Società / Il nostro argine a rischio: custodire e coltivare il creato sarebbe già un buon inizio

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L’anno appena trascorso è stato il più caldo degli ultimi 123 anni, ovvero dall’inizio delle registrazioni meteorologiche moderne: il 1891. Lo confermano i dati dell’Agenzia Giapponese, dopo che lo aveva dichiarato l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, quella delle Nazioni Unite.

Il fenomeno ha conseguenze dirette sulla nostra vita. In Italia se ne accorge il turismo dalla penuria di nevicate che rallentano la stagione sciistica, ma gli agricoltori sono stati i primi ad accusare il colpo: nell’ultima stagione di raccolta da uliveti e vigneti non hanno ricavato molto, tanto che secondo la Coldiretti il calo dell’extra vergine di oliva, l’oro verde italiano, è stato del 30%, del miele del 50%, del 25% degli agrumi, del 15% del vino.

La salvaguardia del creato non è solo questione per ecologisti o esperti, ma riguarda in modo stretto la società e il sistema economico, e i destini delle persone. Si pensi ai processi di desertificazione o quelli di innalzamento del livello del mare che alimentano una grande quota dei flussi migratori. Questi “effetti devastanti delle calamità naturali” sono anche origine di conflitti, come denuncia Papa Francesco nel suo recente messaggio per la Pace.

La cura dell’ambiente è in contrasto con la spinta all’industrializzazione che va dagli inquinamenti delle acciaierie alla coltivazione di semi geneticamente modificati. Così spesso ci si trova tra l’incudine e il martello come sanno i cittadini di Taranto o i coltivatori in alcune regioni dell’America Latina.creato

Recuperare un rapporto equilibrato con il nostro ecosistema riguarda tutti, travalica i confini nazionali e coinvolge i singoli cittadini come le grandi multinazionali, le comunità locali come gli Stati. Garantire la sostenibilità ambientale è tra gli Obiettivi del Millennio e proprio il 2015 dovrebbe essere l’anno in cui la percentuale della popolazione, senza accesso all’acqua potabile e agli impianti igienici di base, dovrebbe essere ridotta della metà. Come il 2010 era stato indicato come l’anno scelto per contrastare il processo di annullamento della biodiversità, ma… Speriamo si raggiungano risultati migliori.

Uno dei più fecondi analisti della questione è stato Ulrich Beck, tra i più importanti sociologi mondiali che proprio a capodanno è deceduto. Lo studioso aveva introdotto il concetto di società del rischio globale, proprio per spiegare il forte cambiamento che coinvolge gli uomini e le donne del nostro tempo.

Nella società del rischio, dentro una logica di progresso senza limiti motivato dalla massimizzazione dei profitti, gli effetti di un’azione diventano imprevedibili, perché essa innesca una serie di conseguenze incontrollabili all’interno di un mondo complesso. Proprio la consapevolezza dell’imprevedibilità, prodotta dalle nostre società diventa un catalizzatore dell’insicurezza. Disastri ambientali, terrorismo, sfruttamento delle risorse naturali alimenterebbero paure condivise capaci di unire le persone e di originare, secondo Beck, quei movimenti globali che porterebbero alla democrazia cosmopolita.

Senza spingerci in analisi così ampie, e forse un po’ azzardate,(è difficile concordare che dalla paura si possa sviluppare coesione sociale generativa), si condivide che attivare azioni di tutela dell’ecosistema, coltivare e custodire il creato, contribuisce ad arginare la società del rischio e propone un rinnovato modello di sviluppo.

Andrea Casavecchia

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