Università Cattolica / La prolusione di oggi del vescovo Raspanti su “Teologia e discernimento: nuovi ambienti e nuovi linguaggi”

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Mons. Antonino Raspanti

Pubblichiamo la prolusione che il Vescovo di Acireale, mons. Antonino Raspanti, ha pronunciato, nel primo pomeriggio di oggi, nell’aula magna dell’Ateneo, ai Corsi di Teologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano sul tema “Teologia e discernimento: nuovi ambienti e nuovi linguaggi”. 

La tensione intergenerazionale, punto critico nel rapporto tra i giovani e la chiesa

Le fonti e gli studi sull’universo giovanile negli ultimi anni si sono moltiplicati per ragioni diverse e con scopi diversi. In ambito cattolico italiano l’incremento è dovuto all’attenzione di alcune istituzioni, fra le quali ricordo questa Università Cattolica e l’Istituto Toniolo con l’Osservatorio Giovani e il Rapporto Giovani, ma anche le annuali edizionidel Rapporto di Caritas Italiana, per non dire più specificamente delle indagini che altre istituzioni universitarie o collegate agli apparati statali hanno condotto, soprattutto per far luce su specifici campi socio-economici. Inoltre, per quel che riguarda più da vicino la nostra tematica, alcune indagini sulla religiosità italiana hanno riservato un’attenzione al settore giovanile del campione esaminato. Comeinoltre si poteva attendere, l’indizione di un Sinodo dei Vescovi sui giovani e la pubblicazione del Documento preparatorio I giovani, la fede e il discernimento vocazionale producono tanti interventi, creando un vivace dibattito, a mio parere necessario e alquanto proficuo per la chiesa e per la società.Anche noiprendiamo l’abbrivo dall’iniziativa del Sinodo, per offrire un piccolo approfondimento teologico scegliendo di sceverare uno dei punti critici più radicali, che sono stati rilevati,cioè il rapporto tra le generazioni, dal quale dipende il tema del discernimento vocazionale.Il Documento preparatorio, per altro, tra le domande specifiche indirizzate alle diocesi europee pone la seguente: «A quali livelli il rapporto intergenerazionale funziona ancora? E come riattivarlo laddove non funziona?».

I dati emersi,generalmente messi a disposizione del pubblico, danno alcuni risultati convergenti, mentre si differenzia la loro analisi e i suggerimenti proposti.Poiché il primo e più evidente dato è il distacco numericamente ampio dei giovani dall’istituzione ecclesiale e dalle sue pratiche, rispetto al secolo scorso, il tema teologico maggiormente interessato è quello della trasmissione della fede in Italia e in genere nell’Occidente, terre di antica tradizione cristiana.A dire di tutti, nondimeno, il superamento di questa divaricazione riesce alquanto difficile, perché i legami tra le due parti sembrano assottigliarsi al punto da scomparire.

Ciò è ufficialmente sancito dal Documento preparatorio che registra il passaggio dal Novecento, secolo dell’ateismo e della contestazione, all’indifferenza e al divorzio attuali delle parti in causa: «Tutto ciò si svolge in un contesto in cui l’appartenenza confessionale e la pratica religiosa diventano sempre più tratti di una minoranza e i giovani non si pongono “contro”, ma stanno imparando a vivere “senza” il Dio presentato dal Vangelo e “senza” la Chiesa, salvo affidarsi a forme di religiosità e spiritualità alternative e poco istituzionalizzate o rifugiarsi in sette o esperienze religiose a forte matrice identitaria».È vero che il Documento rileva alcuni difetti della cultura dominante, in continuità con una denuncia decennale di essi, come anche non nasconde le responsabilità di tanti cristiani adulti nel contribuire a questo distacco; indica però in un preciso atteggiamento dei giovani un punto critico da non trascurare: «i giovani nutrono spesso sfiducia,indifferenza o indignazioneverso le istituzioni».

