Viticoltura / L’Etna non ha bisogno degli occhiali da sole per fare bella figura

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Nel mondo del vino ci sono persone che utilizzano i loro account social per parlare di aree vinicole e, se hanno talento per la comunicazione, hanno una certa risonanza.
Il vino non ha solo bisogno di parole e di immagini per essere raccontato. Del bisogno di raccontarlo si accorse lo scrittore e critico inglese Hugh Johnson già sul finire degli anni ’70 del secolo scorso.
>Su questo filone s’inserì Jamie Goode che a partire dagli anni ’90 contribuì come redattore scientifico pubblicando articoli e resoconti al termine dei suoi viaggi nelle terre del vino di tutto il mondo.

Si comincia a scrivere di viticoltura

Quando i due scrittori inglesi cominciarono a scrivere di vino guadagnando grazie a questa attività, il panorama della scrittura sul vino stava già iniziando a cambiare in modo significativo. Internet era ancora agli albori e i media tradizionali, come tv e giornali, non avevano ancora risentito di questo nuovo mezzo di comunicazione.
>E così accanto alle persone che definiremmo scrittori di vino, emerse un gruppo d’èlite di critici.
>Mentre per i primi l’obiettivo era il racconto della vigna e dei valori attorno ad essa, per i secondi era quasi esclusivamente quello di assaggiare il maggior numero possibile di vini per poi valutarli. Si trattava in gran parte di un fenomeno americano. Oggi l’influenza dei critici si è diffusa in tutto il pianeta.Viticoltura

Viticoltura / Cambiano i contenuti

Nascono così le newsletter, si pubblicano report e punteggi. Si cominciano a fare i primi parallelismi tra una regione e l’altra, tra una menzione geografica aggiuntiva e un crù, paragonando i vitigni italiani a quelli francesi.
Come è cambiato il racconto del vino? Ecco due risvolti. In primo luogo, c’è una quantità di contenuti molto alta e quelli veramente autentici rischiano di restare in un limbo.
>In secondo luogo, poiché sempre meno sono le testate che pagano adeguatamente i giornalisti specializzati e sempre di più sono quelle, soprattutto digitali, che pubblicano materiale dietro cospicue somme, tutto ciò favorisce un numero ristretto di cantine che guadagnano una crescente notorietà per i motivi che abbiamo detto nell’introdurre quest’ articolo.

Viticoltura / Promozione e valorizzazione di un territorio

Le voci indipendenti non avranno più motivo di esistere. Di voci che per esempio sappiano distinguere promozione e valorizzazione di un territorio. Si tratta di due concetti diversi. Per promuovere un territorio, bisogna dapprima conoscerne i suoi aspetti più profondi ed enfatizzarli attraverso la costruzione di un processo di comunicazione verso il mercato.
La valorizzazione del territorio, è un concetto complesso e abusato. Soprattutto nel turismo, dove per essere competitivi ed attrarre i turisti si tende a ragionare appunto in quest’ottica. Se non si conosce ogni aspetto di un territorio non lo si può valorizzare correttamente ed efficacemente.

Prendiamo spunto dal padre della semantica Alfred Korzbisky: “la mappa non è il territorio”. C’è una sostanziale differenza, infatti, tra la rappresentazione e la realtà. A questa espressione Korzybski ne aggiungeva un’altra, “la parola non è la cosa”, che spiega ancora meglio quali siano le conseguenze del farsi carico di questa comprensione. La mappa e la parola hanno strutture simili rispetto al territorio e alla cosa, ma non esauriscono quel che rappresentano.Vigna sull'Etna

Viticoltura / Saper gestire la comunicazione

Diventare famosi nel mondo del vino richiede un po’ di fortuna, la capacità di saper gestire bene la comunicazione attorno ad esso riuscendo a convincere gli altri che hai qualcosa di valido da dire. Vedi Marc De Grazia,  pioniere del mercato vinicolo dei vini dell’Etna, quando nel 2002 definì il territorio etneo la “Borgogna del Mediterrano”. Se i sorsi ampi e la trama tannica e sopratutto l’evoluzione del nostro nerello mascalese siano più o meno grintosi come quelli del pinot nero non è argomento di questo articolo.  Molti produttori stessi dell’Etna sostengono che esiste una sottile linea rossa che ne rimarca alcune importanti differenze.
Dunque, quella di De Grazia è stato un fondamentale contributo per la promozione sul mercato dei vini dell’Etna. Dagli inizi del XXI secolo sul vulcano c’è un attenzione mediatica che ha fatto sicuramente bene alla sua immagine.

Viticoltura / L’Etna come Puligny Montrachet

Siamo oggi alle prese con un nuovo caso.  Il critico di vini statunitense James Suckling visita spesso il vulcano e le sue più rinomate cantine. La scorsa settimana ha dato una sua interpretazione del versante est postando un video  dove si vedono i vigneti di due importanti realtà vinicole di questo versante e i loro titolari passeggiare nella vigna.
“Etna’s Puligny Montrachet?” è il testo che campeggia sullo sfondo del video. Per i meno informati, Puligny e Montrachet sono due comuni francesi noti per i loro prestigiosi grand cru di chardonnay. Tentare di dare una risposta ad oggi è una partita persa. Comunque va detto che il carricante evolve bene nel tempo e regala grandi bevute dopo diversi anni di affinamento in bottiglia.

Con “Etna’s Puligny Montrachet” si vuole costruire, come afferma una collega, uno “storytelling intriso di carisma e sintomatico mistero”. Ed è proprio vero. L’Etna non ha bisogno, parafrasando un figlio del vulcano come Franco Battiato, di indossare gli occhiali da sole per fare bella figura.
Ora Puligny Montrachet è un territorio che produce vini di pregio da tempo memorabile. Invece nel territorio di Milo c’è stata negli ultimi anni una rapida crescita dei vigneti, alcuni anche convertiti da nerello mascalese con il più redditizio carricante.

Puligny e Montrachet sono tra le zone più esclusive di Francia e al mondo grazie ad una combinazione di fattori quali la qualità dei vini, il terroir, la storia e la cultura, la promozione e la comunicazione.
È appena iniziata la storia dei vini dell’Etna e già sentiamo il bisogno di gettare polvere di stelle su di essa. Che bisogno c’è? Domandarsi se l’Etna sia in qualche modo il riflesso di Puligny Montrachet non è esercizio di glorificazione ma di semplificazione.
Un binomio che dapprima ci rassicura ma dopo ci confonde. Come quelle diagnosi di internet fai da te. Paul Valery ne Il nostro destino e le lettere espresse così questa tesi: «Tutto quel che è semplice è falso. Tutto ciò che è complesso è inutilizzabile».

 

Domenico Strano