Per oltre cinque secoli, tra il VI e l’XI secolo, la Calabria fece parte dell’Impero Romano d’Oriente, più conosciuto come l’Impero Bizantino. Questo lungo periodo lasciò un’impronta profonda nella cultura, nella religione e nell’organizzazione della vita in questa terra. Quando i Bizantini arrivarono, la regione era abitata da un popolo chiamato Bruttii, e faceva parte di una più ampia area chiamata Lucania et Brettii. Con il tempo, però, il nome Calabria si sostituì a Bruttium, come si vede anche in antichi documenti del Concilio di Costantinopoli del 680.
Calabria bizantina: i territori, le città e i kaston
Non sono chiari i confini dei territori in mano ai bizantini all’inizio, ma tra il VII e il IX secolo si estendevano almeno fino ad Amantea sul Tirreno e Rossano sullo Ionio. Mentre la valle del Crati e tutta la Calabria settentrionale erano in mano ai Longobardi, prima di Benevento e poi di Salerno. In seguito all’invasione araba della Sicilia, il governatore bizantino si trasferì da Siracusa a Reggio Calabria. I Bizantini riuscirono a respingere le incursioni arabe e nel X secolo avevano ormai riunificato l’intera regione sotto il loro controllo.

I Bizantini si presero cura delle città, restaurandole o fondandone di nuove come per esempio Santa Severina, Umbriatico e Catanzaro. Costruirono cittadelle fortificate, dette kastron, come a Squillace e sulle alture di Gerace, e ristrutturarono fortificazioni romane a Rossano. A Reggio, la capitale del thema, le fortificazioni risalgono al 1027. Accanto a questi insediamenti civili si sviluppò anche una fitta rete di comunità monastiche. Le alture calabresi divennero veri e propri centri religiosi, pieni di chiese, eremi, grotte abitate da monaci. Si formarono vere e proprie polis monachorum, in costante vita di preghiera e isolamento, che resero questa terra simile ad una nuova Tebaide oppure una grande “cattedrale verde” (E. Infantino).
Calabria bizantina: la situazione ecclesiale

La chiesa greca in Calabria, secondo gli studi di A. Petrusi, attraversò tre periodi storici: quello proto-bizantino (dal 582 al 751), quello bizantino vero e proprio (fino all’arrivo dei Normanni), e quello post-bizantino (fino al XV-XVI secolo). Inizialmente la Chiesa calabrese era latina, ma con l’arrivo dei Bizantini e il ritorno della lingua greca, tornò a farsi sentire l’eredità della Magna Grecia. A partire dal VII secolo, vescovi greci sostituirono quelli latini, e tra il 732 e il 733, l’imperatore Leone III decise che le diocesi calabresi dovessero passare sotto il controllo del patriarca di Costantinopoli, non più di Roma. Le principali sedi ecclesiastiche erano le metropolie di Reggio e di Santa Severina. La prima comprendeva molte antiche diocesi (come Locri, Tropea, Crotone), oltre a quelle fondate dai Bizantini (Rossano, Squillace, Amantea, Cosenza, ecc.). Santa Severina, istituita nel 885, includeva diocesi dell’area ionica e, per un periodo, anche Gallipoli.

I vescovi calabresi erano in costante dialogo con il patriarca di Costantinopoli, firmando documenti importanti e partecipando alla vita della Chiesa ortodossa. L’identità ortodossa della Chiesa locale era chiara e radicata: nel XII secolo, un teologo bizantino definiva i calabresi “cristiani ortodossi fin dal principio” (Ugo Eteriano).
Con l’arrivo dei Normanni, però, le cose cambiarono. Inizialmente ci furono resistenze: ad esempio, l’ultimo arcivescovo greco di Reggio (Basilio) rifiutò di passare alla giurisdizione latina e abbandonò il suo incarico. In altri casi, come a Rossano, la popolazione impose vescovi greci contro i desideri dei sovrani normanni (i quali erano di rito latino). Tuttavia, col tempo, le diocesi passarono quasi tutte sotto il controllo della Chiesa latina. Alcune sedi, come Santa Severina o Gerace, mantennero vescovi greci fino al XV secolo.
Calabria bizantina: i monaci basiliani
Poichè a Bisanzio, oggi Istanbul, la presenza monastica era notevole, nelle altre regioni dell’Impero non poteva che essere lo stesso: essi erano molto numerosi e profondamente radicati nella vita religiosa e culturale della Calabria. I monasteri, spesso piccoli, seguivano lo stile greco-bizantino. Tra il IX e l’XI secolo, il monachesimo italo-greco visse il suo periodo d’oro, diffondendosi in tutta la regione. I monaci seguivano l’esempio di san Basilio e san Teodoro Studita guidati da un egumeno, cioè un abate. Nel nord della regione, nel territorio del Mercurion, tra i monti del Pollino, sorsero comunità vivaci tanto da essere paragonate al celebre Monte Athos in Grecia. Qui vissero monaci come Fantino il Giovane, Nilo da Rossano (vi sarà anche Barlaam che insegnerà il greco a Petrarca), che cercarono conciliare vita cenobitica, spiritualità e proprie tradizioni in territori lontani da Bisanzio.
Riccardo Naty