Anniversario dell’11 settembre: “La primavera araba, segno di speranza”

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10 anni fa, l’umanità si è fermata di fronte alle immagini degli aerei che si schiantavano contro le due Torri Gemelle di New York. Iniziava allora un nuovo decennio nei rapporti tra Occidente ed Oriente. In molti hanno addirittura profetizzato l’inizio di uno scontro tra civiltà. Ne parliamo con Adnane Mokrani, teologo musulmano docente alla Pontificia Università Gregoriana. A lui, di origine tunisina, chiediamo un bilancio dell’ultimo decennio alla luce dei nuovi avvenimenti nei Paesi arabi.

 Come è cambiata la storia dall’11 settembre 2001?

“Credo che dopo dieci anni dall’attacco terroristico alle Torri Gemelli, finalmente abbiamo avuto una risposta collettiva, generale da parte dei popoli arabi musulmani. E questa risposta si è manifestata nella primavera araba che ha coinvolto i popoli di Tunisia, Libia, Egitto, Siria, Yemen. Con queste rivoluzioni popolari condotte in nome della democrazia e dei diritti umani, il mondo arabo musulmano ha saputo dire di no a quel progetto terroristico di Bin Landen e di Al Qaeda che mirava a creare un conflitto globale e manicheo tra il Bene e il Male, tra l’Occidente e l’Oriente, tra cristianesimo e islam. Quel progetto mirava anche a chiamare i giovani ad aderire a quella ondata di violenza terroristica. E invece i giovani hanno risposto scegliendo una strada totalmente diversa: hanno scelto la strada della lotta pacifica, civile e umana per la democrazia, i diritti umani, la dignità della persona, l’uguaglianza, il lavoro e i diritti sociali che sono valori universali. Rappresentano una base valoriale comune tra i giovani di tutto il mondo”.

 Ma veramente lei crede che il progetto di Bin Laden sia realmente morto?

Sì, secondo me Bin Laden era morto prima di morire perché questa risposta massiccia, pacifica e popolare che ha investito i diversi paesi del mondo arabo in un’area geografica così estesa, è significativa”.

 Eppure in tante parti del mondo arabo orientale il fondamentalismo ancora esiste e il problema in gioco ora è che il potere ora non venga preso in mano dai gruppi fondamentalisti?

“Nella mia analisi vedo un cambiamento epocale. Sarà un processo lungo, lento, con tante difficoltà e sfide ma un passo decisivo è stato compiuto e quindi il cambiamento ora è in atto. Adesso occorre continuare e sviluppare questo percorso intrapreso. Ovviamente ci sono casi difficili come quello del Pakistan dove purtroppo si sono accumulati nella storia errori su errori . Eppure anche in questo caso e nonostante le difficoltà, sono fiducioso che anche in Pakistan ci sono forze islamiche positive che cercano di lavorare per un futuro migliore”.

 Quali sono allora gli errori da non commettere nei paesi arabi?

“Innanzitutto togliere una volta per sempre questa confusione che si fa purtroppo spesso nei mass media tra islam e terrorismo perché questo pregiudizio generalizzato serve paradossalmente ai terroristi. Poi rafforzare e incoraggiare il dialogo a tutti i livelli. Terzo, occorre sviluppare una solidarietà con le società musulmane, con le forze che stanno lavorando per la pace e la democrazia, non abbandonare queste realtà nuove che stanno nascendo, ma cercare di consolidarle per dare segni e messaggi di speranza”.

 Ma secondo lei, il mondo arabo musulmano è maturo per una svolta democratica?

“Si impara camminando. Non si possono pretendere cambiamenti dall’oggi al domani. C’è quindi bisogno di una presa di responsabilità, di un lavoro serio e profondo, di un progetto comune da realizzare con la collaborazione di tutti. Non c’è una maturità assoluta. Ma ci sono principi, valori ed elementi positivi nella fede islamica che permettono la realizzazione di uno Stato democratico ed di una società civile.  Sono contro un certo pessimismo che dice che c’è una contraddizione intrinseca tra islam e democrazia. Questo tipo di pensiero crea un ostacolo esistenziale ed essenziale tra fede e ragione, tra islam e politica mentre abbiamo bisogno di un atteggiamento più moderato e realistico che considera la parte positiva della cultura islamica e cerca di svilupparla”.

 L’Islam europeo può dare un contributo?

“Sì certo. I musulmani europei sono grandi mediatori culturali tra le due sponde de Mediterraneo. Godono di una certa libertà di espressione, di lavoro, di studio e di ricerca e possono adesso soprattutto in questa fase di transizione contribuire con idee e proposte e un dibattito profondo per risolvere i problemi”.

 Come se lo immagina il nuovo decennio che nasce?

“Vedo che questo grande choc che abbiamo vissuto dieci anni fa, se Dio vuole, può essere una chance per il mondo, per rivedere la nostra situazione e progettare un futuro nuovo. Per me la fede è speranza ed essere uomo di fede è credere che la Misericordia divina scenda su questi popoli per condurli verso il cambiamento”.

a cura di Maria Chiara Biagioni (SIR)

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