Seppure con valutazioni diverse, molti commentatori mettono a fuoco, come sopra accennato, la tensione intergenerazionale, ovvero la separazione se non la rottura tra il mondo dei giovani e quello degli adulti, quale dato che abbia originato l’atteggiamento scettico dei giovani. Il noto volumetto di Armando Matteo, La prima generazione incredula, facendo eco ad altri studi, parla persino di risentimento degli adulti verso i giovani, perché con la loro pura presenza questi dichiarano che non tutti sono giovani, svelando il vuoto dei trucchi appositamente studiati dagli adulti per sentirsi sempre giovani.[1]Molto probabilmente la questione è particolarmente acuta in Occidente, dove si sono create condizioni socio-economiche e culturali che hanno dato vita a una ampia fascia di età, appunto il mondo giovanile,durante la quale si definiscono la personalità e il ruolo da assumere in un futuro sempre più spostato in avanti nella società in cui si vive. Il dato problematico è, tuttavia, la rottura e l’opposizione dei due mondi, nei riguardi dei quali Pierangelo Sequeri parla di “ricucire un’alleanza”,[2] con il pregio di richiamare uno dei più grandi temi biblici. Questo tema non soltanto lascia distinti i due mondi e, richiamando l’alleanza biblica di due partnernon paritari, evidenzia il loro differente peso, ma soprattutto conduce a mettere in chiaro la radice teologica della questione. Fermiamoci, infatti, a pensare in modo radicale (in radice) questa separazione intergenerazionale. La sua radice a mio avviso non può che ricondursi alle grandi figure di riferimento dell’intera umanità, così come la teologia paolina ci parla del primo e del secondo Adamo, che è quanto dire origine e fine del creato. Il secondo Adamo ha operato e svelato la sua opera di riconciliazione con l’abbattimento di ogni muro di separazione possibile (Giudeo e Greco, schiavo e libero, uomo e donna), lasciandoci comprendere più pienamente l’oscura causa che sconvolge l’armonia dell’universo e della storia, risalente al primo Adamo e alla sua eredità.

Siamo al cuore di un Vangelo, la cui predicazione importa la chiamata alla conversione perché sia accolto; in quanto tale, esso è segnato dalla lotta con le tenebre che l’avversano e dalla croce, cioè da una dinamica di accoglienza e rifiuto, di derisione e persecuzione e insieme di adesione e sequela di Cristo. I due mondi, giovanile e adulto, sono investiti entrambi dalla chiamata alla conversione per l’accoglienza del Vangelo della riconciliazione.Occorrerà che in entrambi si inneschi un movimento di ritorno in sé per individuare e riconoscere quel che v’è di distortoin questa tendenza alla contrapposizione, o persino scontro, generazionale e lasciarsi correggere dalla buona notizia. Entrambi debbono morire alle tendenze del vecchio Adamo presenti in loro, perché viva la novità della pace e del concorde riconoscimento. D’altronde, per la natura stessa del Vangelo e dell’identità di Colui che lo incarna, Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, i cristiani stessi, che potrebbero sembrare esser posti dalla parte di chi è al sicuro dai pericoli della separazione e della frattura, sono sottoposti anch’essi alla chiamata alla conversione e alla dinamica pasquale del morire per risorgere. Se c’è dunque un esser posti di fronte della Chiesa e dei cristiani rispetto a tutti gli altri, e nel nostro caso ai giovani, questa non è l’unica postura e nemmeno la più fondamentale rispetto a quell’altra, ancora più profonda dell’esser tutti insieme, l’umanità, da una parte rispetto al Cristo e alla sua opera. Quest’intreccio di posture, apparentemente inestricabile,si scioglie in modo semplicese comprendiamo che l’unica via dell’annuncio del Vangelo è quello dell’esserne pienamente investiti aderendovi in modo sempre più pieno, come la dottrina classica ha spiegato parlando di conversione continua o di cammino di santificazione.

