TecheTecheTè: la nostalgia per il divertimento sobrio ma autentico

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Rivedere immagini televisive d’epoca per rivivere anche attraverso il piccolo schermo periodi storici passati, secondo i più classici canoni di un’operazione “nostalgia” che funziona sempre. È questa la leva di curiosità – e di audience – che fa di “TecheTecheTé” (Rai 1, ore 20.30) un programma piacevole, seguito da un pubblico che non disdegna un’incursione carrànei palinsesti Rai del passato. In virtù della fortunata sperimentazione della scorsa estate, l’ammiraglia Rai ha pensato di rinnovare la proposta anche quest’anno, con qualche variazione sul tema: un nuovo percorso editoriale, una nuova veste grafica e un nuovo sottotitolo (da “Il Nuovo che Fu” si passa a “Vista la rivista”). techeNella scorsa edizione la trasmissione proponeva ogni sera un confronto fra tre monografie di artisti di ieri e di oggi, mentre nell’edizione 2013 la regola è il tema: A come America, B come Bacio, C come Canzonissima… fino a Z come Zucchero (riferito alla dolcezza e l’amabilità, non al cantante). Attingendo ai nutriti archivi delle Teche Rai, per ogni voce si analizzano i modi e i personaggi che l’hanno raccontata, con accostamenti non scontati (Ignazio Silone e Raffaella Carrà, Nino Manfredi e Rita Levi Montalcini, Enrico Berlinguer e Fiorello…). Ne risulta una sorta di rivista per immagini, con tanto di opportuna “Passerella finale”, commentata quest’anno dalla voce di Johnny Charlton, il chitarrista del noto gruppo pop inglese “The Rokes”, che spopolò in Italia negli anni ‘60. kessler Oltre all’impianto narrativo rigenerato, la vera novità dell’edizione di quest’anno è il “Teche Shake”, tema musicale che ha tutte le carte in regola per diventare un tormentone dell’estate appena cominciata, costruito come casereccia parodia dell’Harlem Shake tanto in voga. Al brano è associato un ballo frenetico, costruito assemblando le immagini di quattro danze diverse: il “Geghegé” di Rita Pavone (1965), il “Testa-Spalla” di Don Lurio (1973), il “Tuca Tuca” di Raffaella Carrà (1971) e il “Cicale” di Heather Parisi (1981). Ma ognuno può aggiungerci le movenze che preferisce. L’allentamento dei ritmi lavorativi e di studio connesso alla stagione estiva favorisce la possibilità di ritrovare spazi di piacevole evasione televisiva come questo. Il piccolo schermo, dal canto suo, fuori dalla “fascia di garanzia” dei programmi può far sperimentare proposte nuove o remixate senza la schiavitù dell’audience. L’effetto agli occhi dello spettatore è analogo a quello che si prova sfogliando l’album delle fotografie e, con esso, quello dei ricordi. Oltre al piacere di ritrovare figure e protagonisti a cui si è particolarmente legati, magari perché hanno accompagnato alcune fasi della nostra infanzia o della nostra vita, si coglie la differenza fra la professionalità di un tempo (nemmeno troppo lontano) e l’odierna improvvisazione. Una volta la tv non era roba per dilettanti (salvo qualche lodevole eccezione), sandra e raimondooggi tutti possono finire sotto i riflettori del piccolo schermo, anche loro malgrado. Nella Rai in bianco e nero la proposta culturale si nascondeva anche sotto i varietà apparentemente più disimpegnati, oggi è sempre più difficile trovare una linea editoriale o anche solo un filo rosso dentro un palinsesto che punta soltanto a moltiplicare gli ascolti. Quando si osa un po’ di più a poco prezzo – “TecheTecheTé” attinge a materiali già in possesso della televisione, semplicemente rimontandoli e costruendo un sottofondo ad hoc – si riesce a soddisfare il pubblico anche senza sperperare (i nostri) soldi pubblici in ingaggi faraonici di superstar troppo viziate.

Marco Deriu

 

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