Crocifisso nelle scuole, domani la sentenza a Strasburgo

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Domani, venerdì 18 marzo, la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo emetterà la sentenza definitiva sulla questione del Crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane. Lo ha annunciato in un comunicato la stessa Corte che nel novembre del 2009 aveva accolto la richiesta di una cittadina italiana di origine finlandese, Soile Lautsi, pronunciandosi contro l’esposizione del Crocifisso, sostenendo che la sua presenza nelle scuole statali fosse ”contraria al diritto dei genitori di educare i propri figli secondo le loro convinzioni e al diritto dei minori alla libertà di religione e di pensiero”. La Corte aveva anche condannato l’Italia a risarcire 5.000 euro alla Lautsi per danni morali.

Il governo italiano aveva presentato subito ricorso e a sostegno dell’Italia lo hanno presentato anche altri dieci Paesi, ossia Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, San Marino, Russia Monaco e Romania. Il ricorso è stato discusso a Strasburgo a fine giugno 2010 e adesso arriva finalmente la sentenza della Corte.

La questione è particolarmente delicata e riguarda temi forti come quelli della libertà religiosa e della libertà di educazione. In particolare quello della libertà religiosa è tema “caldo” in Europa, e sono attuali le affermazioni fatte ancora nell’aula di Strasburgo, in occasione del ricorso contro la sentenza della Corte, su una libertà religiosa evocata per negare se stessa. La presidenza della Conferenza episcopale italiana, il 16 giugno 2010, alla vigilia della discussione a Strasburgo, si esprimeva, tra l’altro, così: “Auspichiamo che nell’esame di una questione così delicata si tenga conto dei sentimenti religiosi della popolazione e di questi valori, come pure del fatto che in tutti i Paesi europei si è affermato e si va sviluppando sempre più positivamente il diritto di libertà religiosa, di cui l’esposizione dei simboli religiosi rappresenta un’importante espressione”.

Più ancora, la stessa presidenza Cei sottolineava appena prima che “la presenza dei simboli religiosi e in particolare della croce, che riflette il sentimento religioso dei cristiani di qualsiasi denominazione, non si traduce in un’imposizione e non ha valore di esclusione, ma esprime una tradizione che tutti conoscono e riconoscono nel suo alto valore spirituale, e come segno di un’identità aperta al dialogo con ogni uomo di buona volontà, di sostegno a favore dei bisognosi e dei sofferenti, senza distinzione di fede, etnia o nazionalità”. Insomma, l’esposizione del Crocifisso – come peraltro più di un pronunciamento, in Italia, ha sottolineato – non discrimina né “violenta” le libertà. Piuttosto, per la particolare storia culturale del Paese offre un’occasione in più di riflettere proprio su libertà e tradizioni, patrimonio prezioso per tutti. Vedremo se anche la Corte sarà d’accordo.

Alberto Campoleoni

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