Sempre in forza della natura del Vangelo e dell’evento Cristo, nel quale si fonda e compendia il piano creativo e salvifico divino, le dinamiche umane coinvolte nella questione intergenerazionale sono intrinsecamente implicate nell’annuncio cristiano nella forma e sotto la condizione del loro pieno rispetto, perché il Salvatore è anche il Creatore di un universo al quale Egli ha garantito una speciale autonomia per una via di libertà.Se da un lato questo ci rimanda alla responsabilità della ricerca e della comprensione di queste dinamiche, dall’altra ci fa capire che esse sono innestate profondamente nella storia umana e sono superabili solo con l’apertura alla vita nuova istaurata dal Risorto. Se in Costui i blocchi e le fratture sono superati, non è surclassato nondimeno il contributo umano nel rendere pienamente dispiegata la forza di questo superamento edella sua guarigione sprigionatisi nella Risurrezione e nella Pentecoste, anzi tale contributo è chiamato in causa e reso possibile da quell’evento. In altri termini, proprio per la problematica qui focalizzata il contributo umano è esigito e necessario; poiché quella dei giovani e la correlata questione intergenerazionale è una questione antropologica non secondaria, come vedremo, allora metterla a tema nella Chiesa non è una scelta strategica o di convenienza, ma una necessità per rimanere fedeli al Vangelo del Verbo incarnato.

 

La questione antropologica del tempo

Se diamo uno sguardo rapido a queste dinamiche bloccate, descritte dagli studiosi e rilevate dal questionario inviato alle diocesi, comprendiamo più esplicitamente il discorso sin qui condotto.Il punto più diffusamente attestato dalle diocesi italiane riguarda il futuro: un futuro che i giovani non riescono a intravedere, con i conseguenti sentimenti di paura e di disorientamento fino a coltivare forme di nichilismo. «La sfida più rilevante che i giovani incontrano oggi – si è rilevato sul piano nazionale – è quella relativa alla costruzione del loro futuro, soprattutto dal punto di vista del lavoro e di scelte stabili di vita quali la formazione di una propria famiglia».[3]Da parte loro, gli adulti spesso si pongono verso il futuro con un atteggiamento scomposto, che si ripercuote negativamente sui giovani; essi pensano di padroneggiarlo sempre di più, rimanendo concentrati su loro stessi e rimuovendo dalla loro vista il termine e il limite temporale che è loro imposto. Ancora la voce della Conferenza Episcopale Italiana: «Molte Diocesi sottolineano la necessità che l’adulto sia pienamente adulto e sappia proporsi come modello, senza perdersi nella vana ricerca di un’eterna giovinezza, con il rischio di creare una impropria “concorrenza” con i giovani. Si tratta del tema della credibilità degli adulti, della loro autorevolezza, della loro capacità di essere testimoni, educatori convinti e responsabili».

Per ragioni diverse entrambe le parti, dunque, finiscono per vivere in grande disagio, per perdere lucidità di vedute, per contrapporsi soprattutto nello spazio pubblico, accrescendo il proprio malessere, perché tendono a mistificare la realtàin nome di un’altra presunta invenzione di essa alla quale si sforzano di credere. In verità, il malessere nasce dal voler ignorare di essere parte integrante e complementare di un unico corpo, nel quale i giovani necessitano di godere di spazi loro aperti dagli adulti per apportare la propria carica di novità e, insieme, di acquisire la robustezza e la sapienza degli adulti perché i loro slanci non deraglino o rimangano fiammate che ricadono languidamente su se stesse.

In questa descrizione riscontriamo i tratti dei primi capitoli eziologici del libro della Genesi, dall’Eden a Babele, laddove si descrive, scrutandone le origini, un’umanità incamminata in letture del reale del tutto alterate, che profilano uno sbocco di violenza e di morte. Se da quei capitoli viene la lezione di uno sconvolgimento dell’ordine armonico voluto e instaurato da Dio a causa di una responsabilità anche umana, riceve luce anche la nostra problematica nella quale rileviamo un disordine che si radica nel quadro “originario” e che intacca una dimensione fondamentale dell’essere umano: il tempo.

