Domenica 1 giugno si è celebrata la giornata mondiale delle comunicazioni sociali e dalla diocesi di Acireale è stato diramato il messaggio preparato da don Arturo Grasso, direttore dell’UCS diocesano e di quello della Conferenza Episcopale Siciliana, che rimette al centro il valore della verità come fondante nella comunicazione.
Nel suo messaggio don Grasso si è soffermato sul senso del comunicare oggi, anche alla luce di un’autenticità sempre più sacrificata. Accentuare la prospettiva in cui si trova oggi la missionarietà evangelica, nell’epoca contemporanea in cui riflessioni e pensieri si scontrano con le continue trasformazioni dovute alla digitalizzazione e all’intelligenza artificiale, evidenzia una complessità crescente che riguarda tutto il panorama informativo mondiale.
Il contenuto del messaggio
Nel messaggio, che sviluppa il tema “condividere con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori” trattato da Papa Francesco in occasione del Giubileo del mondo della comunicazione dello scorso gennaio, il prelato acese usa il mito di Teseo e Arianna facendolo diventare metafora del labirinto digitale in cui si intrecciano informazioni e tanta disinformazione. Le fake news come il deep fake diventano il moderno Minotauro a cui il giornalista/Teseo deve porre tutta la sua attenzione.
Qui appare la figura di Arianna, la comunicazione autentica, che guida verso l’uscita dal labirinto: la notizia data nella verità. Una notizia che, seguendo questo filo che si avvolge man mano che Teseo si avvicina all’uscita, diventa strumento per orientarsi e promozione di una comunicazione veramente disarmata, mite e foriera di comunione.
Nella sua conclusione don Arturo mette, infine, in guardia dalla tentazione di “abbandonare Arianna”. Proprio come avviene alla giovane, abbandonata sull’isola di Nasso, la tentazione è quella di utilizzare la verità piegandola a personali interessi per poi abbandonarla. Accettare di fare una comunicazione che sia divisiva ed infedele alla realtà significa snaturarla del suo essere strumento di fraternità e giustizia.
In dialogo con Don Arturo Grasso
Alla luce della sua lettera, nella quale invita a scegliere una comunicazione che non sia aggressiva ma che invece segua l’invito alla mitezza e alla verità fatto a sua volta dal compianto Papa Francesco, ci siamo messi in dialogo con don Arturo che da subito ci offre in tre parole il senso della missionarietà del comunicatore: “Comunicare per servire”.
Cosa significa oggi comunicare per servire?
In un tempo in cui l’informazione corre veloce e spesso si confonde tra promozione, opinione e spettacolo, sento il dovere di ribadire, con chiarezza e serenità, il bisogno di individuare identità e missione in ciò che si fa. Non c’è comunicazione sincera se carente del desiderio di servizio.

Questa cosa come si traduce nell’Ufficio diocesano per le Comunicazioni sociali?
Siamo, semplicemente, al servizio della verità. Una verità che non urla, che non impone, ma che illumina e non abbaglia. Non siamo un’agenzia pubblicitaria e non ci occupiamo di marketing né di campagne d’immagine. L’Ufficio Comunicazioni sociali non è uno spazio per slogan o vetrina per interessi di parte. Il nostro compito non è amplificare voci che cercano consenso, ma dare voce a ciò che costruisce comunità e senso di appartenenza.
E dare voce alla verità è raccontare i fatti alla luce della Speranza
Noi raccontiamo una verità che nasce dal Vangelo e si traduce in azione concreta nelle parrocchie, tra la gente, nelle periferie della vita. Ogni notizia che raccontiamo, ogni parola che condividiamo, ogni immagine che pubblichiamo ha un solo scopo: mettere in luce il bene che si compie, anche quando è piccolo e silenzioso.
La nostra comunicazione non è mai fine a se stessa: è servizio e verità. È ponte tra la Chiesa e il mondo, tra l’annuncio e la quotidianità.
Quali sono i margini dentro cui si muove oggi la comunicazione?
La comunicazione, oggi più che mai, richiede attenzione, discernimento e responsabilità verso la verità. Per questo negli uffici che guido scegliamo la via della sobrietà e dell’autenticità. Non tutto ciò che fa rumore merita spazio. Non tutto ciò che appare è vero. E non tutto ciò che è utile, è giusto.
A chi ci segue, a chi ci scrive, a chi propone o chiede visibilità attraverso i nostri social ricordiamo che ascoltiamo con rispetto, ma che chiediamo sempre di condividere con noi il senso di ciò che facciamo.
Qual è la missio portata avanti dall’UCS della diocesi?
La comunicazione ecclesiale non è una vetrina, è una testimonianza. E la testimonianza di Cristo richiede coerenza, umiltà e verità. Continuiamo quindi il nostro lavoro con discrezione, con passione e con fede. Con l’unico desiderio di raccontare una Chiesa viva, operosa, capace di dialogo e di presenza. Perché la vera notizia, ogni giorno, è che il bene esiste. E che vale sempre la pena raccontarlo.
L’arte di comunicare verità
Nel mondo dell’apparire, nell’oggi in cui si fa strada l’idea che la visibilità sia ciò a cui dedicare maggiore attenzione, appare quasi anacronistico quanto detto da don Arturo.
La verità appare poesia in un mondo di frasi in prosa e quasi, di riflesso, ci si sente poeti ad utilizzare le parole con la delicatezza che ciascuna richiede, soprattutto nell’universo della comunicazione.
La comunicazione oggi richiede analiticità, rigore e una sana educazione alla consapevolezza che si mescola con empatia e desiderio di autenticità.
Le parole hanno un potere enorme: scuotono, creano, disegnano i contorni alla realtà e sempre più raramente diventa possibile discernere tra ciò che è detto con verità e ciò che è solo un messaggio prodotto per interessi privati.
L’eccesso di informazioni, veicolate a volte con la disinvoltura di chi invece che notizie dà forma alle fantasie, rende sempre più difficile fare un sano discernimento. E’ fondamentale non dimenticare che l’educazione al mondo passa attraverso quello che un buon comunicatore decide di consegnare al lettore.
La scrittura, soprattutto quella giornalistica, non può essere demandata a chiunque: è irresponsabile e non fa bene a nessuno. Non solo si rischia di snaturare la professione, ma si mette in croce la verità stessa. Pertanto bisogna ricordare che quello del comunicatore non è solo mestiere ma è, soprattutto, missione volta alla verità, alla legalità, alla crescita della comunità.
Bisogna abbandonare l’idea che tutto debba essere raccontato per dare risalto alle persone, ma tornare a favorire la cultura della notizia che è azione, movimento, idea, percezione analitica del mondo. La notizia che è storia di vita vissuta, non occasione per imbellettare la verità o per piegarla alle logiche personali.
Per questo scrivere è esercizio di empatia e, come tutte le cose che nella vita ti chiedono responsabilità, non può essere fatto con leggerezza.
Il tratto di penna è un segno che resta per sempre, bisognerebbe ricordarsene quando si sceglie di dare il proprio apporto al mondo della comunicazione. Ed imparare ad essere umili e a servire la verità, non come chi la vuole plasmare ma come chi la vuole raccontare.
Chiara Costanzo