“Oltre l’adesso. Nel divenire dell’essere” è la seconda fatica compositiva di don Orazio Tornabene, direttore della Caritas diocesana di Acireale, che a distanza di un anno torna sugli scaffali delle librerie con una nuova raccolta di poesie che mette in relazione bellezza e speranza.
Il volume, edito da La voce dell’Jonio e presentato a Roma il 7 maggio scorso, si compone di tre parti, introdotte da acquerelli che l’autore ha realizzato e scelto come apripista al ciclo poetico. Inevitabile il rimando alla Divina Commedia: nel parallelismo voluto da don Orazio anche le sue composizioni poetiche sono 33 per parte e ciascuna è introdotta da un verso che rievoca, appunto, l’opera dantesca.

Come per la Divina Commedia anche il primo capitolo, quello che riporta come titolo “E quindi uscimmo a riveder le stelle” viene introdotto da una parte che esula dalle 33 poesie e si colloca come train de union tra la prima composizione e questa seconda.
Oltre l’adesso, tra spiritualità e poesia
Al motto latino “hic et nunc” si contrappone il concetto di “oltre l’adesso”, una visione prospettica della vita che non si ferma al momento esatto in cui si vive ma che rimette al centro la vita oltre la vita stessa: l’Eterno al quale il credente si prepara per tutto il corso della propria esistenza terrena.
Don Orazio, che di poesia in poesia si fa ora Virgilio ora Beatrice, sovverte i ruoli e con le sue parole accompagna il lettore dentro i temi che affronta con la sua poetica. A differenza de “il creato canta la Tua bellezza” la nuova opera non vede l’alternarsi di parole e fotografie, ma è una lettura che non si interrompe e che lascia spazio al lettore di associare l’immagine che la poetica gli ispira.
Nella libertà di immaginare il lettore si riscopre parte stessa dell’opera, potendosi appropriare delle emozioni dell’autore e sintetizzarle come proprie.
La poetica del Tornabene si piega quindi alla personale ricerca spirituale che accompagna il sacerdote acese e che, nonostante la scelta di seguire il Signore, resta prepotente compagna di cammino che non lascia statica la fede del giovane prete. E’, al contrario, una ricerca inquieta di sacralità in tutto quello che incontra, nelle macchie stesse che si formano sul tappeto della vita, mutando la ricerca in una strada lastricata di domande che portano a Dio. E questa sua inquieta ricerca traspare perfettamente dalle poesie che ha scelto di condividere in questa raccolta e che si pongono come stimolo ad un cammino di fede per chi legge.
Prima parte / “e quindi uscimmo a riveder le stelle”: dal peccato alla bellezza
Il primo capitolo della tripartita antologia si rifà nel titolo al verso che conclude il cammino all’inferno di Dante e Virgilio: “e quindi uscimmo a riveder le stelle”.
Il canto XXXIV dell’inferno rimette al centro la speranza: dopo aver attraversato i suoi gironi ed aver dialogato con le anime dei dannati finalmente Dante e Virgilio arrivano al purgatorio. Lasciano il luogo in cui sono condannati i peccatori, buio e intriso di dolore, e sono rischiarati finalmente dal chiarore della luna.
Non è più il “caddi come corpo morto cade“, che segue l’incontro con Paolo e Francesca e che provoca nel poeta un senso di pietà e dolore talmente lancinante da procurargli un mancamento. Nell’ultimo verso che anticipa il purgatorio, nonostante la presenza ancora forte del peccato, i protagonisti iniziano ad essere rischiarati dalla luce della speranza nella misericordia di Dio.
Don Orazio non sceglie di partire dal peccato oscurante nella sua raccolta, ma decide di iniziare da quello che può tirartene fuori: il desiderio di uscire a rivedere le stelle nonostante il buio della propria vita. E’ un parallelismo che pianta radici nel tema del giubileo e che lo sposa interamente.
Prima parte / “e quindi uscimmo a riveder le stelle”: la speranza che risiede nella bellezza
La speranza risiede poi nella Bellezza, e questo concetto fa da ponte con la precendente narrazione poetica.
Nel ministero sacerdotale non c’è concetto che meglio può raccogliere questo sentimento: il prete non condanna, ma da buon traghettatore accompagna ad uscire dal buio del peccato. Il ciclo di poesie che compongono questa prima parte fa evincere proprio questa paterna consolazione: da “solco” a “crisalide“ è un lento evolversi della poesia che sollecita la personale riflessione spirituale, che supporta la vocazione cristiana e che alla fine lascia la sensazione che quelle stelle sono nel cielo e sulle nostre teste e che per rivederle basta solo sollevare il capo dal buio dei nostri errori.