«Il tempo è la forma della transitorietà dei fenomeni – scrive Pavel Florenskij – … Tutto scivola dalla memoria, passa attraverso la memoria, si dimentica. Il tempo, chrónos, produce fenomeni, ma come Chrónos, il suo archetipo mitologico, divora i propri figli. L’essenza stessa della coscienza, della vita, di ogni realtà, sta nella transitorietà, cioè in una specie di dimenticanza metafisica».[4]Una transitorietà e una dimenticanza che, da parte dell’uomo discendente di Adamo, vengono avvertite come un doloroso confronto con la sua fine sempre più prossima: la morte. La realtà di morte ricorda all’uomo il suo esistere nel tempo, così come la coscienza della temporalità della vita ricorda l’esistenza della morte.Entro la tematica del tempo e del morire, importa a noi svelare la paura che sta sotto la coltivazione del mito dell’eterna giovinezza presso gli adulti, la quale paura poi invade anche i giovani che pensano di esorcizzarla con le illusioni scientifiche e tecnologiche odierne circa possibili tentativi di immortalità o di sradicamento di sofferenze e dolori dalla vicenda umana. Di nuovo mi piace citare il pensatore russo nella sua capacità di polverizzareil fantasma del mostro che divora i figli: «La nascita e la morte sono i poli di un’unica realtà, chiamala vivere, chiamala morire, ma il nome più esatto è destino o tempo. Questo tempo uno, questo destino, consta a sua volta di nascita-morte unite polarmente, e così via fino agli ultimi elementi della vita, cioè ai minimi fenomeni di attività vitale».[5]

Da un lato, quindi, riconosciamo l’unità polare di vita-morte nella vicenda terrena segnata dal tempo, dall’altra ci sfida la robusta domanda dell’uomo di ogni tempo, risuonata con forza nel Novecento, secolo di genocidi e della protesta esplicita contro Dio per essi, domanda circa la possibilità che la morte e l’oblio non ingoino nel vuoto e nel nulla la persona e il creato, ma siano in qualche modo abbracciati e contenuti in una vita più grande.Siamo posticosìdi fronte al mistero della Pasqua di Cristo, laddove non solo la vita trionfa, ma soprattutto il cammino attraverso cui Gesù di Nazareth fa nuove tutte le cose è la via dolorosa del Calvario: nella morte sorge la vita, cioè nell’atto del consegnarsi al Padre e agli uomini e nell’atto del morire, e non fuori di esso o accanto ad esso, Cristo risorge. Così la sequenza di Pasqua: «Mors et vita duèllo / conflixèremiràndo: / dux vitae mòrtus, / regnatvivus».

Torniamo alla nostra frattura generazionale per ricomprenderla alla luce della Pasqua. Proprio il rapporto intergenerazionale contiene la chiave dell’unità del tempo e, insieme, dell’unità del genere umano. Sequeri indica la necessità di fare in modo che la condizione giovanile sia percepita come un’iniziazione alla vera condizione umana, quella che fa la storia, cioè quella dell’adulto. Ricostruendo questo asse unitario, riconosciamoche esso corre verso un morire che non è cadere nel nulla, bensì entrare in una pienezza maggiore, in un vero espandersi, e che questo può accadere soltanto consegnandosi con fiducia a un Amore più grande,nel quale ci inveriamo perché Esso è all’origine del dono di quella vita che adesso si ha e a cui si è attaccati. Come questo Amore più grande ha fatto sbocciare la vita, così la custodisce ed è in grado di accrescerla. Gesù Cristo, pur in mezzo alle falsità, alla menzogna e alla violenza ingiusta, si è consegnato a tale Amore perché è origine e fonte di tutto, anche del suo Essere. Non è possibile dunque una riconciliazione sull’asse del tempo, cioè tra le generazioni, senza una riconciliazione con la verità di questo asse;altrimenti detto, esso è fatto per permettere che vi si scorra quale via verso una condizione superiore. Ma la sua legge interna rimane quella di nascita-morte unite polarmente.

È vero, come dice Sequeri, che la prima mossa spettaagli adulti: «Sono loro che devono essere convinti di volere offrire la possibilità che ogni nuova generazione porti al mondo la propria carica di novità e sostenerla in questo, pur con le sue difficoltà, ferite, frustrazioni: l’età giovanile ha diritto a essere un po’ sognatrice e a fare le proprie esperienze anche dolorose».[6] Per far questo essi non possono che essere aperti allo scorrere sull’asse del tempo, a comprendere che il tempo è un dono ricevuto e che sfocia in altro da sé, senza bloccarsi. Consegnarsi a quest’asse è consegnarsi alla vita consentendo l’apertura di spazi alla generazione successiva. Non si potrà consegnare ai giovani il patrimonio, a partire dal quale essi costruiscono la propria esistenza, se non ci si consegna al tempo, al nascere-morire. Entrare nella maturità significa consegnarsi a questo asse, per affidare ai giovani con vera fiducia e convinzione il patrimonio ricevuto dalla precedente generazione e dagli adulti coltivato.

