Lettera dalla Sicilia / Suor Maria Trigila chiede alla Chiesa che si riparli di diaconato femminile

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Nel tempo sospeso dell’attesa per il nuovo Pontefice, una religiosa siciliana riaccende il dibattito sulle origini e il futuro del ministero femminile nella Chiesa.

Nel tempo sospeso dell’attesa per l’elezione del nuovo papa, dopo la morte di Francesco, si alza una voce autorevole e profetica. È la voce di suor Maria Trigila, salesiana, prima suora giornalista professionista, che ha indirizzato una lettera aperta ai cardinali riuniti per il Conclave. Al centro del messaggio, una richiesta chiara e netta: “che la Chiesa torni a riconoscere il ministero del diaconato femminile, espressione antica della carità e della cura evangelica”.

“Carità in pienezza, ma con riconoscimento ecclesiale”

Suor Maria Trigila chiede che venga ufficialmente riconosciuto il diaconato femminile come espressione concreta del servizio al prossimo. Un ministero che, nella sua natura caritativa, costituisce da sempre il cuore pulsante della missione ecclesiale, rivolto alla dignità e alla santità anche nella dimensione femminile.

Le Sacre Scritture e la tradizione cristiana offrono molteplici esempi di figure femminili impegnate nell’evangelizzazione e nella cura degli ultimi. Si parla di donne-diaconesse che hanno incarnato la carità in azione. Il dibattito teologico è ancora aperto, ma non si tratta – sottolinea Trigila – di avviare un confronto ideologico sull’accesso delle donne all’Ordine sacerdotale. Si chiede, invero, di restituire dignità e visibilità a un servizio già esistente nella Chiesa delle origini.suor Maria Trigila

Il ripristino del diaconato femminile, dunque, non come anticamera del sacerdozio, ma come riconoscimento di un carisma autentico e radicato nella storia ecclesiale. Un ritorno alla verità del servizio, così come è stato vissuto da tante donne che, in nome del Cristo, hanno consacrato la loro vita alla cura degli altri. E hanno lasciato segni tangibili di carità, degni di lode e di santificazione.

Un nuovo paradigma pedagogico spirituale

In questo orizzonte, si delinea la necessità di costruire un nuovo paradigma pedagogico e spirituale. Un modello fondato sull’esempio di donne prodighe al prossimo e persino sante, riportato anche da San Girolamo nella sua Epistola 22, indirizzata a Eustochio. Le biografie delle grandi paladine della cristianità offrono una lettura profonda della santità femminile.
Santità spesso segnata da una tensione tra attenzione esasperata al corpo altrui e annullamento della propria corporeità. Una somatizzazione dell’esperienza religiosa che si è rivelata chiave antropologica e spirituale nelle vocazioni femminili. Si delinea, così, il profilo muliebre consacrato che si differenzia dal diaconato maschile. De facto, il diaconato femminile, secondo inclinazioni specifiche, volgeva precipua attenzione a cura, catechesi, assistenza e liturgia.

Non è raro riscontrare, in questa tradizione, un legame profondo tra misticismo e sofferenza fisica, che ha dato origine a una forma peculiare di santità, a sua volta legata alla capacità taumaturgica e compassionevole.Suor Trigila

Un’epistola per il Conclave, una memoria da ripristinare

La religiosa salesiana fa partecipe con una lettera, i cardinali riuniti a Roma, con un messaggio dirompente: “Occorre ripristinare il diaconato femminile, non come concessione, ma come atto di giustizia e riconoscimento. Uno sguardo alla storia, per immaginare il futuro”.

Così, «non si tratta – scrive – di rivendicare un accesso al sacerdozio, ma di restituire alle donne ciò che è stato loro tolto: il riconoscimento ufficiale di un servizio alla comunità, consacrato e visibile». Il riferimento storico è puntuale: il Concilio di Nicea (325 d.C.) aveva previsto la figura delle diaconesse, che trovava già radici nella prassi delle prime comunità cristiane. Fu il Concilio di Orléans (533 d.C.) a decretarne l’abolizione formale, ma per secoli ancora se ne trova traccia tra le file delle donne consacrate.

Dalla costruenda conoscenza storica e teologica, si devono rivedere le pagine che rilevano un ampio arco secolare di marginalizzazione. Ciò al fine di “restituire dignità alla chiamata che molte donne, anche oggi, sentono viva nel cuore”.

Un appello al Conclave: memoria, giustizia e coraggio

Nel cuore dell’appello di suor Trigila non c’è polemica, ma un invito alla memoria e al coraggio. Una memoria alla vocazione e alla cura altrui, che si rilegge persino nelle parole di San Paolo. Egli, nella Lettera ai Romani (16,1-2), saluta e raccomanda “Febe, nostra sorella, diaconessa della Chiesa di Cencrea”.

