Società / Con il passo corto… Prevale l’inerzia dei cittadini che non colgono la ripresa

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In Italia si affaccia nelle giornate di una calda primavera il venticello di una timida ripresa: volgono al positivo gli indicatori economici, iniziano a invertire la tendenza i livelli occupazionali che contano nuovi posti dopo anni trascorsi in caduta libera, le istituzioni internazionali come Bce e Ocse si complimentano per le riforme messe in atto.
Quello che stupisce è la lentezza del processo, che rispetto ai nostri compagni di strada europei è iniziata anche con un anno di ritardo. Già nel 2013 il Pil del Regno Unito cresceva dell’1,1%; quello della Francia 121205-048pdell’1,8%, quello della Germania del 3,3%; lo scorso anno anche la Spagna era in crescita dell’1,4%. L’Italia inizia ora, vedremo a fine anno quanto sarà il miglioramento della produzione.
L’istituto Censis nella presentazione di un suo Rapporto su “L’economia italiana a-ciclica” attribuisce la causa del ritardo alla particolare morfologia sociale del Paese. Negli anni passati il colpo è stato duro. Le famiglie hanno dovuto accusare la diminuzione del loro reddito e la contrazione dei consumi. Oltre 700mila persone hanno perso il posto di lavoro tra il 2007 e il 2013. Nel frattempo le politiche di Austerity imponevano di ridurre le spese sul welfare. Afferma il Censis che tutto sommato la crisi è stata affrontata con efficacia e con sforzi enormi: la solidarietà delle reti famigliari e amicali, l’indebitamento in alcuni casi, la spinta all’auto-imprenditorialità, la reazione di strati della società civile organizzata.
Però ora che pare avviarsi la ripresa andiamo per inerzia. Non c’è una reazione comune, un agire di singoli soggetti che converge verso una voglia di cambiamento. Nella mancanza di questo amalgama risiedono le ragioni del passo corto della società italiana.
In questo periodo si sarebbero sedimentati tra gli italiani comportamenti collettivi che ritardano i riflessi per la reazione del sistema sociale e influenzano l’efficacia della ripresa.
I ricercatori ne individuano diversi elementi che appaiono estremamente esplicativi. Innanzitutto c’è un sentimento di sfiducia verso il futuro: alla “ripresa” non ci crede più del 50% della popolazione, ci crede meno del 10%. Poi si rileva una insicurezza sui bisogni essenziali: molti dubitano sulla sicurezza del proprio lavoro (87,2%), sul mantenimento del proprio reddito (l’85,7%), su aspetti relativi alla propria istruzione (61%), sulle prospettive delle condizioni di vita in vecchiaia (63,4%) o in caso di non autosufficienza (74,1%). Molto viene attribuito alla riduzione della copertura pubblica del welfare che gli intervistati prevedono ridursi anche nel futuro.
Così la reazione è la ricerca di tutela individuale e in caso di disponibilità di denaro si cercherebbero nuove forme per sopperire alle lacune della protezione sociale. Gli investimenti della ripresa, allora si concentrerebbero, secondo il Censis, su “piccoli destini”. Da una parte cercare di costruirsi un welfare fai da te, dall’altra avviare piccole esperienze di autoimprenditorialità che vanno dalle start up innovative (oltre 3900) alle attività artigianali con vendita diretta, come ad esempio le gelaterie o le friggitorie.
Ultimo elemento segnalato è la diffusa sfiducia verso la gestione pubblica: il Censis segnala un basso coinvolgimento dei cittadini rispetto alla collettività.

Andrea Casavecchia

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