«Nell’adolescenza e nella giovinezza si nasce una “seconda volta” – sostiene mons. Franco Brambilla – quando si deve riconquistare il “patrimonio” (il patrismunus) non ricevendolo come una pura proprietà o una rendita da incassare, ma come un modo di vita da accogliere criticamente e reinterpretare creativamente».[7]Alla luce dell’evento Cristo, l’apertura dell’adulto alla vita nella doppia consegna a un Amore più ampio e ai figli accade nel calore accogliente di una fiducia che è la legge dell’amore. Torna l’eco di due parole forti che ritraggono l’esistenza cristiana: la fede e l’amore,due ante di un’unica porta che consente l’accesso alla novità. La fede fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e «assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità».8

 

La vocazione e il discernimento

Non sarà sfuggito il richiamo del termine vocazione, che fa parte del tema del prossimo Sinodo. Difatti il consegnare e l’accettare il patrimonio in un abbraccio d’amore accade con un passaggio da persona a persona, cioè nella forma della singolarità. Con questanon indichiamo soltanto una quantità numerica, bensì l’identità personale con il processo che la definisce. È il delicatissimo modo attraverso cui qualcuno si appropria dell’esistenza che gli viene donata non solipsisticamente, bensì entro un fascio di relazioni con altre identità, chiamate a sollecitare, a tirar fuori la nuova singolarità. Essa è sempre una novità assoluta e, in certo senso, supera le precedenti identità.Ancora il Documento preparatorio: «Alla luce della fede, essi [i giovani] prendono gradualmente coscienza del progetto di amore appassionato che Dio ha per ciascuno. È questa l’intenzione di ogni azione di Dio, fin dalla creazione del mondo come luogo“buono”, capace di accogliere la vita, e offerto in dono come ordito di relazioni a cui affidarsi».Il mondo degli adulti è, perciò, chiamato a dare credito all’inedito, perché sono i giovani che per primi spingono l’acceleratore verso il futuro, in quanto vedono che tendenzialmente un adulto fatica a vedere o si rifiuta di vedere.

Dare spazio al sogno e all’inedito dei giovani non significa però allentare le redini del comando e concedere qualche possibilità a trovate più eccentriche, bensì sintonizzarsi con il dato antropologico del venir alla luce di una vera novità che è la persona umana stessa. Usando per essa il termine vocazione, la visione cristiana indica che questo venir alla luce non sia semplice frutto di dinamiche biologiche, psicologiche e sociali, bensì che a suscitare e animare queste dinamiche sia l’azione di Dio stesso, che chiama in causa anche quella dell’uomo/educatore.È la ragione per cui il Documento preparatorio insiste sulla necessità di ascoltare i giovani: «Attraverso i giovani, la Chiesa potrà percepire la voce del Signore che risuona anche oggi. Come un tempo Samuele (cfr. 1Sam 3,1-21) e Geremia (cfr. Ger 1,4-10), ci sono giovani che sanno scorgere quei segni del nostro tempo che lo Spirito addita. Ascoltando le loro aspirazioni possiamo intravvedere il mondo di domani che ci viene incontro e le vie che la Chiesa è chiamata a percorrere». Il testo afferma la volontà di ascoltare il mondo giovanile invece di parlare “su di esso” o strategicamente strumentalizzarlo, perché esso custodisce tante ricchezze e porta il futuro del cammino dell’umanità e della Chiesa. Per quanto dai giovani arrivino messaggi contraddittori, il loro ascolto contribuisce in maniera decisiva aprestare orecchio e a cogliere la volontà di Dio, che guida la chiesa e il mondo.

