In un reattore di Chernobyl è stato scoperto un fungo che si “nutre” delle radiazioni, altamente deleterie per la maggior parte degli organismi viventi. L’incidente avvenuto alla centrale nucleare di Chernobyl nel 1986, nei pressi della città di Pripyat in Ucraina, viene considerato ad oggi il più grave evento nella storia dell’energia nucleare. L’esplosione del reattore numero 4 ha causato una contaminazione radioattiva diffusa. Ciò ha reso inabitabile una vasta area di circa 30 chilometri di raggio, dove i livelli di radiazioni rimangono elevati purtroppo anche decenni dopo.
Mentre l’alta radioattiva risulta essere nociva per la maggior parte delle specie viventi, alcune se ne “nutrono”. E’ il caso del Cladosporium sphaerospermum, un fungo nero soprendentemente resistente individuato dagli scienziati. Dopo l’incidente, di fatti, gli studiosi hanno osservato delle macchie scure sulle pareti del reattore n.4. Queste chiazze si sono rivelate essere colonie fungine che incredibilmente crescevano rigogliose proprio dove la radiazione era più intensa.
Chernobyl: le radiazioni sono cibo per un incredibile fungo / Il sole sta alle piante come le radiazioni stanno al fungo
Le modalità di adattamento di questo fungo alle condizioni di inquinamento radioattivo sono a dir poco stupefacenti. Questo organismo è in grado di tollerare dosi di radiazioni che sarebbero letali per la maggior parte degli esseri viventi, riconvertendole, peraltro, in nutrimento. Il fungo, in modo analogo a come le piante utilizzano la luce solare durante la fotosintesi, assorbe l’energia proveniente dalla radiazioni ed è capace di utilizzarla per il suo sostentamento.
Approfondimenti scientifici hanno rivelato che C. sphaerospermum e altri funghi simili – come Wangiella dermatitidis e Cryptococcus neoformans – contengono melanina, il pigmento che negli esseri umani protegge la pelle dai raggi UV e ne determina la colorazione. Nei funghi, però, la melanina sembra avere un ruolo differente, catturando le radiazioni e convertendole in energia chimica: in tal modo riescono a crescere in ambienti fortemente contaminati.
I cosiddetti “funghi radiotrofici” usano quindi questo processo per “alimentarsi” tramite l’energia delle radiazioni ionizzanti. Uno studio pubblicato su PLOS ONE nel 2007 ha confermato che i funghi come C. sphaerospermum esposti a radiazioni crescono più rapidamente rispetto a quelli coltivati in condizioni normali. Questa scoperta ha sicuramente suscitato grande interesse tra i ricercatori che studiano gli estremofili, ovvero organismi che sono in grado di sopravvivere in ambienti estremi.
Chernobyl: le radiazioni sono cibo per un incredibile fungo / Ambiti di applicazione
La presenza di C. sphaerospermum nell’area contaminata di Chernobyl ha portato a nuove ricerche sul suo possibile impiego nel biorisanamento. Si tratta di una tecnica basata sull’utilizzo di organismi viventi per ridurre l’inquinamento ambientale. Potrebbe rivelarsi ideale soprattutto in siti altamente radioattivi, dove i metodi tradizionali di bonifica sono difficili e rischiosi. Questi funghi potrebbero invece evidentemente rappresentare una soluzione naturale più sicura ed efficace.
Oltre alla bonifica terrestre, gli scienziati stanno esplorando e valutando il potenziale del fungo anche in ambito aerospaziale. L’ambiente spaziale è notoriamente ostile e ricco di radiazioni cosmiche, il chè rappresenta certamente una sfida per le missioni di lunga durata. Questo fungo dall’inestimabile resilienza è stato già testato a bordo della Stazione Spaziale Internazionale per lo studio della sua capacità di assorbire le radiazioni e proteggere gli astronauti, dando effettivamente luogo a dei dati preliminari promettenti.
Oltre alla sua resistenza alle radiazioni, C. sphaerospermum è in grado di sopravvivere in ambienti caratterizzati da temperature rigide, alta salinità e forte acidità, rendendolo uno degli organismi più resilienti finora studiati. La capacità di adattamento di questo tenace essere vivente può essere colta come un’opportunità per lo sviluppo di nuove tecnologie. Potrebbe, infatti, contribuire alla creazione di materiali schermanti per l’energia nucleare e finanche aiutare le colture a sopravvivere in condizioni ambientali difficili. Offrirebbe quindi non solo soluzioni innovative in ambito di decontaminazione dei rifiuti radioattivi, ma anche in un più ampio ventaglio di sfide future.
Maria Maddalena La Ferla