Oltre alla diaconessa Febe di Cencrea, si può citare Fabiola, della gens Fabia, pioniera della carità organizzata, che fondò a Roma il primo xenodochio, struttura d’accoglienza per i bisognosi. Molte diaconesse dell’antichità provenivano da famiglie patrizie. Donne che, forti della loro autonomia e del patrimonio familiare, patrocinarono la costruzione di monasteri e ospedali, dedicandosi in prima persona alla cura dei più fragili. Il loro operato si ispirava alle figure evangeliche di Marta e Maria, intrecciando vita attiva e contemplativa in un equilibrio fecondo. Si cita finanche Radegonda di Poitiers, fondatrice, regina e monaca, esempio della perfetta unione tra contemplazione e azione.

Bisogno di concretezza: “Papa Francesco ha aperto un cammino. Ora è tempo di compierlo”.

Suor Trigila richiama con forza il bisogno di concretezza: “Papa Francesco ha aperto un cammino. Ora – dunque – è tempo di compierlo”. La sua visione, lontana da derive ideologiche, si fonda su una teologia del servizio. Così, riconoscere il diaconato alle donne significa rievocare la loro storia, la loro spiritualità, la loro dedizione evangelica.

La sua epistola è anche un grido di speranza, in un tempo in cui le vocazioni religiose femminili calano. Nonostante ciò, la presenza operosa delle suore nel mondo resta imprescindibile: «La missione delle religiose non è servire qualcuno, ma servire il Vangelo tra gli ultimi». Papa Francesco stesso ha ricordato più volte: “Dove le donne comandano, le cose vanno meglio”.

Nella sua riflessione, la religiosa propone anche un neologismo audace: “sororifrater”, un’idea di reciprocità nella Chiesa, in cui la relazione tra uomini e donne sia paritetica nella dignità e nella missione.

Oggi, come nel IV secolo, le donne evangelizzano, servono, educano, curano, guidano. Lo fanno spesso senza riconoscimento, ma con un’autorità che nasce dalla coerenza e dalla dedizione. L’epistola di suor Trigila non è un gesto isolato, ma l’espressione di una coscienza ecclesiale che chiede ascolto, dignità, corresponsabilità.

Un’epistola dal sapore antico ma dallo sguardo rivolto al futuro

Nel silenzio solenne della Cappella Sistina, mentre i cardinali si preparano a eleggere il prossimo Pontefice, questa lettera potrebbe risuonare, come eco profonda delle radici cristiane, come una profezia che nasce dal cuore e da prendere sul serio.

Verso una revisione dei ruoli apicali nella Chiesa

Tra le coeve movenze ecclesiali, che hanno conferito merito al ruolo-servizio delle donne – ricorda suor Trigila – si menzionano gli incarichi di Curia, iniziati già negli anni Sessanta con Paolo VI.

Si reitera poi la nomina a sottosegretario di suor Enrica Rosanna, presso la Congregazione per la Vita Consacrata, a cura di papa Giovanni Paolo II, nel 2004. Inoltre, suor Trigila fa menzione della nomina di suor Simona Brambilla a prefetto del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Quest’ultima è la prima religiosa ad occupare una figura apicale all’interno del Vaticano.

Un altro ruolo di rilievo è stato ricoperto da suor Alessandra Smerilli, segretaria del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che occupa la seconda carica più alta. In tale carrellata, si cita poi suor Ivonne Reungoat, membro del Dicastero per i Vescovi che si occupa della nomina dei vescovi nel mondo. In tal senso – riferisce suor Trigila – la linea pastorale sulla dignità della donna è cresciuta.

Nondimeno, «non basta riconoscere alle donne una funzione di supporto o di testimonianza», scrive ancora la religiosa. «Occorre avere il coraggio di ascoltare ciò che lo Spirito dice oggi alla Chiesa, anche attraverso la voce delle sue figlie».

La suora siciliana ribatte ancora, in merito alla richiesta di concessione del diaconato alle donne, di sollecitare lo studio della commissione di teologi e di teologhe, istituita già da Papa Francesco (2016 e 2020 – due commissioni di studio sul diaconato femminile), per rileggere ed esperire la questione da un’altra angolatura.
Nel dialogo in fieri, si deve proferire di un diaconato slegato dall’Ordine sacerdotale, da non confondere con la vocazione presbiterale. Secondo siffatto distinguo, necesse est affermare “un diaconato che rappresenti per la donna uno status, una vocazione specifica al servizio dell’altare e della carità. Certamente seguendo visioni e percorsi specifici di formazione, che non intacchino la Rivelazione”.

La questione del ministero femminile, esortazione al nuovo Papa

Ecco sarebbe interessante che il nuovo Papa, tra tanti problemi e prospettive da affrontare, avesse nell’agenda della Chiesa anche questo obiettivo, ossia: la questione del ministero femminile. Si idealizza, così, la figura di un Papa che ascolti il popolo, che non abbia timore di toccare la carne delle fragilità, delle proposte controcorrente. Un successore di Pietro che profumi di popolo. Di conseguenza che trovi un popolo di Dio che accoglie e che è corresponsabile”.

In chiosa, tra memoria storica e spinta profetica, l’appello di suor Maria Trigila invita la Chiesa a riconciliarsi con una parte viva della sua Storia. In questo nuovo tempo di attesa, è in pectore un’evoluta percezione, che delinea l’inizio di una nuova visione ecclesiale, in cui donne e uomini servano insieme la Parola, la Comunità e la Carità.

Luisa Trovato