L’affluenza alle urne si è fermata al 30% e quindi nessuno dei cinque quesiti referendari proposti agli elettori l’8 e il 9 giugno ha raggiunto il quorum previsto per la validità della consultazione.
I votanti sono stati circa 14 milioni, con minime differenze (da 30,58% a 30,59%) tra un quesito e l’altro. Fermo restando che in assenza di quorum i referendum non avranno conseguenze giuridiche, ovviamente gli elettori che hanno deciso di recarsi ai seggi per votare hanno optato largamente per il Sì all’abrogazione, con percentuali variabili tra l’87% e l’89%. Fa eccezione il quinto quesito, quello sulla cittadinanza, che ha registrato il 65,49% di Sì e il 34,51% di No (rispettivamente 9.023.665 e 4.754,382 voti). Un dato che deve far pensare soprattutto se si hanno a cuore politiche di accoglienza e di inclusione.
Referendum / E’ prevalso il SI
Nel dettaglio, gli altri quattro quesiti hanno registrato questi risultati: “Reintegro licenziamenti illegittimi”, 89,06% di Sì e 10,94% di No. “Licenziamenti e limite indennità”, 87,60 % di Sì e 12,40% di No. “Tutela contratti a termine”, 89,04% dei Sì e 10,96% di No. “Responsabilità infortuni sul lavoro”, 87,35% di Sì e 12,65% di No.
L’esito della tornata ha riproposto il tema della riforma del referendum abrogativo come strumento principale di democrazia diretta nel nostro ordinamento.
Dal 1997 soltanto in un caso è stato raggiunto il quorum previsto dalla Costituzione ed era il comunque il lontano 2011. Si votava per l’acqua pubblica e il nucleare. Ma l’andamento di questi quasi trent’anni indica che il problema è strutturale e riguarda la partecipazione elettorale nel suo complesso. Questione di rilevanza capitale per una democrazia, da affrontare in modo organico e condiviso.
Referendum / Occorre riflettere sulla disaffezione degli elettori
Il che non deve però esimere dal cercare soluzioni tecniche capaci di rendere il quorum un obiettivo realistico anche nel contesto attuale di bassa partecipazione. Evitando che uno strumento prezioso come il referendum venga di fatto affossato alimentando ulteriormente la disaffezione.
Per esempio, ma è solo una delle ipotesi in campo, si potrebbe calcolare il quorum sui votanti alle elezioni politiche più recenti e non sul totale degli aventi diritto.
Sul piano politico generale, il risultato referendario viene salutato come un successo dalla maggioranza di governo, che aveva incoraggiato l’astensione. Mentre sul versante opposto ci si consola ragionando sui 14 milioni di votanti. Un numero superiore ai 12 milioni di elettori del centro-destra alle ultime politiche. Ma è evidente che sarà necessaria una riflessione su quella che è indiscutibilmente una sconfitta.
Stefano De Martis