Chiesa Universale / Il vescovo di Acireale Raspanti nel Pontificio Consiglio della Cultura: “Globalizzare la visione del mondo”

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Lunedì 11 novembre, il vescovo della Diocesi di Acireale e vice presidente della CEI, mons. Antonino Raspanti, è stato nominato, per cinque anni, membro del Pontificio Consiglio della Cultura. Si tratta di un organo che affonda le sue radici nel Concilio Vaticano II e che, come riportato anche dalla nota diffusa dalla diocesi, “rappresenta una finestra aperta sul vasto, molteplice, inquieto e ricchissimo mondo della cultura contemporanea”: è di fatto il Dicastero della Curia Romana che coadiuva il Sommo Pontefice in ciò che concerne l’incontro tra il Vangelo e le culture e le relazioni della Chiesa e della Santa Sede con i mondi culturali. L’obiettivo che si propone è pertanto quello di aprire, o rinvigorire, un dialogo franco affinché i rappresentanti della scienza, della letteratura e dell’arte, leggiamo ancora nella nota “si sentano riconosciuti dalla Chiesa come cercatori autentici del vero, del buono e del bello”.

I membri si riuniscono normalmente ogni due anni nell’Assemblea Plenaria e, in determinati casi, possono anche intervenire a nome del Dicastero in riunioni internazionali. Per mons. Raspanti, già impegnato di fatto per il Pontificio Consiglio della Cultura tramite il Cortile dei Gentili, una forma di riconoscimento dell’attività condotta e un gesto di stima per il quale il vescovo ha in più occasione ringraziato il Santo Padre Francesco. Raspanti, che ha risposto a qualche domanda nel merito da parte della nostra testata, entrerà a far parte di un gruppo composto da rilevanti personalità della Chiesa e del mondo della cultura, nominati tra cardinali, cescovi, ecclesiastici e laici, cui compete aiutare il presidente a identificare le principali sfide culturali della Chiesa e stabilire le grandi linee di lavoro del Dicastero.

Eccellenza, una nomina onorevole: come ha reagito alla comunicazione?

Non mi avevano avvertito prima: ho ricevuto una lettera senza preavviso, una settimana prima della nomina ufficializzata dalla Santa sede, che mi ha certamente inorgoglito e sorpreso. Non sapendo esattamente in cosa consistesse questo ruolo, ho telefonato a mons. Carlo Maria Polvani, sotto-Segretario aggiunto del Pontificio Consiglio della cultura,  che conosco per attività comuni legate all’impegno per il Cortile dei Gentili. Ricevute delucidazioni in merito all’incarico, ho provveduto subito a preparare una lettera indirizzata in Vaticano al Cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, per accettare e ringraziarlo della proposta cui è seguita la nomina pontificia. Confesso di avere avuto inizialmente qualche preoccupazione legata al tempo eventualmente richiesto dalla responsabilità, poi dissolte dalla telefonata a Polvani.

Come si propone di contribuire?

Credo di potere contribuire soprattutto preparando i lavori discussi in plenaria, ove tutti i membri saranno chiamati a raccogliere le tematiche ritenute più urgenti e gli stimoli da mettere a fuoco affinché il Pontificio consiglio possa poi lavorare nel merito nel tempo ordinario attraverso i suoi collaboratori stabili. Come fossero tematiche che assurgono da linee guida, discusse tra noi membri in plenaria dopo le relazioni di figure esperte rispetto ai temi scelti e ovviamente condivise in seguito col Santo Padre.

Teme che il nuovo incarico possa modificare la sua attività pastorale?

Direi non più di tanto, nel senso che continuerò ad occuparmi delle responsabilità avute fino ad oggi: in primis quella di vescovo di questa Diocesi, come anche di quella in seno alla CEI o quella di essere il vice presidente della consulta del Cortile dei gentili, in cui lavoro da più di otto anni. Certo, ora vi sarà anche un impegno di carattere vaticano ma, sebbene mi senta alquanto “caricato” di ruoli, questo questo non comporterà particolari modifiche rispetto agli impegni già assunti.

Quali sono, a suo dire, le priorità culturali da affrontare, in questo tempo?

M’interrogherei sulla questione dell’Occidente, la cui parabola storica appare per tanti in discesa: come in declino dal punto di vista economico, e lo è indubbiamente, ma soprattutto da un punto di vista culturale. Vi sono contraddizioni delle quali non ci avvediamo e per le quali non riusciamo a prendre una seria coscienza, magari addossando colpe e responsabilità ad altri blocchi come quella asitatica o africana, giudicandole negativamente per alcuni loro comportamenti e ritenendo i nostri indiscutibili. Probabilmente non siamo mai entrati veramente nel modo di pensare di questi blocchi: non venivano a bussare e quindi è come se per noi “occidentali” andasse bene, nei secoli, ignorarli. Oggi entrano, nei mercati e nelle culture, e noi tendiamo a reputarli pericoli… Invece la nostra sfida culturale deve essere quella di ritrovare e adottare strumenti che consentano di “globalizzare la visione”, così come è “universale”, nel nome e nella vocazione, la chiamata cattolica ad ascoltare tutti le genti di ogni angolo del globo. Quegli “altri” senza i quali non esisterebbe altrimenti nessuna attenzione al cosiddetto “prossimo” di richiamo evangelico.

Mario Agostino

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