25 novembre / Combattere la violenza contro le donne è un problema culturale

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Instituita il 17 dicembre del 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in ricordo del brutale assassinio delle tre sorelle Miraball nella Repubblica Domenicana, ricorre oggi, 25 novembre, la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Molteplici saranno le iniziative politico culturali che in questi giorni perseguiranno l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno della violenza di genere – che ci propone ormai statistiche dai contenuti numerici davvero drammatici – e di spingere le generazioni ad agire per il cambiamento.
E quello che necessita più d’ogni altra cosa è un cambiamento volto alla rieducazione culturale che impedisca la riproduzione di stereotipi di genere laddove, ed è ormai universalmente riconosciuto, la violenza di genere fonda le sue radici proprio nei comportamenti socio-culturali.
Dal coloratissimo corteo del 23 novembre scorso, indetto dall’ organizzazione “Non un di meno”, che ha inondato le strade della capitale di una marea femminista che, senza esporre bandiere di partito ma solo volti sorridenti, ha voluto ricordarci che la violenza non ha passaporto né classe sociale ma spesso ha le chiavi di casa e si ripete nei tribunali e nelle istituzioni, al viaggio emblematico del convoglio ferroviario denominato “Tu non sei sola” che partirà oggi da Catania. Con a bordo circa 140 viaggiatori, infatti, tra cui personalità della politica e del mondo culturale nonché studenti ed insegnanti, e senza effettuare fermate intermedie, il convoglio giungerà a Palermo dove ad attendere i passeggeri ci saranno altri gruppi di studenti, personalità e troupe televisive che parteciperanno insieme, nel piazzale interno alla Stazione, ad un momento di riflessione e commemorazione durante il quale saranno collocati nell’aiuole una targa ricordo ed una pianta di ulivo.
Allora vogliamo fermarci anche noi a riflettere su quello che sta capitando  sempre più frequentemente e soprattutto sempre più vicino a noi, a volte anche per assenza di solidarietà sociale come quella del vicino di casa che sente le urla ed i litigi e che, pur presagendo una degenerazione del conflitto, si tappa le orecchie piuttosto che assumersi la responsabilità di fare una chiamata e permettere alle forze dell’ordine di intervenire.
E vogliamo, per questo motivo, rievocare la definizione di violenza del 1993 delle Nazioni Unite ovvero “qualunque atto di violenza che produca, o possa produrre, danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che in quella privata”.
Questa definizione, infatti, ci fa comprendere che la violenza sulle donne si manifesta, è vero, sotto varie forme e modalità, ma quella che si fa più fatica ad accettare e che appare quanto mai difficile da curare è proprio la violenza domestica. Perché spesso la donna stessa fatica a riconoscerla e condannarla e quando comincia a realizzarla è troppo tardi e le conseguenze sono irreversibili. Allora vogliamo fare tutti la nostra parte sensibilizzando l’opinione pubblica a cogliere i segnali in quei gesti ancora dubbi che potrebbero tramutarsi in pericoli effettivi e cercando di rassicurare le donne che oggi molto si sta facendo per venire in soccorso di chi comincia a percepire il pericolo per sé ed i propri figli. Grazie, ad esempio, al Codice Rosso che ha cambiato il modo di approcciarsi a chi sporge denuncia, garantendo un intervento più rapido e dando la possibilità alla polizia giudiziaria di comunicare immediatamente al PM le notizie di reato, anche in forma orale: accorciando così i tempi, e permettendo che le vittime vengono ascoltate entro 3 giorni dalla denuncia.
Ma vogliamo fare ancora di più e diffondere una sorta di vademecum per le donne che entrano in contatto col fenomeno della violenza domestica spesso celato e dissimulato in quei gesti ordinari che non riconosciamo come pericoli.  La violenza fisica infatti va identificata quando il coniuge schiaffeggia la moglie o la strattona, se la blocca nei movimenti e se la picchia solo perché lei lo vuol lasciare; spesso dopo chiede perdono, però, e promette pure di cambiare facendo appello all’amore. Questo non è amore! Non bisogna cedere e non bisogna credere piuttosto bisogna rivolgersi a medici e forze dell’ordine e farsi aiutare. Ma attenzione! Esiste un’altra importante, anche se molto spesso sottovalutata, forma di violenza domestica che è quella psicologica: quando l’uomo umilia la donna davanti altre persone, amici o parenti; quando minaccia di portare via i figli o parla loro male della madre; quando un uomo fa sentire colpevole della sua rabbia la sua donna e le fa credere che se lo merita.
Le donne, in questi casi, si lasciano schiacciare dal senso di inadeguatezza, dal disprezzo e magari si convincono pure di essere loro ad avere problemi mentali; aiutiamo queste donne a comprendere che non sono destinate a subire ma posso cambiare vita. Grazie a molte strutture che, nella segretezza, possono accoglierle e proteggerle ma anche grazie a proposte come quelle di istituire un salario minimo europeo ed un reddito di autodeterminazione svincolato dalla famiglia e dai documenti di soggiorno perché si è compreso finalmente che, per affrancarsi dalla violenza, è fondamentale anche l’indipendenza economica e la libertà di movimento.
E se da un lato è improcrastinabile dedicare risorse e iniziative volte a proteggere e sostenere le vittime di violenze di genere, non dimentichiamo che il problema da curare ma soprattutto da prevenire è soprattutto un problema di tipo culturale. Dunque, se i giovani replicano le strutture comportamentali a loro famigliari, qualora queste implicano la violenza, è molto probabile che diventeranno persone violente; ciò significa che molto deve essere fatto anche nell’educazione al rispetto delle nuove generazioni, per far capire loro cosa sia veramente giusto, affinché non replichino gli errori dei loro genitori”.

                                               Cristiana Zingarino

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