Nasce dall’incontro tra creatività e passione culturale il nuovo cortometraggio promosso dall’Università Popolare “Giuseppe Cristaldi” ed ideato dai docenti del corso di cinematografia attivo all’interno dell’associazione stessa: la regista Silvia Principato ed il direttore della fotografia Giovanni Cutuli. Il progetto ha unito persone, energie e talento per dare vita a un thriller che intreccia immagini, parole ed emozioni.
Sotto la regia di Silvia Principato, affiancata dal marito Giovanni Cutuli, il film è il risultato di un lavoro collettivo, in cui ogni scena racconta autenticità, sentimento e dedizione.
Ne abbiamo parlato con loro e con il presidente dell’UPGC, Saro Bella, per scoprire come è nato il progetto, quali sfide hanno affrontato e cosa sperano di trasmettere al pubblico.
Iniziamo con una piccola presentazione della regista Silvia Principato e di Giovanni Cutuli, direttore della fotografia.

Silvia Principato
Io sono Silvia Principato e, nella vita, faccio tutt’altro: lavoro in uno studio di commercialista. La mia passione nasce con il teatro, dove ho recitato per anni. Purtroppo – o per fortuna – ho dovuto smettere col teatro a causa di un problema di salute che non mi permetteva di sostenere i ritmi che affrontavo.
Nella sfortuna, ho dovuto lottare con me stessa per accettare la situazione e capire come superare certi limiti.
Mi è venuta in aiuto una frase di Frida Kahlo: “Piedi, a cosa mi servono se ho ali per volare?” . Allora mi sono detta che dovevo trovare le mie ali: scrivere è ciò che mi fa volare. Ho iniziato con il mio primo book trailer, poi ho scritto il mio primo cortometraggio sulla vita di Frida, Viva la vida, in cui ho incanalato tutto il mio dolore. Il corto si è classificato quarto a Roma. Poi è arrivato Il viaggio di Smeralda, un’altra bella soddisfazione, che racconta il percorso di crescita di una bambina. Frequentando l’UPGC, abbiamo pensato con Giovanni di scrivere qualcosa per loro e, cambiando un po’ il mio genere – quello sperimentale – è nato Perla’s Hope.
Giovanni Cutuli
La mia attività di operatore video è nata intorno agli anni 2000, dalla passione per cinematografia e televisione. Ho mosso i primi passi tra la radio e le televisioni private, acquisendo via via maggiori competenze e portando avanti con continuità questa esperienza. Poi successivamente con l’associazione “Ambrosiana” di Aci Sant’Antonio.
Con l’associazione ci occupiamo di realizzare cortometraggi e docufilm. L’associazione ha avuto anche personaggi illustri, come Enrico Pappalardo, che hanno tenuto dei corsi. Sono stati promossi corsi rivolti ai ragazzi di Aci Sant’Antonio, per favorire il progresso nell’arte della cinematografia.
L’anno scorso, con mia moglie, abbiamo colto l’opportunità di tenere un corso di cinematografia organizzato dall’Università Popolare Giuseppe Cristaldi. Un corso per l’UPGC
Il corso è stato suddiviso in due parti. La prima, più teorica, di cui mi occupavo come docente, riguardava l’architettura del cast e spiegava le varie figure che operano all’interno del contesto cinematografico. La seconda parte, invece, era gestita da mia moglie ed era incentrata sul cortometraggio.
Il corso ha inoltre promosso la realizzazione di un cortometraggio. Questa esperienza ha dato a tutte e tutti, anche a chi non aveva precedenti conoscenze di cinematografia, la possibilità di partecipare alla realizzazione di un cortometraggio realizzato — e ci tengo a sottolinearlo — in modo professionale e rispettando i canoni della cinematografia classica.
Quindi c’è stata una bella collaborazione e coordinazione fra voi. In generale, quanto è importante il lavoro di squadra per la realizzazione di un cortometraggio?
Silvia- È molto importante, nonostante i disaccordi. Spesso è difficile per chi scrive il film, avendolo in mente, trasmettere la propria visione a chi deve realizzarlo dal punto di vista tecnico. Capitava che nascessero litigi proprio per cercare di farsi capire. Soprattutto in questo cortometraggio, dove si alternano presente e passato, è stato difficile.
Giovanni – A volte può risultare complicato rientrare nei canoni scenografici, eppure è necessario rispettare quelli che sono i piani di inquadratura classica. L’intero film sarà visionato nei concorsi da critici cinematografici che valuteranno secondo le regole della cinematografia. In particolare, all’interno del corso, dovevamo attenerci ai canoni classici.
