Mons. Cozzoli sul caso Kyenge: “Meglio ricordare che il razzismo è un male morale”

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Mons. Mauro Cozzoli, docente di teologia morale

Mauro Cozzoli: “Prima che un reato davanti alla legge, il razzismo è un peccato davanti alla coscienza. Per il cristiano c’è un motivo ulteriore per dire che il razzismo è un peccato: è il motivo che gli viene dalla fede, portatrice della figliolanza divina e con essa della coscienza che ogni altra persona è mio fratello e mia sorella”

Mons. Mauro Cozzoli, docente di teologia morale
Mons. Mauro Cozzoli, docente di teologia morale

“La battuta del senatore Calderoli mi sembra irrispettosa e offensiva della persona, che viene disconosciuta nella sua dignità, al limite di posizioni e opinioni razziste che non hanno alcuna scusante e attenuante”. È netto il giudizio di monsignor Mauro Cozzoli, docente di teologia morale alla Pontificia Università Lateranense, sul “caso Kyenge”, che continua a monopolizzare l’attenzione dei media. Abbiamo interpellato il teologo sulle conseguenze che prese di posizione del genere possono avere sull’opinione pubblica.

Il “caso Kyenge”, a suo avviso, pone all’ordine del giorno una sorta di razzismo latente in Italia?
“Certamente esistono forme latenti di razzismo che poi esplodono in maniera evidente, specie in talune adunate. Negli stadi, ad esempio, molte volte si assiste a striscioni e cori di tipo razzista nei confronti di persone di colore. Ma anche nella politica, sia pure in forme non così palesi e corali come negli stadi, assistiamo a volte a prese di posizioni ed espressioni di tipo razzista. Ugualmente nella società civile, dove basta poco a dare la stura a reazioni d’intolleranza e pregiudizio, basta un evento delittuoso a far esplodere il sospetto e la reazione contro il diverso, l’immigrato, il non-appartenente. È una sorta di razzismo silenzioso che cova sotto la cenere, che all’occasione emerge e prende fuoco. Vorremmo che in una società moralmente e socialmente progredita, quale noi diciamo di essere, il razzismo fosse bandito dai cuori e dalle menti per esserlo dai linguaggi e dalle azioni”.

Cosa succede se ad usare toni razzisti è una persona che ricopre un ruolo pubblico?
“Le persone che rivestono cariche pubbliche devono acquisire la consapevolezza del ruolo che ricoprono. Se una persona comune usa toni razzisti, rimane la gravità morale del fatto, ma non avrà la risonanza che un personaggio pubblico riesce a ottenere, volontariamente o involontariamente. Chi svolge un ruolo pubblico – così come un educatore – ha una responsabilità doppia rispetto a un comune cittadino. Deve controllare maggiormente le sue espressioni e reazioni, proprio perché pubbliche, volte a creare opinione pubblica e condotte imitative. Egli deve avere la consapevolezza e assumere la responsabilità del riflesso ad ampio raggio e delle ricadute diseducative e fuorvianti delle sue dichiarazioni e dei suoi comportamenti. Cose tutte che contribuiscono a covare quelle forme surrettizie di razzismo che prima o poi emergono”.

Per un cristiano il razzismo è un peccato?
“Il razzismo è semplicemente un peccato e lo è per chiunque. Il peccato non è infatti una categoria esclusivamente cristiana o religiosa, è una categoria etica: chiunque si esprima in maniera razzista fa peccato, compie cioè un male morale, una colpa morale. Prima che un reato davanti alla legge, il razzismo è un peccato davanti alla coscienza. Per il cristiano c’è un motivo ulteriore per dire che il razzismo è un peccato: è il motivo che gli viene dalla fede, portatrice della figliolanza divina e con essa della coscienza che ogni altra persona è mio fratello e mia sorella. Il cristiano è quindi chiamato prima e più di chiunque altro ad evitare ogni forma di discriminazione. E il razzismo è la forma peggiore di discriminazione”.

Nel Catechismo della Chiesa cattolica l’accoglienza e l’integrazione sono intese come un compito proprio di ogni nazione, in vista del bene comune: in questa prospettiva, il viaggio del Papa a Lampedusa può essere un antidoto al razzismo?
“Il viaggio di Papa Francesco a Lampedusa – il primo del suo pontificato – ha un valore altamente simbolico e significativo, proprio nella linea della pari dignità che va riconosciuta a ogni individuo dal volto umano. Ogni individuo umano è persona. Gli individui umani sono diversi per cultura, provenienza, etnia, appartenenza, colore della pelle, ceto sociale. Tutti, però, hanno in comune la dignità umana di persone e la dignità cristiana di figli di Dio. Sono quindi uguali a me e perciò ‘mio prossimo’: mi appartiene, non posso discriminarlo. In un’epoca in cui i più disagiati sono esposti a forme di rifiuto e di respingimento, e lo sono su scala mondiale, quello del Papa è un segnale forte, perché non chiama solo alla tolleranza ma all’accoglienza. Uno può dire: ‘Io non pecco di razzismo perché sono tollerante’ e così sentirsi in pace con la sua coscienza. Ma non basta. Ogni persona che fa dell’amore il paradigma di senso e di azione, il cristiano quindi per primo, deve andare oltre la tolleranza, nella direzione dell’accoglienza del diverso, in ragione dei bisogni dell’altro e in misura delle proprie possibilità. Chi lascia il proprio Paese, la propria famiglia, i propri affetti per andare altrove è una persona bisognosa, e la carità verso di lui deve farsi accoglienza. Per questo il gesto del Papa a Lampedusa ha un altissimo valore simbolico, vale più di cento discorsi: è magistero vivo. Papa Francesco sta praticando molto questo magistero dei gesti. Se è vero, come diceva Paolo VI, che il nostro tempo ha bisogno di testimoni più che di maestri, la testimonianza di Papa Francesco è molto eloquente e fa presa. La gente si lascia conquistare e risponde con adesione convinta dentro e fuori la Chiesa”.
M. Michela Nicolais

(Fonte: SIR)

 

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