Dopo aver avuto il piacere di intervistare Maria Paternò Castello dei Marchesi di San Giuliano e il marito Giuseppe Pennisi dei baroni di Santa Margherita, oggi è venuto a trovarci il figlio dei coniugi, Pasquale Pennisi di Santa Margherita (Acireale, 29 gennaio 1908 – Roma, 15 maggio 1979).
Bentrovato, barone Pennisi di Santa Margherita. Il 24 gennaio 2025 abbiamo presentato nella Sala Cosentini della Biblioteca Zelantea il vostro diario che racchiude una parte rilevante della vostra vita, in particolare dal 1939 al 1946. Ci raccontate della vostra famiglia d’origine?
Sono nato ad Acireale il 29 gennaio 1904 da Maria Paternò Castello dei Marchesi di San Giuliano, appartenente a una delle antiche famiglie dell’aristocrazia siciliana e che dimorava da signorina presso il palazzo San Giuliano, sito oggi in piazza Università a Catania, e da Giuseppe Pennisi barone di Santa Margherita, sindaco di Acireale e deputato del Regno d’Italia. La mia infanzia la trascorro nel palazzo della famiglia paterna in corso Savoia ad Acireale, dove abitavano pure i miei nonni Pasquale e Grazia Calì Vigo. La bambinaia che si occupava dei miei bisogni si chiamava Venera Ferlito, la criata, detta la zi Vennira. Una donna semplice e molto affettuosa alla quale ero molto legato.

In casa Pennisi avete sempre respirato politica. Prima il nonno Pasquale eletto sindaco ad Acireale, poi vostro padre, sindaco e deputato. Siete stato nutrito di politica fin da bambino…
Oltre il nonno paterno e mio padre, anche il nonno materno Antonino ha rivestito cariche importanti nel Regno d’Italia, soprattutto è stato nominato ministro degli Esteri. In casa si parlava di politica quotidianamente. Soprattutto nel 1913, quando ad Acireale si creano le due fazioni, quelli degli Scioani e dei Baiocchi, ovvero i seguaci rispettivamente di mio padre e dell’avvocato Giuseppe Grassi Voces, tutti i membri della famiglia erano in agitazione. Dopo l’elezione di mio padre, egli si trasferì a Roma per svolgere il ruolo. In quegli anni avevo cinque anni e gli inviavo tanti disegni, allegati alle lettere scritte da mia madre.
Ho avuto l’onore di studiare l’epistolario dei vostri genitori, in cui ho scoperto anche i vostri disegni. Del carteggio sono stati pubblicati nel 2015 gli Indici dell’epistolario della famiglia Pennisi di Santa Margherita per i tipi dell’Accademia degli Zelanti e dei Dafnici.
Dopo il grande successo riscosso dalla pubblicazione, grazie a vostro figlio Francesco e a vostra nipote Ghiselda, ho avuto anche l’onore di continuare lo studio sulla vostra famiglia curando il vostro diario presentato qualche mese fa. In accordo con l’editore abbiamo scelto come titolo del volume Lo specchio delle mie giornate, frase estratta dal vostro diario. Come mai decidete di scrivere un diario?
Come scrivo nel primo giorno del mio diario, il 21 novembre 1939, il diario serviva per me. L’ho fatto per registrare le mie cose che mi sembravano notevoli, giorno per giorno.
E anche pensieri e sentimenti segreti che sono stati, da un punto di vista interiore, più notevoli ancora dei fatti e delle cose. Ho iniziato a scriverlo per mettere in pratica il consiglio datomi dal mio amico don Giuseppe De Libero, sacerdote dell’ordine di San Filippo Neri di Roma. A lui chiedevo come abituarmi a un po’ di meditazione quotidiana. Il diario, quindi, doveva rappresentare appunto lo specchio delle mie giornate.
Dopo aver frequentato il liceo classico presso il Collegio Pennisi di Acireale gestito dai Gesuiti, vi trasferite a Padova per studiare Giurisprudenza. Il primo distacco dalla vostra terra d’origine e dalla famiglia. Dopo la laurea, un altro trasferimento, a Roma per insegnare presso l’università La Sapienza e per creare famiglia con Ghiselda Bouis. Sentivate l’assenza della famiglia d’origine, dei sapori e degli odori della vostra terra?

Il 18 novembre 1943 pubblico un articolo su Il Giornale di Sicilia col titolo Quella mia terra. Qui esprimo le mie emozioni più profonde per la mia terra abbandonata. Colgo l’occasione per scrivere l’articolo dal fatto che, da circa tre mesi, non ricevevo notizie dalla mia famiglia. Ecco ricordare la mia casa e la mia vigna a Piedimonte.
Leggendo il vostro diario si nota una forte devozione e la partecipazione ai tanti precetti cristiani.
Per farle capire quanto nella mia famiglia eravamo cattolici osservanti le racconto questo aneddoto. Un giorno mio padre Giuseppe scrive a mia madre, che da giorni soffre di calcoli renali, e le chiede qual è il santo da invocare per questo particolare disturbo di salute. Mia madre gli risponde inviando, insieme alla lettera, un’immaginetta devozionale di san Liborio, protettore di coloro che soffrono di questo malanno.
Marcello Proietto