Io mi rifaccio alla scuola cinematografica di Sergio Leone, che predilige i primi piani. Li amo – a differenza di mia moglie – perché ritengo che la persona debba essere messa in risalto nel momento in cui parla, per cogliere pienamente il suo messaggio.
Diverso è il caso in cui vi sia una scena d’insieme, con tre o quattro persone che parlano contemporaneamente in un campo lungo o medio. Ma se una sola persona deve parlare in quel momento, deve essere valorizzata attraverso stacchi intervallati.
Il lavoro che ha portato a “Perla’s Hope” è stato, in qualche modo diviso: il lavoro di scrittura è stato fatto da Silvia, mentre il lavoro tecnico e quello di post produzione da Giovanni.
C’è stato un evento o una tematica particolare che vi ha ispirati?
Silvia: L’idea nasce da una storia che ho scritto insieme a mia figlia quando frequentava la quarta elementare, per un compito scolastico. In quel periodo stavamo affrontando il genere thriller. In origine, la storia era diversa da quella attuale. Alcuni personaggi sono ispirati a persone reali o a eventi realmente vissuti.
È proprio da quel compito che nasce Perla’s Hope. Pensando al corso di cinematografia dell’UPGC, ho ampliato e rielaborato il racconto, rendendolo adatto a tutte e tutti i partecipanti. Così, ho riscritto il copione e assegnato una parte a ciascuno. Il titolo del cortometraggio deriva dai nomi delle mie cagnoline.
Quali sono state le sfide principali durante le riprese?
Giovanni: Dal mio punto di vista, la difficoltà principale è stata il tempo. Se devo realizzare una registrazione video che, nel cortometraggio, può durare solo tre minuti, per girarla possono volerci ore. Le scene devono essere riprese da diverse angolazioni ed in più inquadrature, per poi scegliere la migliore.
E siccome avevamo tempi molto stretti — circa un’ora e mezza a lezione — il tempo è stato l’ostacolo più grande che abbiamo incontrato.
Oltretutto, bisogna considerare anche il tempo necessario per la preparazione della scena e per il montaggio delle attrezzature.

Interviene Saro Bella (Presidente dell’UPGC): Per tutti noi era una cosa nuova. Restavamo sbalorditi, perché all’inizio non conoscevamo nulla dell’argomento.
L’anno scorso, quando abbiamo visionato i vari corsi, non nego che ero un po’ scettico riguardo a quelli di cinematografia, e non pensavo che saremmo riusciti ad arrivare fino a questo punto.
Oggi posso dire che, l’anno prossimo, potremmo sviluppare ulteriormente il filone del cinema e inserire questa sezione tra i corsi a durata annuale, ovviamente con la vostra disponibilità. In questo modo, avremmo la possibilità di disporre di più tempo e spazio per lavorare con maggiore approfondimento.
Qualche aneddoto divertente sul set durante le riprese?
Giovanni: Devo dire che mi sono meravigliato; considerando che per loro era la prima volta, non è successo nulla di eclatante. Anzi, abbiamo anche realizzato delle riprese di backstage con una strumentazione separata. Successivamente, montavo queste scene a parte e le guardavamo insieme: si divertivano molto.
Saro Bella: Un aneddoto riguarda proprio il personaggio del cuoco: l’attore scelto lo rispecchia talmente tanto che è stato davvero divertente vederlo nei suoi panni. Sembrava nato per quel ruolo!
Presidente, qual è stata la scena che ti ha emozionato di più?
Saro Bella: L’intero cortometraggio è stato emozionante
Quindi, sembra chiara la volontà e l’invito di replicare l’esperienza?
Saro Bella: Sì, assolutamente. Come detto poc’anzi, lo scetticismo iniziale si è trasformato nella convinzione che, se la regista e il direttore saranno disponibili, l’esperienza possa ripetersi — magari in una forma ancora più ampia e strutturata.
Se doveste descrivere questo cortometraggio in tre parole, quali usereste?
Silvia: Amore, relatività e suspense.
Per chi vuole intraprendere questa strada, che consiglio dareste a chi vuole iniziare un progetto simile?
