Intervista / Don Fortunato Di Noto: “Il cristianesimo non può imporsi restrizioni e confini”

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Don Di Noto

Don Fortunato Di Noto è un sacerdote, Vicario foraneo della città di Avola (Sr) e parroco di una zona periferica della Città. Un sacerdote al servizio di tutta la comunità, ma soprattutto al servizio della difesa di bambini abusati e maltrattati.

Don Di Noto
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Un prete che, come si definisce lui stesso, “non è fuori dal mondo” e come tale non può girarsi dall’altra parte venendo a conoscenza di abusi su minori: da qui nasce nel 1989 l’Associazione Meter, di cui, don Di Noto, ne è presidente. Don Di Noto era intervenuto al meeting “Uniti per la famiglia”, svoltosi ad Acireale lo scorso 25 Ottobre, durante il quale ha dimostrato che si può migliorare la nostra società aprendo gli occhi davanti a quelli che sono i problemi reali, perché solo così si può trovare una soluzione di dialogo comune. Tutto questo può essere possibile in un mondo in cui alcuni uomini hanno dimenticato i veri valori, un mondo che oggi sta affrontando un grosso problema: il terrorismo. Di questa questione e della sua missione abbiamo parlato con don Fortunato Di Noto.

-Quando ha deciso di intraprendere la carriera ecclesiastica?
“Più che carriera è stata una ‘risposta’ ad una chiamata che è maturata ed è ancora in cammino di conversione. E’ iniziata molto tempo fa, ho 52 anni, e ricordo ancora quando a 7/8 anni portavo sempre con me un libro (copertina rossa) non era un manuale comunista, ma un libro della vita che mi permise di conoscere Gesù, il Vangelo. Sono entrato in Seminario, però a 23 anni, dopo aver vissuto la mia vita da adolescente. Dopo le scuole superiori, sono entrato in seminario a Noto, ho studiato allo studio teologico a Catania, poi alla Gregoriana e ho anche studiato Bioetica, negli ultimi anni”.

-Qual’è l’input che l’ha portata a creare l’associazione Meter?
meter“Aver avuto il dono di ascoltare i neonati abusati che mi dicevano di aiutarli e che vidi nel 1989 in alcune foto che passavano con l’allora ‘preistorico’ Internet. Mettendo le mani nelle piaghe del dolore dell’innocenza, ho iniziato a gridare seriamente per loro, contro il silenzio, l’indifferenza, l’omertà, la stupidità intelligente che non voleva ammettere il dramma. Se non l’avessi fatto non avrei accolto e aiutato migliaia di vittime e segnalato in Italia e nel mondo tre milioni di siti e portali pedopornografici con centinaia e centinaia di bambini violati, abusati, maltrattati, uccisi dopo un abuso, anche centinaia di neonati”.

-Quando nasce Meter?
“Nasce nella comunità della Madonna del Carmine, con un gruppo di giovani volontari, oggi le colonne portanti di una realtà che ha travalicato i confini siciliani, italiani ed europei. Una realtà con poche risorse, ma con una volontà operativa e professionale encomiabile. E’ una struttura con molteplici servizi: dal Centro di ascolto e accoglienza, al centro adozioni internazionali e la scuola alla genitorialità, all’Osmocop (Osservatorio Mondiale contro la pedofilia e la pedopornografia), ai progetti nazionali e internazionali, al servizio nelle diocesi e nelle parrocchie. Per saperne di più credo sia meglio consultare il sito www.associazionemeter.org”.

– Quali sono stati gli obiettivi che l’associazione ha raggiunto fino ad oggi?
“Una domanda che richiederebbe un libro. Ogni anno rendiamo pubblico il Report Meter. Non ci sono solo numeri ma la presentazione di un lavoro capillare, attento, solidale, innovativo. Noi abbiamo scelto lo stile di vita dei fatti, i fatti ci rendono credibili. Siamo certamente un pungolo serio e una proposta con un patrimonio conquistato con fatica e determinazione”.
Cosa, a suo parere, manca nella famiglia di oggi e cosa possiamo fare per migliorarle?
“La famiglia esiste. Non manca nulla, è però disorietanta, confusa. Malata con metastasi che devono essere curate, nell’oggi. Non credo che la famiglia naufragherà. Evidentemente ha necessità di sostegno, risorse e di essere riamata da una società permeabile da minoranze che impongono con meccanismi di mercato, l’individualismo e la cultura relativista.
Davanti ai fatti degli ultimi giorni, con l’attacco di Parigi e il sopravvento di questi gruppi fondamentalisti, qual’è la sua opinione?
Chi uccide in nome di Dio, bestemmia. Lo ha detto Papa Francesco. Impressiona che molti di loro sono figli di questa Europa, nati e cresciuti in questa terra. Una terra insanguinata con lo stesso sangue di europei islamizzati. Mi fa interrogare che nessuna voce ‘pacifista’ si esponga, agisca. Mi rattrista anche che le voci di alcuni ‘cristiani’ invochino la morte, la guerra, l’eliminazione del nemico. Ho una soluzione? Il dialogo è necessario, anche se duro, ma il dialogo realizza il sogno di una umanità e civiltà dell’amore”.

-Giorno 8 Dicembre ha avuto inizio il Giubileo. Come considera l’iniziativa proposta dal Papa? Pensa anche Lei, come il Papa, che non si debbano blindare le porte di San Pietro in occasione dell’evento?
“Se ci vogliono colpire, si faranno esplodere in qualsiasi parte e luogo. Siamo realistici, per entrare a san Pietro ti controllano. E sarà sempre più esteso questo controllo. Nessuna volenza può piegare la misericordia di Dio e il cammino di conversione dei credent”i.

-Cosa ne pensa dell’immigrazione? Il governo italiano davanti ai fatti di Parigi ha deciso di lasciare aperte le frontiere, mentre i francesi hanno intenzione di chiuderle perché temono ci siano terroristi tra chi davvero fugge dalla guerra. Qual’è la sua opinione a tal proposito?
“Ero forestiero e mi avete accolto. La penso così. Il cristianesimo non si può imporre restrizioni e confini. Tutti dobbiamo rispondere all’invito di Gesù Cristo e a quello del Papa. Anche se ciò significa anche sottostare alle disposizioni, per l’accoglienza, di ogni Stato, e quindi del nostro. Dispiace molto il business dietro e dentro il fenomeno migratorio. E rattrista che non ci sia – qualche volta- una porta aperta per chi ha bisogno, italiano o straniero. Tutti si è uomini e umani”.
-Come, a suo parere, dovremmo comportarci davanti agli immigrati, sapendo che alcuni di questi si lamentano della nostra cultura? Le istituzioni dovrebbero avere più il pugno fermo e far valere le nostre tradizioni? In poche parole: dovremmo noi integrarci con loro o loro integrarsi con noi?
“Dobbiamo convivere con corresponsabilità, rispetto delle regole e delle leggi: tutti immigrati e italiani. Non avere paura dell’altro. La paura genera terrore e, questa, paralizza. E’ un cammino, faticoso ma possibile. Smettiamola di generare distanze”.

Ileana Bella

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