Sisma di Santo Stefano – 22 / Finita la fase dell’emergenza, è il momento di pensare alla ricostruzione

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L'area Com di Acireale dall'alto

L’Etna quest’anno ci fa fatto il regalo di Natale. Ha cominciato proprio la vigilia, il 24 dicembre, aprendo una bocca nuova alla base del cratere di sud-est, uno squarcio simile ad un’ampia bocca sorridente da cui ha cominciato ad eruttare lava, cenere e lapilli. La lava per fortuna si è incanalata nella Valle del Bove, ma la cenere ha formato un’ampia nube che ha ricoperto i centri abitati lungo le pendici della montagna, raggiungendo pure il mare. La spinta sotterranea del magma e l’energia geotermica accumulata hanno poi dato luogo ad uno sciame sismico di migliaia di scosse, di cui quattro, in particolare, di magnitudo superiore ai quattro gradi della scala Richter: tra queste la più forte, nella notte tra Natale e Santo Stefano, alle 3,19 del 26 dicembre, di 4.8 gradi, avvertita in tutto il versante sudorientale dell’Etna.

Molta gente si è riversata nelle strade e si è rifugiata nelle auto o dove ha potuto, ma alle prime luci dell’alba ci si è resi conto che i centri più colpiti erano quelli di Fleri (nel comune di Zafferana) e di Pennisi, frazione di Acireale. Non ci sono state vittime, per fortuna, ma i danni materiali sono ingenti: case distrutte, strade e terreni di campagna attraversati da profonde linee di frattura, edifici inagibili, e tra questi alcune scuole e numerose chiese. La macchina della protezione civile si è subito attivata per constatare i danni e dare i primi soccorsi alle popolazioni colpite.

Interventi di messa in sicurezza sulla chiesa di Pennisi

Tutto questo ormai è cronaca a tutti nota, e mentre la fuoriuscita di lava è rallentata e lo sciame sismico sembra essersi attenuato, resta un territorio fortemente danneggiato, con gravi disagi a causa delle scuole inagibili, delle strade chiuse e transennate, per il pericolo di crolli negli edifici danneggiati e con tante persone rimaste senza un tetto e temporaneamente alloggiate presso parenti e amici, o in alcuni alberghi della zona. Sono arrivati pure i due vice presidenti del Consiglio Salvini e Di Maio, il presidente della Regione Musumeci e varie autorità. I comuni interessati hanno attivato le loro unità di crisi e presso l’area COM di Acireale è stato istituito il centro di coordinamento di Protezione Civile e Vigili del Fuoco.

L’area Com di Acireale dall’alto

Ma adesso, a un mese circa di distanza, è il tempo di superare la fase di emergenza e di pensare al futuro, passando subito alla fase della ricostruzione per evitare che succeda ancora una volta quello che purtroppo è successo abitualmente in tante altre occasioni simili, sia in Sicilia che in altre parti d’Italia. In Sicilia abbiamo ancora sotto gli occhi i segni del terremoto di S. Lucia del 1990 (che colpì la zona del siracusano) e di quelli del 1984 e del 2002 che colpirono più o meno le stesse zone di adesso (Zafferana, Santa Venerina, Guardia). Anche i vescovi di Catania mons. Salvatore Gristina e di Acireale mons. Antonino Raspanti (giacché la zona terremotata è a cavallo fra le due diocesi) si sono subito mossi e sono stati in prima linea a portare aiuto e conforto nelle zone colpite dal sisma, e questo fin dalle prime ore del giorno di S. Stefano.

Mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e vice presidente della Cei

Entrambi poi, il primo in qualità di presidente della Conferenza episcopale siciliana ed il secondo in qualità di vice presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) hanno interessato le due assisi episcopali per avere degli aiuti concreti, soprattutto a favore delle comunità rimaste prive di luoghi di culto agibili. È il caso, anzitutto, di Pennisi, dove la chiesa parrocchiale rischia di essere abbattuta. Ma è anche il caso di Fiandaca con la chiesetta inagibile. E di Santa Venerina, dove tutte le chiese, tranne quelle delle frazioni di Linera e Monacella, sono inagibili, e l’unico posto, in centro, dove allo stato attuale è possibile riunirsi per celebrare la messa, è l’oratorio della chiesa di Bongiardo; si tratta oltretutto di un locale provvisorio utilizzato nell’attesa del completamento dei restauri della chiesa parrocchiale danneggiata dai terremoti del 1984 e del 2002. E pure ad Acicatena, alcune chiese hanno subito danni consistenti e la chiesa di Santa Lucia ha subito danni alla torretta del campanile, dove è stata rimossa la croce in ferro pericolante per mettere in sicurezza la torre campanaria. Il vescovo Raspanti, che fin da subito – come dicevamo – si è attivato per essere vicino alle popolazioni colpite e ha celebrato delle messe all’aperto (come Fiandaca) o dove era possibile (l’oratorio di Bongiardo a Santa Venerina), ha nel contempo denunciato pubblicamente le lungaggini burocratiche per gli interventi di ricostruzione.

La “faglia di Fiandaca”

Non sono mancati, naturalmente, gli atti di generosità provenienti da tanti fronti, a cominciare dal comitato per i festeggiamenti della festa di San Sebastiano, che ha destinato alla comunità di Pennisi i soldi dei fuochi d’artificio; in ciò seguito dal comitato per i festeggiamenti di San Mauro, ad Acicastello, che ha adottato la stessa risoluzione. E poi parrocchie, comunità, associazioni di volontariato, tantissimi privati si sono sentiti in dovere di pensare ai fratelli colpiti dal sisma.

Nino De Maria

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