto ingiustamente colpito, umiliato e ucciso si riversano tutte le tragedie di sofferenza e di morte e in lui trovano senso e redenzione. Senza di lui e senza la sua risurrezione le nostre storie sarebbero vuote, private dalla luce della Pasqua. Possiamo proprio dire che questa non è una storia, ma la storia. Di tutti e di ciascuno. Non in senso metaforico, perché dobbiamo ritenere che sia dato a tutti “la possibilità di venire a contatto, nel modo che solo Dio conosce, col mistero pasquale” (Gaudium et Spes 22e).
Questo messaggio supera i fatti contingenti della cronaca, che sono pur sempre vissuti nel contesto dell’immediatezza, che nel nostro caso – Pasqua 2013 – non può fare a meno di riferirsi alle vicende del vescovo di Roma, Benedetto che lascia e Francesco che inizia. Un fatto unico che ci segna e marca la nostra vita. Sembra la parabola vissuta di due fasi della storia della Chiesa, che si compongono e s’integrano a vicenda: Benedetto che segna la fase della costruzione della Chiesa nelle sue strutture e regole e Francesco che ne è il restauratore e il rinnovatore. Diciamo pure il riformatore. O almeno colui che ha indicato come possa avvenire l’aggiornamento e la riforma della Chiesa senza tradire la continuità del messaggio e senza dividere la comunione ecclesiastica anche gerarchicamente ordinata. Senza forzature siamo spontaneamente portati a riflettere su due personaggi che incarnano con nomi e carismi diversi lo stesso ministero a servizio del mistero pasquale.
Questo annuncio tutti i cristiani delle varie Confessioni, che nel battesimo sono “morti e risorti in Cristo”, dovrebbero rivolgere al mondo in maniera credibile e, quindi, unitaria con perfetta sincronia. Sentiamo di esprimere questa esigenza in modo più acuto quest’anno in cui la data della Pasqua dei cattolici e degli ortodossi si pone con due cadenze molto lontane tra loro (31 marzo i cattolici ed evangelici, 5 maggio gli ortodossi). Si deve auspicare un accordo prendendo, ad esempio, la datazione degli ebrei che sono i primi detentori della festa di Pasqua e “fratelli maggiori”. La fissazione di una stessa data per la comune celebrazione della festa della Pasqua può favorire l’unità dei cristiani e soprattutto l’efficacia del lieto annuncio che Cristo è risorto, veramente risorto! (cfr Decreto sulle Chiese orientali n.20).

                                                                                                                                                                                          Elio Bromuri

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