“Posti in piedi in Paradiso”: i giovani ci salveranno

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Da oltre trent’anni Carlo Verdone è uno dei più importanti esponenti della nostra commedia. È uno di quei registi che ha proseguito il cammino glorioso della nostra commedia all’italiana degli anni Sessanta, rifondandola secondo i canoni di una nuova comicità, legata alla sua fisicità e ai tempi che erano cambiati. La sua maschera è molto distante da quella di Alberto Sordi, il “padre” a cui dice di essersi sempre ispirato e con cui ha girato anche due film, è meno caustica, aggressiva, cinica, più adeguata a un italiano medio, ingenuo e “burinotto”, “romano centrico”, che vive nei frivoli anni Ottanta e che smaschera sempre i nostri vizi, ma con più bonarietà e una vena di malinconia. Dagli anni Novanta in poi lo sguardo di Verdone si è fatto forse più smaliziato e meno ingenuo, visti i tempi sempre più difficili che la nostra società si è trovata a vivere. E oggi racconta una storia molto contemporanea, che rispecchia cioè la confusione, il disagio, le problematiche della nostra realtà, sempre con la sua dose d’ingenuità e con uno sguardo malinconico ma non rassegnato o cinico.

“Posti in piedi in paradiso” racconta la storia di tre padri separati che, tra lavori precari e famiglie da mantenere, non riescono a tirare avanti a fine mese e, quindi, decidono di condividere un appartamento, per minimizzare i costi. La convivenza forzata li aiuterà a scoprire tutti gli sbagli fatti, tutti i limiti caratteriali, ma darà loro anche l’occasione per rimettersi in gioco. Naturalmente come in tutti i suoi film Verdone si ritaglia un ruolo da protagonista: qui è un ex-produttore discografico di successo, ora proprietario di un negozio di vinili, con una figlia e un’ex-moglie rancorosa a Parigi, che incontra una bellissima ma svampita cardiologa (Micaela Ramazzotti) e se ne innamora.

L’universo raccontato da Verdone è quello di quarantenni alle prese con gli errori commessi, con i conti che non tornano, con un disagio esistenziale che forse è frutto di una vita vissuta senza grandi valori da seguire. L’occasione per ritrovarsi è offerta a questi tre personaggi dai loro figli, dalle nuove generazioni, che sembrano essere decisamente migliori dei loro genitori: ad esempio, la figlia di Verdone che, rimasta incinta, decide di tenere il bambino e afferma con forza l’importanza della vita, contro le idee del padre e della madre riluttanti a vederla mamma in così giovane età. O come il figlio del personaggio interpretato da Marco Giallini, che si laurea con lode, trova un lavoro, ha una vita sana e stabile a differenza di quella sconclusionata del padre. Saranno i giovani, sembra dirci Verdone, a salvarci. Le nuove generazioni che hanno ideali e valori che i loro genitori hanno forse perso di vista. Un film interessante, dunque, che fa ridere e riflettere al tempo stesso, con un bel messaggio di speranza finale, e un’opera con cui il comico romano torna a raccontare con incisività i propri tempi.

Paola Dalla Torre

 

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