Una scelta di pace / Alleanza e dialogo: così il Senegal chiama i capi religiosi contro l’estremismo

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Il presidente della repubblica, Macky Sall, nel corso della conferenza dedicata al tema “Islam e pace” ha proposto “un’alleanza dei capi religiosi”. L’obiettivo: contrastare l’estremismo che, dal Mali alla Nigeria e ai Paesi circostanti, ha colpito negli ultimi anni l’Africa occidentale, minando a volte anche la fiducia tra le diverse comunità. Il ruolo della piccola, ma rispettata minoranza cattolica

“È arrivato il tempo di far sentire la voce della pace e della fratellanza umana”: l’appello è partito da dakpDakar, capitale del Senegal, e a lanciarlo è stato il presidente della repubblica, Macky Sall, aprendo, lo scorso 28 luglio, la conferenza dedicata al tema “Islam e pace”. Ad organizzarla è stata un’associazione locale, Jamhiyatu Ansaa¬rud-Din, che ha chiamato a parteciparvi circa 500 intellettuali, ricercatori, esponenti della società civile e capi religiosi, non solo appartenenti alla religione largamente maggioritaria nel Paese (oltre il 94% dei senegalesi si dichiara, infatti, musulmano).

Alleanza delle religioni. Citazioni del Corano, della tradizione islamica ma anche di quella cristiana – in particolare della lettera di san Giacomo – hanno scandito il discorso del capo di Stato, che ha chiesto “un’alleanza dei capi religiosi”. L’obiettivo: contrastare l’estremismo che, dal Mali alla Nigeria e ai Paesi circostanti, ha sempre più spesso colpito, negli ultimi anni, l’Africa occidentale, minando a volte anche la fiducia tra le diverse comunità. Una conseguenza, quest’ultima, di cui Sall ha mostrato di preoccuparsi, rivolgendo il suo discorso alla platea dove l’arcivescovo di Dakar, mons. Benjamin Ndiaye, sedeva accanto al portavoce del califfo della comunità tijani (con quella muride, una delle principali confraternite cui aderiscono i fedeli islamici locali). “In molti Paesi – ha notato infatti Sall – si cerca di portare aventi un discorso che non è l’Islam e si pensa che la mancanza di tolleranza sia legata all’Islam. Invece, è la mancanza di spazi di discussione e di dialogo che è all’origine dell’intolleranza e di questa incomprensione”. L’approccio è stato condiviso dall’arcivescovo Ndiaye, secondo cui “la diversità religiosa dovrebbe essere una fonte di ricchezza”. Il Senegal del resto è forse, tra gli Stati della regione, quello che storicamente si è trovato nella posizione migliore per realizzare questo auspicio. Malgrado i cristiani rappresentino appena il 5% della popolazione, fu cattolico il primo presidente entrato in carica dopo l’indipendenza, il filosofo e poeta Leopold Sédar Senghor. “L’Islam senegalese – aggiunge da parte sua padre Pierre Diatta, originario del Paese, attualmente assistente generale per l’Africa dell’ordine degli Scolopi – è sempre rimasto su posizioni moderate, anche chi è critico lo è in maniera saggia, crede nella discussione e nel dialogo tra uomini: un fattore importante è anche la nostra abitudine alla democrazia, che ci aiuta a saper parlare di tutto, compresi gli argomenti più seri, e questa conferenza ne è stata una prova”.

Dialogo quotidiano. “Il dialogo interreligioso in Senegal – prosegue il religioso – è soprattutto ‘dialogo della vita’, avviene nel quotidiano. Ne esistono molti esempi: la presenza di religioni diverse nella stessa famiglia, il celebrare tutti feste come il Natale, o mangiare assieme prima della Pasqua, e sono molti anche i matrimoni tra cristiani e musulmani”. Questa convivenza in un clima di fraternità, continua Diatta, “è certamente una forza del Senegal”. Eppure, avverte, “il “dialogo della vita”, come la pace, rischia di essere fragile. Servono argomenti forti: bisogna fare attenzione e lavorare, proprio ora, mentre non ci sono problemi, per convincere tutti che la vocazione di ogni religione è avanzare verso la pace”. Anche per questo durante la conferenza di Dakar è stata sottolineata, al di là delle differenze di fede, la profonda affinità che esiste tra la dottrina sociale delle due grandi religioni. Un elemento chiave, quest’ultimo, per contrastare quello che padre Diatta vede come un rischio non imminente, ma ugualmente da non ignorare. Il pericolo, cioè “che qualche ideologia radicale si diffonda anche tra i senegalesi”. Per evitarlo si è fatto molto, nel Paese, “ma serve un dialogo ancora più stretto”, auspica il sacerdote. Nell’animarlo, sarà fondamentale anche il ruolo dei cattolici locali, a cui il numero relativamente basso non impedisce di avere seguito nel dibattito pubblico: “La Chiesa è un’istituzione rispettata, per questo deve far sentire la sua voce, che è ascoltata dai senegalesi – conclude l’assistente generale degli Scolopi -. Credo che possa aiutare i leader islamici a fare di più per andare avanti sulla via della pace”.

Davide Maggiore

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