Silvia: Io darei un unico consiglio: essere umili. Chi vuole fare cinema o teatro solo per mettersi in mostra, secondo me, ha già sbagliato tutto. Non c’è nulla di peggio, perché la telecamera lo percepisce. Ciò che passa attraverso l’obiettivo, secondo me, è l’anima, e in quel momento, se non si è sinceri, l’effetto è sbagliato. Bisogna diventare il personaggio, con molta umiltà. E ci vuole anche tanta pazienza: a differenza del teatro, nel cinema la stessa scena viene ripetuta molte volte.
Giovanni: Confermo, l’attore deve essere umile e mettersi a disposizione di quelle che sono le direttive del regista. L’umiltà è alla base di tutto.
La partecipazione in questi progetti, come attrici o attori, è adatta a chiunque o vi sono delle personalità più incline di altre?
Silvia: Possono partecipare tutti. In questo cortometraggio, ho assegnato i personaggi in base a chi avevo già in mente, mentre alcune parti le ho scritte adattandole alle persone che aderivano.
Quindi dalla persona più estroversa a quella più timida…
Giovanni: Chi scrive la sceneggiatura parte dall’idea iniziale, cioè dal primo testo, e poi lo sceneggiatore crea i vari dialoghi. È quindi lo sceneggiatore che si occupa di trovare e scegliere le attrici e gli attori più adatti; in questo processo entra anche una componente psicologica, cioè capire le personalità.
Mia moglie, durante le mie lezioni, osservava i partecipanti, li studiava in base ai comportamenti e al modo di parlare, valutando se potevano essere adatti a un personaggio piuttosto che a un altro, e li associava ai ruoli.
C’è un momento o una scena del cortometraggio che considerate particolarmente significativo a livello personale?
Silvia: Senza ombra di dubbio, la scena di Perla, così come quella di Giovanni e del personaggio che interpreta, è riuscita a trasmettere una trasformazione da una condizione di austerità a una di disperazione.
Giovanni: Inizialmente mi pongo in modo distaccato, ma nel momento del montaggio, da semplici inquadrature, devo riuscire a suscitare emozioni grazie all’inserimento della musica, immedesimandomi in chi guarda.
Quindi, si è occupato, oltre che delle riprese, anche del lavoro che avviene dopo?
Giovanni: Sì, mi sono occupato anche della post-produzione, del montaggio, dell’audio, ecc.
Progetti futuri in cantiere?
Giovanni: Dipende tutto da chi scrive.
Silvia: Ho in programma due progetti, uno più piccolo a cui tengo molto. Appena sarò più libera dagli impegni lavorativi, inizierò a scrivere questo progetto che ho in mente, anche se è un po’ impegnativo.
Vorrei che fosse un progetto con riprese meno pesanti, quindi con scene più statiche, ma dall’altra parte sarà comunque molto impegnativo, perché l’idea prevede 20 personaggi che devono essere sempre tutti presenti durante le riprese: nessuno può mancare quando un altro recita. Sarà un progetto di genere sperimentale, azzardato, ma una bella sfida.
Qual è la differenza tra la recitazione cinematografica e quella teatrale?
Silvia: La differenza è che chi nasce come attore di teatro ne sentirà sempre la mancanza, perché il teatro ti dà quel contatto diretto col pubblico, quell’adrenalina che il cinema non ti dà. Il cinema te la dà in un secondo momento.
Giovanni: Sì, l’attore di cinema realizza dopo che si rivede.
Silvia: Lo stile di recitazione è diverso: l’attore di teatro, nel cinema, deve dimenticare come si recita a teatro e adottare toni differenti. Io continuo a sostenere che il teatro è vita.
Volete aggiungere altro?
Giovanni: Vorrei creare una vera e propria squadra: quest’anno ci sono state persone che hanno aiutato nelle scenografie e, man mano, hanno imparato come si prepara una scena e come si sistema la strumentazione. Il mio obiettivo è proprio quello di formare una squadra di lavoro, anche tra gli attori, e realizzare un gruppo di operatori che possano dare supporto anche nella parte tecnica.
Inoltre, spero e mi auguro che altre persone si uniscano al corso di cinematografia, in modo da aumentare il numero di partecipanti, non solo all’interno del corso stesso, ma anche all’interno dell’associazione UPGC.
Silvia: Io spero che le persone siano rimaste contente e che io sia riuscita a lasciare qualcosa dentro di loro. Mi approccio sempre con molta garbatezza verso chi, secondo me, mi fa un favore accettando di interpretare quella parte, e vorrei lasciare qualcosa di buono in loro. Spero di essere riuscita a trasmettere qualcosa di positivo, raggiungendo così questo obiettivo.
Grazia Pagano