Letteratura / Compie cento anni “Ossi di seppia”di Eugenio Montale

0
175

A cent’anni dalla pubblicazione di Ossi di seppia di Eugenio Montale (15 giugno 1925) e a centouno anni dalla poesia Non chiederci la parola, Eco di ossi nasce come riflessione poetica sul nostro tempo, in dialogo con il lascito montaliano. Come un’eco secco che risuona da un frammento d’osso, anche oggi la parola fatica a dire, a farsi piena. L’identità è fluida, la voce insicura, l’anima impigliata nel vuoto di forme imposte. La poesia non promette salvezza, ma può ancora dire — con onestà — ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Questo testo si pone come testimonianza poetica di una condizione che resiste, fedele a quella negativa capacità che Montale aveva colto nel cuore del Novecento: abitare la soglia dell’assenza senza smettere di cercare.

Eugenio Montale è una delle voci più alte e imprescindibili della letteratura italiana del Novecento. Con Ossi di seppia, pubblicato nel 1925, ha segnato una svolta nella poesia moderna, introducendo un linguaggio sobrio, essenziale e disincantato, capace di esprimere il disagio esistenziale dell’uomo contemporaneo. La sua poetica dell’“anti-idillio” ha dato voce al senso di aridità, smarrimento e distanza dal reale, offrendo al lettore non certezze, ma frammenti di verità, indizi, scorci. Montale ha saputo innovare profondamente la forma e il senso della poesia italiana, allineandola alle tensioni della modernità e aprendo nuove vie espressive. Premio Nobel per la Letteratura nel 1975, resta ancora oggi un faro critico e poetico per chi cerca nella parola non una soluzione, ma un ascolto profondo del vuoto e dell’enigma dell’esistere.Montale

Eco di ossi

“Ci chiedete una parola che riforma,
a noi dall’animo fluido
che informe prende forma nei recipienti del mondo.
La chiedete a noi,
generazione d’insicuri
che si aggirano come ombra proiettati sui muri.
Ci domandate versi
che possano aprire universi,
ma siamo impoveriti
come rami rinsecchiti.
Quanto ancora attuale
la parola di Montale:
oggi possiamo dire,
ciò che non siamo,
o che non vogliamo”.

Nota dell’autore

Questa poesia è nata quasi per contraccolpo, di fronte a una richiesta: “Diteci qualcosa di nuovo, di vero, di utile.” Ma cosa resta da dire, quando le parole sembrano consumate e noi stessi siamo incerti, fluidi, sfuggenti come ombre? Cosa rimane da dire dinanzi al disfacimento dell’essere a scapito di violenze aberranti? “Eco di ossi” non è un lamento, ma una constatazione: la parola può ancora vibrare, anche se fioca, come eco dentro un osso vuoto. Forse proprio questa debolezza, questa spoglia sincerità, è il nostro modo di restare fedeli al reale.

Nota critica

Eco di ossi si colloca consapevolmente nel solco montaliano, non per ripeterlo, ma per attualizzarne il disagio. Il riferimento a “Non chiederci la parola” non è solo omaggio, ma provocazione: a distanza di un secolo, la poesia continua a interrogarsi sulla sua possibilità. La struttura è semplice, ma non povera: ogni strofa racchiude una constatazione lucida, e insieme una resa, che ricorda l’estetica dell’aridità propria di “Ossi di seppia”. Il lessico è quotidiano, ma le immagini – l’animo fluido, le ombre sui muri, i rami rinsecchiti – evocano una crisi esistenziale e culturale che va oltre la contingenza. In un tempo in cui tutto sembra dover essere utile, immediato e performante, questa poesia difende il diritto di non avere risposte, ma solo frammenti. Ed è proprio in questo scarto, in questa eco, che si fa autentica.

“Eco di ossi” si pone come omaggio e aggiornamento di Ossi di seppia, in particolare della poetica dell’aridità e della parola negata. Il riferimento a Non chiederci la parola è esplicito ma non imitativo: a distanza di un secolo, la poesia continua a interrogarsi sulla sua possibilità.
La struttura in strofe brevi custodisce un’essenzialità montalianamente negativa: non proclama, ma constata. Il lessico quotidiano si carica di tensione figurale: “rami secchi”, “ombra su muri”, “recipienti del mondo”.
In un tempo che pretende utilità e prestazione, Eco di ossi rivendica il diritto di una parola che non salva, ma resiste. In questa eco, nel frammento che rifiuta la forma piena, la poesia resta fedele alla sua vocazione.Ossi di seppia

Ricordando Eugenio Montale 

Nel centenario di Ossi di seppia (15 giugno 1925–2025), la memoria di Eugenio Montale risuona con forza attraverso un secolo di riflessioni. Come eco di quegli ossi che, spogliati della carne, insistono a raccontare la loro presenza fragile sulla spiaggia, la sua poesia continua a farsi voce per ciò che resta, per ciò che manca, per l’irrinunciabile mistero del silenzio. Montale non ci ha donato risposte – non ci ha chiesto “la parola che riformi” –, ma ci ha insegnato a stare nell’ombra con coraggio, a non rinunciare alla parola, anche quando sembra consumata. A cento anni, la sua aridità espressiva è ancora uno specchio del nostro tempo, un invito urgente a trovare luce nei cretti, soglia tra l’assenza e il possibile.

Oggi, nell’anniversario della sua raccolta, rendiamo omaggio a Montale non solo come poeta – ma come custode della parola più sincera. E raccogliamo la sua eredità: ascoltare senza illusioni, cercare senza speranza illimitata, continuare a “meriggiare pallido e assorto”, scrutando l’orizzonte con occhi ‑ e cuore ‑ che non smettono di sperare.

Don Orazio Tornabene