Agnieszka Radwanska, per la morte del nonno, si ritira da un torneo di tennis a testimonianza che lo sport è innanzi tutto fatto di valori.

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agniezkaLa tennista polacca Agnieszka Radwanska si è ritirata da un importante torneo di tennis, ma la notizia non ha avuto il risalto che meritava. Il ritiro infatti non è stato causato da un infortunio fisico, fatto frequente in un’attività esasperata quale quella del moderno sport professionistico. La ragazza ha abbandonato la competizione (negli USA ) per volare a casa ed assistere al funerale del nonno. Dov’è l’importanza della notizia?  Nel fatto che il dorato mondo dello sport, come quello dello spettacolo (ammesso che siano ancora separati ), riconosce come massima suprema “ the show  must go on – lo spettacolo deve continuare “ , nonostante tutto. Questa simpatica ragazza, n° 3 della classifica mondiale e abituata alle luci della ribalta, è voluta uscire da questa logica per seguire la voce del cuore. Un nonno non si inventa, il suo affetto non si compra, quando si perde è per sempre. Purtroppo le esigenze dello spettacolo hanno superato quelle della vita. Nelle settimane scorse è morto un motociclista a Mosca, in una corsa partita durante un uragano. I piloti della corsa precedente avevano segnalato l’assurdità di correre in quelle condizioni ma non ce n’era bisogno: lo sanno tutti che sotto la pioggia battente il primo vede poco, gli altri quasi niente. La gara però ha preso ugualmente il via. In seguito all’incidente la corsa è stata prima  sospesa e poi annullata insieme alle successive. Ma solo dopol’incidente mortale, quando era ormai troppo tardi. Come si può partire e correre a 300 all’ora senza vedere niente? Purtroppo il mondo va così. Molti ricorderanno la partita Juventus – Liverpool all’ Heysel di Bruxelles nel 1985. Prima della partita ci furono terribili incidenti (ma queste battaglie possono essere chiamate incidenti?) sugli spalti con 39 morti ed oltre 600 feriti. La partita si giocò ugualmente, il trofeo assegnato, come se la gara fosse stata regolare. Si disse che giocare era inevitabile per evitare ulteriori e più gravi disastri. Domandiamoci: ma lo sport educa a questo? Siamo sicuri di aver progredito rispetto al tempo dei gladiatori? Che dire di tutte quelle forme di boxe estrema che consentono ginocchiate e calci in testa? Forse è ora di riaffermare con forza che la vita dell’uomo non può essere asservita al denaro che governa il mondo dello spettacolo con sommo disprezzo della morale.
                                                                                                                                            Annamaria Distefano

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