In ragione di ciò, allo svelarsi di una persona/vocazione corrisponde il discernimento, termine molto presente nella tradizione cristiana, e usato soprattutto negli ultimi quarant’anni in vari ambiti per indicare pratiche diverse. Il Sinodo conosce questa molteplicità di usi e pratiche e precisa: «Ci concentriamo qui sul discernimento vocazionale, cioè sul processo con cui la persona arriva a compiere, in dialogo con il Signore e in ascolto della voce dello Spirito, le scelte fondamentali, a partire da quella sullo stato di vita. Se l’interrogativo su come non sprecare le opportunità di realizzazione di sé riguarda tutti gli uomini e le donne, per il credente la domanda si fa ancora più intensa e profonda. Come vivere la buona notizia del Vangelo e rispondere alla chiamata che il Signore rivolge a tutti coloro a cui si fa incontro?».

Prima di spendere qualche parola sul discernimento vocazionale, desidero fare una precisazione sugli aspetticulturali di esso, al quale prestano molta attenzione diversi autori. Poiché ci troviamo in un’epoca di trapasso o cambiamento d’epoca, come dice il Papa, sono cambiate le parole chiave, per dirla con Armando Matteo. Fino ad alcuni decenni fa le forme dell’annuncio del Vangelo erano in netta sintonia con la griglia di lettura dell’umano usata per introdurre i piccoli all’avventura della vita, sicché ciascuno apprendeva fin dal seno della madre, e poi a scuola e poi nel circolo di amici e così via, le parole stabili della vita e insieme il primo annuncio del Vangelo.Oggi sono scomparse queste parole stabili, o parole chiave, e si comprende la distanza, l’indifferenza e l’incredulità delle nuove generazioni rispetto al Vangelo e alla Chiesa.[8] Sembra fare eco a queste osservazioni il Documento preparatorio quando rileva lo spazio, difficile da colmare,che si apre tra il linguaggio ecclesiale e quello dei giovani. Perciò esso non ha timore di suggerire agli operatori pastorali di spingersi rispetto al passatoverso «percorsi di avvicinamento alla fede sempre meno standardizzati e più attenti alle caratteristiche personali di ciascuno: accanto a coloro che continuano a seguire le tappe tradizionali dell’iniziazione cristiana, molti arrivano all’incontro con il Signore e con la comunità dei credenti per altra via e in età più avanzata, ad esempio partendo dalla pratica di un impegno per la giustizia o dall’incontro in ambiti extra-ecclesiali con qualcuno capace di essere testimone credibile».

Si intuisce che il discernimento vocazionale non possa prescindere da questo discernimento culturale, le cui dinamiche non sono soltanto individuali o di un piccolo gruppo di persone, ma coinvolgono processi sociali e storici molto più ampi.Anche in questa luce ritorna a proposito il suggerimento diPapa Francesco di non occupare spazi, ma di generare processi. Mi limito qui soltanto a compilare un indice di questi ambiti culturali, ai quali si rivolge l’attenzione della teologia e del clero, sin qui ancora timidamente: il valore della corporeità e della sessualità, con le connessioni della maturazione affettiva; il rapporto con la scienza e la tecnologia con le visioni ideologiche/onnicomprensive di cui sono portatrici; la trascendenza, la domanda religiosa e il contatto ormai ravvicinato con una molteplicità di religioni.

Quando entriamo nel discernimento vocazionale incontriamo soprattutto la sfera della libertà, con i risvolti teologico ed etico.La vocazione è la piena realizzazione dell’uomo nell’amore, dunque essa prende corpo all’interno del principio dialogico in cui è stato creato. Appropriarsi dell’esistenza alla luce del Vangelo implica un entrare nella visione stessa che Dio ha della storia e nel dinamismo che vi imprime con la collaborazione dell’uomo stesso.[9] Ciò comporta l’aspetto recettivo della luce divina, con le dinamiche dello Spirito e della Parola che rendono docili, illuminano e sostengono la persona nel conoscere e prendere decisioni secondo il volere divino, ma anche l’aspetto più propriamente attivo del soggetto che cerca, riflette, esamina, consulta, ed esercita così la propria libertà pervenendo alla formulazione di un giudizio e alla determinazione di un percorso d’azione.

