Trump vestito da Papa / Scarafile: “Immagine potente, ma culturalmente tossica”

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Trump vestito da Papa

“La contaminazione tra sacro e spettacolo offende il senso del sacro e banalizza l’autorità spirituale”. Giovanni Scarafile, professore associato di filosofia morale all’Università di Pisa e Liu Boming Professor all’Università di Nanchino (NJU), riflette sull’immagine virale che mostra Donald Trump con indosso paramenti papali. Una provocazione che, al di là del sorriso facile, solleva interrogativi profondi sul nostro modo di guardare, interpretare e (dis)onorare i simboli religiosi.

Trump vestito da Papa: come leggere questa immagine surreale?

Il gesto si colloca nel registro della post-verità. Non si tratta di religione né di fede, ma dell’appropriazione simbolica di un’icona di purezza, autorità e tradizione da parte di chi ha costruito la propria figura pubblica sull’eccesso, sulla provocazione e sul dominio dello spettacolo.

Trump in abiti papali
Foto Truth@realDonaldTrump

Indossare l’abito papale non è un omaggio, ma una forma di autoincoronazione mediatica.

Il fatto che questa immagine emerga proprio nel momento in cui la sede papale è vacante la rende ancora più ambigua: gioca con un vuoto reale, istituzionale e simbolico, cercando di occuparlo con una presenza artificiale e scenografica.

Trump vestito da Papa: sta tutto lì o c’è anche una componente scherzosa?

Non si può escludere che sia un elemento ludico, sganciato da ogni logica coerente. Ma anche in questo caso, proprio per la sua ambiguità e per il contesto in cui avviene, siamo chiamati a interrogarci sulle implicazioni simboliche, culturali ed etiche.

Quando il sacro finisce nei meme, cosa perdiamo davvero?

Il rischio è abituarsi a vedere tutto come superficie. Un’immagine così può anche far sorridere, ma produce un effetto sottile: rende visivamente plausibile ciò che dovrebbe restare incommensurabile.
La sovrapposizione tra potere spirituale e spettacolo genera una percezione in cui non ci sono più limiti tra ciò che può essere rappresentato e ciò che non dovrebbe esserlo.

Giovanni Scarafile
Giovanni Scarafile

Un simbolo religioso, fuori contesto, resta tale?

No. Il simbolo religioso, in un contesto profano, entra in tensione: da un lato mantiene forza evocativa, dall’altro si svuota di contenuto. È un’espropriazione del senso a favore dell’effetto. Il rischio è che la sacralità diventi un elemento decorativo, a disposizione dell’intrattenimento.

Trump non ha parlato. Ma l’abito, da solo, dice tutto?

Esatto. Non è solo provocazione. Da un punto di vista semiotico, l’abito papale comunica un potere che per secoli è stato di natura spirituale. In questa immagine, il potere non si trasmette con le parole, ma con i segni: la veste, la postura, l’aura visiva. È un tentativo di incorporare la sacralità nel gioco del potere personale.

Perché questa immagine ci riguarda?

Perché dice molto su come funziona il nostro immaginario oggi: è sempre più modellato da rappresentazioni visive che colpiscono prima ancora di farci riflettere. Quando il potere spirituale viene ridotto a linguaggio iconico, entra in competizione con il successo mediatico. Vedere Trump nei panni del Papa, anche sapendo che è un falso, ci parla della nostra disponibilità a credere visivamente, anche quando sappiamo che non c’è realtà.

È tutta colpa dell’intelligenza artificiale?

Non solo. Ma l’intelligenza artificiale aggrava la tendenza: genera immagini senza evento, senza corpo, senza autore. E questo rende più difficile distinguere tra gioco e manipolazione. Il nostro sguardo è diventato più potente — e più passivo — del pensiero critico.

Cosa ci resta da fare, come spettatori?

Non possiamo restare indifferenti. L’etica delle immagini ci impone di reagire: dobbiamo restare vigili, non assuefarci, provare anche disgusto quando il falso si traveste da grandezza.
E soprattutto, dobbiamo interrogarci sul nostro ruolo di spettatori: ogni sguardo che si limita al consumo visivo, senza domande, finisce per legittimare ciò che forse andrebbe ancora chiamato oltraggio.

Riccardo Benotti