Riflessioni / Il coraggio delle tre del mattino

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pensieri notturni

“Il coraggio è quello delle tre del mattino.  È l’ora peggiore. L’ora in cui sei solo.  È l’ora in cui devi fare i conti con la tua vita. Soprattutto i conti quelli che non tornano. È l’ora in cui ti senti angosciato. Pensi che non ce la fai. Pensi che quel problema è troppo grande e che non si risolverà.  E poi, l’alba, la luce, i rumori, la moka del caffè e la vita che ricomincia.  E le voci amiche che ti confortano. Perché da solo l’uomo non è nulla, abbiamo bisogno gli uni degli altri” (Paolo Crepet).

Questa frase, pubblicata sui social da un mio confratello e scritta da un medico psichiatra, mi ha positivamente colpito. Essa evidenzia da un lato le paure e le fragilità da cui nessuno è esente e indenne e, dall’altro lato, apre alla speranza, alla possibilità di poter ricominciare daccapo, non come camminatori solitari, bensì con il supporto e l’aiuto degli altri.

L’ho inoltrata, come messaggio mattutino, ad un amico, il quale mi ha risposto: “Quanto è vero il pensiero di stamattina” ed io ho risposto: “Vero. Ma non deve essere unilaterale!”. Perché a leggerla su di noi ci risulta estremamente facile, difficile ci riesce a comprendere che le stesse solitudini, paure, angosce le prova anche l’altro. Possibilmente quello che ti è più vicino e che, molte volte, non riusciamo a percepirlo o per sbadataggine o perché pensiamo che sia incolume da tutto questo.

Nella notte il coraggio sembra venir meno

Sì, nel cuore della notte, quando tutto tace e dorme, si compiono le lotte più ardue con sé stessi. Pensieri, situazioni, esperienze, ti passano davanti come la pellicola di un film. Di alcune gioisci, di altre ti rattristi, altre ancora ti mettono ansia, paura, difficoltà. Non puoi neanche girarti dall’altra parte del letto e fare finta di nulla e riaddormentarti, perché non ci riesci. Allora pensi, immagini, progetti, verifichi, prendi decisioni (magari affrettate). Il mattino, poi, “si riveste di nuova luce”, sembra quasi dissolvere tutto ciò che hai provato, quella lotta tra Dio e Giacobbe (Gn  32,23-33) che hai affrontato durante la notte.

Lo stupore del nuovo giorno, l’inizio della giornata lavorativa di tanti, il cui vocio senti arrivare fin dentro casa, quel sorseggiare il caffè che sembra donarti l’energia per affrontare la sfida del nuovo, il segnale di un messaggio che arriva, di un semplice “buongiorno” da parte di qualcuno che appena sveglio ha pensato a te, donano energia e forza per poterci dire “ancora una volta ce la farò”.

Quando manca il coraggio il Signore ci viene sempre in aiuto

La frase, da un punto di vista cristiano, ci mostra anche il nostro essere infinitamente piccoli e fragili. anche quando, all’apparenza, appaiamo come persone sicure e incrollabili. Capaci di portare il peso di tutti e di tutto, senza alterarci minimamente, quasi quel “superuomo” descritto da Nietzsche. Il Signore, “viene in nostro aiuto” (Is 41,14), perché sa i nostri limiti, appunto per questo ci chiama, in maniera affettuosa,  “vermicciattolo” (ib) ed infonde in noi quella speranza che Lui accompagna i nostri passi e si prende cura di noi, perché “ha disegnato il nostro nome sulla palma della sua mano” (Is 49,16).giovane pensieroso

La frase ci presenta anche l’importanza del condividere con gli altri la nostra vita, in uno stile autenticamente sinodale, del camminare insieme, bisognosi di sostegno, conforto e amore. Dobbiamo imparare ad amare l’altro, come scrive Catullo, “quando meno lo merito, perché sarà quando più ne avrò bisogno”. Ad amarlo quando tace e si trincera dietro le sue pseude, orgogliose, sicurezze. Quando volutamente si allontana per non essere di peso (in questo caso va pure, immediatamente, cercato). Ad amarlo nelle sue idee, nei suoi orientamenti, nelle sue decisioni, nei suoi atteggiamenti, anche quando tutte queste sono diverse e distanti dalle nostre. L’altro va sempre amato, mai usato.

Vivere con coraggio ogni giorno come se fosse l’unico

Solo così , seppur svegli e turbati, nel cuore della notte, potremo guardare il cielo e chiedergli: “Sentinella, quanto resta della notte?” (Is 21,11) e con la liturgia potremo, colmi di gioia e di speranza pregare: “Già l’ombra della notte si dilegua, un’alba nuova sorge all’orizzonte: con il cuore e la mente salutiamo il Dio di gloria”.

Avremo, allora, ancora una volta la possibilità di accogliere la novità che sovrasta ogni cosa e appressarci a vivere ogni giorno come se fosse ogni giorno. Né il primo né l’ultimo. L’unico” (Pablo Neruda). E, forse, benediremo e ringrazieremo il Signore anche per quella notte di lotta che abbiamo trascorso e ci predisporremo ad affrontare quella successiva.

Don Roberto Strano

 

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