Tra la persona umana e Dio esiste infatti, una comunicazione vera che, per avere la garanzia della libertà, ricorda MarkoRupnik, si avvale dei pensieri e dei sentimenti dell’uomo.[10] Il discernimento fa parte della relazione vissuta tra Dio e l’uomo, anzi è proprio uno spazio in cui l’uomo sperimenta il rapporto con Dio come esperienza di libertà, addirittura come possibilità di crearsi. Attraverso di esso l’uomo dischiude se stesso nella creatività del tempo e crea la storia creando se stesso. Nel discernimento l’uomo comprende se stesso tenendo conto della struttura coesiva del creato, il vedersi nell’unità perché si vede con l’occhio di Dio che vede l’unità della vita, dell’umanità, del creato. Si attua perciò una lettura sapienziale e spirituale della storia personale, collettiva e, in certo senso, cosmica, che per la presenza e l’azione dello Spirito è diventata vera comunicazione-Parola di Dio per me qui e ora.[11] È indicativo che si siano sviluppate lentamente nella storia della spiritualità cristianaregole e criteri di questo discernimento. Si è subito percepito dagli antichi padri che la memoria della sapienza accumulata nell’esperienza non dovesse andare perduta, ma conservandola evitasse di cadere nella trappola di voler servire l’amore affermando se stessi. Questa indiscussa prassi ecclesiale rafforza l’idea che la vita spirituale, ma in genere la vita umana, si impara in modo sapienziale, cioè dalle persone, dove è evitato, dice ancora Rupnik, il rischio dell’ideologia, delle teorie, e dove emerge un pensiero nato dalla vita e una vita illuminata da un intelletto guidato dallo Spirito. Difatti, secondo questo gesuita contemporaneo, gli antichi maestri spirituali non scrissero regole per il discernimento, perché lo ritenevano possibile solo all’interno del discepolato o della paternità spirituale.Per imparare quindi a discernere bisogna anzitutto imparare una relazione, entrare in una relazione sana. Come potrebbe farsi questo se le generazioni si scontrassero a lungo?

Il cammino verso il Regno di Dio

Qui si chiude il cerchio del nostro discorso sul futuro o sul tempo e l’atteggiamento con il quale l’adulto è chiamato ad affrontarlo nel passaggio di consegne al giovane, che poi costituisce l’intera attitudine del vivere. Ecco il Documento preparatorio: «Il ruolo di adulti degni di fede, con cui entrare in positiva alleanza, è fondamentale in ogni percorso di maturazione umana e di discernimento vocazionale. Servono credenti autorevoli, con una chiara identità umana, una solida appartenenza ecclesiale, una visibile qualità spirituale, una vigorosa passione educativa e una profonda capacità di discernimento». La possibilità del futuro si apre e si dona nella terza parola che la teologia ha ritenuto costitutiva dell’esistenza cristiana, dopo la fede e l’amore, cioè nella speranza. Questa sorge in corrispondenza di una promessa e di una certezza che questa sia mantenuta, basatasull’autorevolezza di chi promette. Mons. Brambilla nel già ricordato discorso non a caso riprendeva l’esodo ebraico dall’Egitto verso la terra promessa quale immagine tipica per raffigurare il crescere verso l’età adulta della vita e della fede: uscire dalla prima casa, passare attraverso il deserto, per entrare nella casa del futuro. Da Abramo in poi, si inizia a uscire perché una parola-promessa apre un futuro, per quanto colui che esce non lo vede, ma si affida a Colui che parla-promette.

La tensione che constatiamo in ogni esodo-crescita-passaggio possiamo incastonarlanella vocazione del creato alla comunione con Dio, che il Vangelo annuncia come sua partecipazione alla comunione del Figlio con il Padre mediante lo Spirito. Questa non si realizza immediatamente nell’esistenza di ogni singola creatura, ma soltanto con il raggiungimento dell’apice creaturaleche è l’essere umano, dove si giunge alla distinzione esplicita tra Dio e la realtà creaturale; infattisolo l’uomo e la donnasono costituiti soggetto dialogico. Si pongono così le basi, dicono i teologi, perché si dia una partecipazione creaturale alla distinzione del Figlio dal Padre e aldialogo tra i due. Ma la partecipazione alla comunione del Figlio con il Padre, dice Pannenberg,[12] non si consegue neppure con il formarsi dell’uomo/donna nella successione della serie creaturale. Chi è unito mediante lo Spirito nella comunione del Figlio con il Padre non è il primo Adamo, ma l’uomo escatologico, l’ultimo uomo, quello che è apparso in Gesù Cristo nella cosiddetta unione ipostatica.