Un ciclo poetico che ricalca il ciclo della vita, quella stessa che l’autore scruta con gli occhi della meraviglia e che circonda ciascuno di noi. La contemplazione del mondo ci avvicina a Dio, accompagnandoci verso la fine della nosta vita nella quale saremmo davanti a Lui con il bagaglio di bellezza che abbiamo saputo prendere e dare con la nostra stessa esistenza.
Le stelle, guidati dalle parole di don Orazio, non vanno cercate: vanno solamente finalmente viste.
Seconda parte / “per correr miglior acque”: dal purgatorio al paradiso
“Per correr miglior acque alza le vele / ormai la navicella del mio ingegno / che lascia dietro a sé mar si crudele / e canterò di quel secondo regno / dove l’umano Spirito si purga / e di salire al ciel diventa degno”
Il secondo cantico della Divina Commedia porta Dante e Virgilio nel purgatorio. Nel nostro viaggio parallelo l’attenzione dell’autore si sofferma su parole chiave che diventano titoli delle sue poesie: “vita”,“esodo”,“personalità” incarnano questo cammino e lo raccontano man mano che si va avanti con la lettura.
Il desiderio di chi è nel purgatorio è quello di percorrere vie migliori, acque meno torbide di quelle del peccato. Il percorrere nuove strade, il mettersi in cammino, come fa Maria quando sa di Elisabetta, è segno del movimento, dello sfidare sè stessi, del mettersi nel viaggio dell’evoluzione. Ed evolvere, nella logica cristiana, è far si che possano correggersi i propri sbagli.

In questa prospettiva la scelta di introdure il capitolo con l’acquerello “Funambolo” rappresenta proprio questo turbamento umano: l’oscillare tra il desidero di perfezione e le cadute che la vita stessa riserva.
Seconda parte / “per correr miglior acque”: il filo del funambolo
Anche Dante, nell’incontrare Manfredi, ha questa restituzione da lui: “Orribil furon li peccati miei / ma la bontà infinita ha sì gran braccia / che prende ciò che si rivolge a lei.” Nonostante i peccati commessi, l’oscillare dell’uomo tra gli errori e le bellezze, Dio è sempre pronto a riaccogliere tra le sue braccia l’uomo pentito.
Le parole dell’autore ci suggeriscono, tramite questa sezione poetica, di affrontare il filo del funambolo con la certezza che la bellezza crea bellezza, e che solo fiducia e speranza possono fecondare il momento e renderlo degno di essere vissuto.
In conclusione del parallelismo non si può non riflettere sul ruolo di Virgilio in questa cantica dantesca. Egli ha lasciato il suo regno, l’inferno, ed incamminandosi lungo il purgatorio inizia un percorso di autoanalisi e conseguente maturazione. Virgilio rappresenta l’umanità che si interroga, che segue il processo dell’evoluzione e che si scontra con il limite della ragione umana. A Virgilio non basta il raziocinio per ascendere al paradiso, ma deve fare i conti con la Grazia Divina, la comunione con i fedeli e con l’aiuto sacramentale che la Chiesa offre a chi vuole proseguire sulla via della redenzione.
Virgilio è ciascuno di noi davanti alla consapevolezza di una maturazione di fede.
La poesia “Come sospeso” ci riconduce proprio a questo senso di oscillazione, il dubbio sul percorso ed infine la luce della gioia tanto cercata che può essere raggiunta solo con un personale e voluto cammino di crescita.
Terza parte / verso “l’amor che move il sol e l’altre stelle”
La bellezza e la speranza trovano il loro “adesso” nella conclusione dell’antologia poetica. Il capitolo finale è incentrato sull’amore di Dio, capace di muovere cielo e terra, sole e stelle.
Dante conclude la sua Divina Commedia offrendoci l’immagine di un amore che è principio ordinatore, che è forza motrice di tutto quello che c’è nell’universo e della stessa anima umana. Questo è l’amore di Dio, sostegno e creatore, fonte di quella bellezza che il Tornabene esalta in tutta la sua poetica e che, come per il Sommo Poeta, è fonte di felicità ultima.
Nel parallelismo ultimo Don Orazio e Dante mettono centrale che l’amore è l’ultimo mezzo per giungere alla salvezza dell’anima. E l’amore è nella sua universalità capace di manifestarsi in tutte le creature che si incontrano ed in tutto il creato che c’è stato donato.

La sintesi della Divina Commedia, come nella raccolta poetica del Tornabene, è l’esplorazione del percorso umano che aspira a conoscere Dio e la sua Salvezza, facendosi guidare dall’amore.
Nell’ultimo capitolo dell’antologia la ricerca umana e la ricerca divina si fondono e nonostante il cammino dell’uomo non sempre sia una linea dritta, negli scarabocchi delle nostre esistenze la meta ultima del viaggio è sempre chiara: raggiungere la luce della resurrezione.
“Oltre l’adesso. Nel divenire dell’essere” / il commento
Raccogliere i pensieri dopo aver analizzato il volume è ben più difficile di quanto si pensi.
Gli spunti sono tantissimi, quasi un bombardamento di idee che si sintetizzano in quella ricerca di bellezza che è insita nel concetto stesso di speranza e che portano la riflessione oltre la banalizzazione di qualunque pensiero.
Lo stile del Tornabene è in costante evoluzione, una crescita che denota subito una maturazione stilistica non indifferente. Nonostante abbia mantenuto un andamento ermetico, ci sono molte poesie che invece permettono di entrare più in diretto confronto con il pensiero dell’autore.
La poesia scivola lenta nella mente del lettore, non è intrusiva e invece invita alla riflessione senza che l’autore si sostituisca al pensiero di chi legge.
“Oltre l’adesso, nel divenire dell’essere” è un libro di poesie che può essere letto tutto d’un fiato ed al contempo può essere letto lentamente, permettendo di prendere appunti e segnarsi note a margine sul senso di speranza e bellezza. E sicuramente è una buona bussola per chi vuole uscire a riveder le stelle, nella certezza che solo l’amore muove il sole e le altre stelle.
Chiara Costanzo