Libri / “Leila della tempesta”, come da un incontro in carcere può scaturire un positivo dialogo interreligioso

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Una finestra aperta sul carcere, uno spiraglio di luce sulle vite di nazionalità “straniera” che vi scontano le loro pene, uno spiraglio rappresentato da un monaco italiano dal cuore solidale.
Questi gli elementi del libro “Leila della tempesta”, scritto da Ignazio De Francesco, ed edito da Zikkaron.
Nessuna trama dai contorni scontati, anche se a condurre i fili logici della narrazione è un uomo “di fede”. Protagonista è il dialogo, aperto, libero, che abbraccia gli argomenti più disparati, dal personale al sociale, dagli angoli profondi del cuore alle leggi italiane e straniere.
Leila, la giovane tunisina di religione islamica, attraverso le sue parole, ma anche attraverso i suoi silenzi in quei colloqui scanditi dal tempo fugace, dà la possibilità, a chiunque abbia la voglia di farlo, di “guardare” con occhi liberi da pregiudizi una vita diversa dalle solite. “Guardare” per capire, per tentare di immaginare le dinamiche interne, personali, familiari, sociali, che possano spingere una ragazza a lasciare il proprio paese per una terra sconosciuta.
Il frate italiano, esperto di arabo, lingua utilizzata nei colloqui con i detenuti, voglia di capire ne ha avuta tanta, ma, soprattutto, di ascoltare, con l’umiltà di chi è ferreo nella propria religione ma lontano dal volerla affermare.
Due figure diverse, l’una di fronte all’altra, senza un preciso motivo ispiratore degli incontri, da cui emerge un dialogo che arricchisce il lettore, che lo pone dinnanzi a riflessioni anche su una religione, quella islamica, di cui oggi si parla molto, si conosce poco e che per certi aspetti si teme.
Leila e le altre personalità che interagiscono con l’“Altro” (così è definito il monaco dai detenuti) è intrisa della propria religione islamica, ancorata saldamente ad essa, come ne dà lei stessa spiegazione: “la trasmettiamo ai figli già nell’utero e nella poppata, poi educandoli da bambini e vigilando su di loro”.
Leggendo il dialogo si ha la possibilità di capirne di più o, semplicemente, di saperne di più. Forse, il vero punto è che nessuno dovrebbe voler capire, necessariamente, chi è diverso da sé; forse basterebbe già acquisire la consapevolezza che esiste una realtà parallela ed alternativa alla nostra con cui condividere il creato ed accettarla.
L’uomo di Chiesa, il frate, lo ha capito, non giudica ma ascolta, pone domande a Leila, discute con lei citazioni del Corano, testi poetici, le propone gli articoli della Costituzione italiana. Non ha l’atteggiamento dell’inquisitore, dell’oratore ma di uno sconosciuto che vuol vedere con occhi diversi lo stesso mondo.
In questo libro, scorrevole e più impegnativo nelle parti in cui il confronto fra culture diventa quasi specialistico, l’input alla sana riflessione è continuo, fornito in ogni sua pagina. L’atteggiamento dell’“Altro”, la sua umiltà nei confronti di una diversa realtà culturale e religiosa costituisce un grande esempio, a partire dalla rinuncia ad un gesto semplice come la stretta di mano fra due persone: “(…) infine si era abituato a rinunciare a un gesto così normale, nella sua cultura, per mostrare rispetto verso il galateo di un’altra cultura”.
Ignazio De Francesco, dunque, coinvolge i lettori in un viaggio introspettivo, attraverso la riflessione, che pone i soggetti ad interrogarsi ed a mettersi in gioco dinnanzi ad una questione delicata quanto fondamentale come l’integrazione fra popoli.

Rita Messina

 

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