La tensione tra l’origine e il compimento della vocazione del creato e in esso dell’umano si spiega con il fatto che questi è destinato ad una vita autonoma, quella che si attua e decide nel e con il tempo. Questa esistenza autonoma dell’umano deve maturare in sé e pervenire all’unione ipostatica di Gesù per far trasparire il rapporto del Figlio con il Padre. Gesù dice che chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino non può entrare in esso. Ciò è riferito a persone adulte, le quali, raggiunte il loro grado di autonomia, assumono nei confronti di Dio l’atteggiamento del bambino che tutto attende e riceve dal Padre. Questo suppone che la persona umana abbia imparato a distinguere Dio da tutto il resto delle creature e di ciò che è nell’orizzonte terreno; suppone ancora la presenza di una capacità di discernere, di cogliere l’alterità delle cose nei loro reciproci rapporti e in riferimento al proprio io. Qui si fonda la distinzione del finito nella sua globalità, incluso l’io, dal Dio eterno.

Se vogliamo attribuire alla fase giovanile un luogo proprio rispetto a quella adulta, possiamo meglio comprenderla soprattutto nel travaglio del definirsi entro la vicenda umana, temporalmente segnata, in questa tensione di origine e fine del creato.In tale tensione l’asse del tempo è un passato in cui la propria esistenza affonda le origini, con il suo peso necessitante e irrinunciabile, rassicurante ma anche tendenzialmente soffocante; è anche un futuro aperto e incerto, con le illusioni e le appassionanti sfide. L’adulto maturo, che ha raggiunto un grado di comportamento autonomo tramite la guida e il sostegno dei suoi “genitori”, a questo futuro si apre come alla sola dimensione che può garantirgli pienezza e compimento, ma ben oltre il tempo stesso. Nella semplice esperienza creaturale, però, non coincidono origine e compimento, che viene svelato e assicurato solo nell’unità di un progetto che li abbraccia entrambi e li garantisce oltre il piano creaturale. È il Regno di Dio annunciato da Gesù Cristo, è Gesù Cristo medesimo, crocifisso e risorto. Il suo annuncio riapre al giovane una speranza non illusoria.

 + Antonino Raspanti

[1] La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, Rubbettino, Soveria Mannelli 2017, pp. 5657.

[2] Ricucire un’alleanza. Oltre la retorica della «condizione giovanile», in «Il Regno – Attualità» 2 (2018) 8-9.

[3] Conferenza Episcopale Italiana, Sintesi delle risposte diocesane al Questionario in preparazione al Sinodo 2018 su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.

[4] P.A. Florenskij, La colonna e il fondamento della Verità, Milano 19982, p. 54.

[5] Ibid., p. 594.

[6] Ricucire un’alleanza, p. 9.

[7] Il futuro dei giovani. Discorso alla città nella festa di san Gaudenzio 2018, Novara 22 gennaio 2018. 8 Papa Francesco, Lettera Enciclica Lumen Fidei, n. 53.

[8] La prima generazione incredula, pp. 17-32.

[9] Innumerevoli sono gli studi sul discernimento, inteso sin qui dai teologi soprattutto come discernimento spirituale in relazione con la direzione o accompagnamento spirituale. Si veda ad esempioDirezione spirituale e accompagnamento vocazionale.Teologia e scienze umane a servizio della vocazione, a cura del Centro nazionale vocazioni, Ancora, Milano 1996; M. Costa, Direzione spirituale e discernimento, Edizioni AdP, Roma 20094.

[10] Il discernimento, Lipa, Roma 2004, passim.

[11] Cfr. I. Platovnjak, La direzione spirituale oggi. Lo sviluppo della sua dottrina dal Vaticano II a Vita consecrata (19621996), Ed. Pontificia Università Gregoriana, Roma 2001, pp. 401-403.

[12] Cfr. W. Pannenberg, Teologia sistematica 2, Queriniana, Brescia 1994, pp. 161-172.

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