CARITAS ITALIANA: Intervista con il nuovo direttore mons. Francesco Soddu

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CARITAS ITALIANA

Essere ed esserci per servire

Intervista con il nuovo direttore mons. Francesco Soddu

Si insedierà ufficialmente lunedì 20 febbraio il nuovo direttore di Caritas italiana, mons. Francesco Soddu. Prende il posto di mons. Vittorio Nozza, che ha guidato la Caritas per ben 11 anni. Mons. Soddu, 52 anni, ordinato presbitero nel 1985, è stato dal 1997 parroco della cattedrale di Sassari e dal 2005 direttore della Caritas diocesana. Ha compiuto gli Studi teologici presso la pontificia Facoltà Teologica della Sardegna.

Si aspettava questa nomina? Come la sta vivendo?

“È una nomina che non mi aspettavo nella maniera più assoluta. Se la guardo all’interno della storia della mia vocazione, vedo che il Signore mi ha sempre dato più di quello che potessi immaginare. Sentendomi circondato dall’amore di Dio non posso che rispondere di sì. L’impegno come direttore della Caritas di Sassari è stato grande. All’inizio avevamo solo mensa, centro distribuzione viveri, ostello, studio dentistico, ma erano solo servizi. La struttura della Caritas è invece ecclesiale, cercando sempre di essere al servizio della Chiesa e del territorio”.

Siamo in un periodo sociale molto impegnativo: crisi economica, disoccupazione, aumento dei poveri che vengono a chiedere aiuto nei centri di ascolto Caritas. Come vede questa sfida?

“È la sfida di tutti i tempi. La Chiesa deve sempre mettersi in ascolto ed essere strumento della prossimità di Dio, anche attraverso le reti di collegamento e di promozione della persona. Benedetto XVI in occasione del convegno celebrativo dei 40 anni di Caritas italiana ci ha dato delle indicazioni, che costituiranno il motivo propulsore dei prossimi anni: non basta l’elemosina, è necessaria la vicinanza. Ciò che determina l’aspetto più struggente e drammatico della crisi non è tanto la perdita dei valori, ma aver perso il punto riferimento primo che è l’uomo. E perdendo di vista Dio si perde l’uomo”.

Quali emergenze sociali la preoccupano di più?

“Famiglia, casa, lavoro. Sono le cose che preoccupano maggiormente in Italia e nel mondo, basti pensare alla Grecia in questi giorni”.

Intravede speranze nel cambiamento politico in atto?

“Guai a noi se non intravedessimo delle speranze. Come cristiani dobbiamo essere persone di speranza. Non tanto per vedere il sole dove non c’è. Abbiamo la speranza che ci proviene da Dio e punta molto sull’uomo”.

Anche se un terzo dei giovani in Italia è senza lavoro?

“Non siamo chiamati noi a risolvere i problemi sociali, questo è un compito che spetta alle istituzioni. Noi siamo chiamati a dare un senso al vivere e al lavoro”.

Però la Caritas ha un ruolo importante di stimolo delle istituzioni…

“Certo. Noi dobbiamo essere strumento di servizio all’interno del territorio, per creare sempre dei contatti, delle reti. Dobbiamo recuperare il grande tema delle relazioni, affinché, soprattutto nelle piccole realtà, producano ulteriori relazioni, e di conseguenza lavoro”.

La Caritas deve continuare a mantenere alto il suo ruolo profetico di denuncia delle ingiustizie?

“Sì deve mantenerlo, ma contestualmente deve proclamare la verità, in positivo. Questo è ciò che fa la Chiesa, e la Caritas non è altro che uno strumento pastorale della Chiesa. Lo fa in collegamento e in comunione con tutti gli altri uffici della Chiesa, in questo caso della Cei e delle diocesi”.

C’è poi l’attenzione alle povertà e alle emergenze nel mondo…

“L’area della mondialità è molto importante, è uno dei miei primi amori. L’impegno della Caritas in quest’area è veramente meritevole e meritorio. Anche quando nessuno ne parla la Caritas è sempre presente nei luoghi delle emergenze. Bisogna coniugare l’emergenza con il lavoro quotidiano”.

Nella sede della Caritas è in corso una giornata di riflessione sul carcere. Cosa pensa della situazione e del recente decreto “svuota carceri”?

“Le difficoltà legate al carcere sono soprattutto quando la persona esce: è difficile l’inserimento lavorativo e sociale. Molte persone, purtroppo, affermano che si trovavano meglio in carcere. Speriamo che il decreto non sia solo un modo per svuotare un posto e mettere la persona in una situazione più disagiata di prima. Poi ogni passo in sé non è mai sufficiente da solo, bisogna aggiungere delle norme applicative. Purtroppo in carcere vi sono i più poveri tra i poveri. Tante persone si trovano lì perché non hanno nient’altro. Alla povertà di relazione si aggiunge la povertà dell’alloggio, che potrebbe essere invece un supporto per poter intessere delle relazioni”.

a cura di Patrizia Caiffa

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