Sierra Leone / La presenza del Family homes movement: porta frutti l’eredità dell’apostolo dei bambini-soldato

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Persiste il patrimonio di cura e di attenzione verso i ragazzi traumatizzati seminato da padre Giuseppe Berton, grazie all’azione del Family homes movement (Fhm), il movimento delle case famiglia. Oltre alle due scuole intitolate alla Sacra Famiglia, a Mayenkineh (periferia est di Freetown) è stata fondata una comunità di accoglienza per minori. Ambulatori con servizi gratuiti nelle baraccopoli

Il testimone è passato di mano, ma l’impegno resta. Quello di padre Giuseppe Berton, detto ‘Bepi’, sierpsacerdote saveriano, è un nome ancora noto nelle periferie di Freetown. Molti ricordano il religioso, morto il 25 giugno di due anni fa, come “l’apostolo dei bambini soldato”: quelli a cui decise di dedicare la sua opera di missionario dopo aver assistito in prima persona alle devastazioni della guerra civile che attraversò il paese dell’Africa occidentale tra il 1991 e il 2002. Un patrimonio di cura e di attenzione che non si è perso dopo la sua scomparsa, grazie all’azione del Family homes movement (Fhm), il movimento delle case famiglia che padre Giuseppe aveva fondato per garantire ai ragazzi traumatizzati dal conflitto la possibilità di reinserirsi nella società.

Cura psicologica. L’esperienza, negli anni, si è estesa: ad oggi, oltre alle due scuole intitolate alla Sacra Famiglia, a Mayenkineh, periferia est di Freetown (con in tutto 1.500 alunni) è stata fondata una comunità di accoglienza per minori e nelle baraccopoli più povere della città hanno aperto ambulatori che forniscono gratis assistenza sanitaria e farmaci ai bisognosi. “È davvero un caso in cui è stato lo Spirito Santo a fare il lavoro – commenta il dottor Roberto Ravera, psicoterapeuta, che dopo essere stato collaboratore di padre Berton ora ne prosegue l’attività -. Qualche anno fa non avrei mai immaginato potessero nascere tante attività”. Anche il numero dei beneficiari è aumentato. Ormai cresciuti gli ex bambini soldato, il Fhm ha rivolto la sua attenzione ad altre categorie svantaggiate: innanzitutto i bambini di strada e i detenuti del carcere minorile della capitale sierraleonese, ragazzi senza nessun tipo di assistenza, né medica, né legale. Al centro dell’azione umanitaria, ancora un’intuizione di p. Giuseppe. “Berton – ricorda ancora il dottor Ravera – si era reso conto di come in Sierra Leone fosse poco conosciuto il concetto della sofferenza psicologica, che però si faceva sentire, appunto, soprattutto sui bambini a cui venivano negati i bisogni primari”. Di qui l’attenzione speciale del Fhm alla salute mentale, che si riflette in tutte le attività del movimento, si tratti di acquistare docce e servizi igienici per migliorare la qualità della vita dei reclusi del carcere minorile, del monitorare i bisogni della comunità attraverso gli ambulatori medici, o di assistere chi è stato colpito dalla recente epidemia di ebola in Sierra Leone. “Nella nostra area, quella di Lakka, nel sudovest di Freetown – ricorda a questo proposito Ravera – ci siamo occupati sia di prevenzione, ancora una volta in modo mirato soprattutto ai bambini, sia di progetti con i sopravvissuti. Con loro abbiamo lavorato sui traumi che derivano dall’aver visto la morte da vicino e dall’isolamento sociale in cui sono stati lasciati anche dopo la guarigione”.

Cooperazione sostenibile.
Non si ferma però all’aspetto materiale o dell’assistenza diretta l’attività del Family Homes Movement, che oggi è costituito di due realtà distinte: Fhm Sierra Leone, che cura soprattutto la parte educativa, e Fhm Italia, che si occupa degli aspetti sociosanitari. In entrambi i casi, il tentativo è di dare vita a quella “cooperazione sostenibile” che padre Berton invitava i suoi collaboratori a tentare sempre di realizzare: “La nostra convinzione – conferma il dottor Ravera – resta quella che si debba investire non solo finanziariamente, ma anche nella formazione e nella responsabilizzazione di chi vive in un paese come la Sierra Leone”. Un approccio evidente sia nella scelta di puntare direttamente, anche per le cariche direttive, su personale africano (sono originari del paese, ad esempio, tutti i 25 operatori impegnati nel centro di riabilitazione) sia in quello di condividere anche i frutti immateriali e intellettuali del lavoro del movimento. “A Freetown – spiega Ravera – stiamo portando avanti da anni una ricerca di tipo neurologico, sugli effetti fisici che hanno i traumi psichici subiti dai bambini che assistiamo: i risultati li condividiamo con il personale locale che ne ha bisogno per affrontare questo fenomeno. Padre Berton ci invitava sempre ad essere presenti sul territorio con le nostre risorse finanziarie e tecniche, ma consapevoli che non ci si può limitare a questo aspetto e poi andarsene”.

Davide Maggiore

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