Economia / Nel nostro paese i cinesi fanno shopping… di titoli scuri come Eni, Enel, Terna.

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L’Italia ha bisogno assoluto di investimenti stranieri. Se gli imprenditori italiani – si spera non a lungo – appaiono assai restii ad intraprendere ed investire, i denari d’oltreconfine servono eccome per creare posti di lavoro e nuova ricchezza. Ma se è vero che il denaro non puzza, come ci insegnavano i Latini, è anche vero che ha un filo rosso che lo lega al luogo da dove proviene.

Fuor di metafora: i cinesi hanno i forzieri statali pieni di soldi. Tramite i loro fondi d’investimento, stanno acquistando in Occidente pacchetti azionari che possano garantire interessanti rendimenti, stante il fatto che i titoli di Stato in dollari ed euro hanno ormai rendimenti minimi. Ebbene: le Borse occidentali offrono interessanti titoli azionari a prezzi di saldo. Fino a pochi mesi fa, le azioni delle banche erano così depresse che non sarebbe stato così difficile diventare azionisti di riferimento addirittura di colossi internazionali.yuanp

Ecco quindi i movimenti di capitali che da est si sono spostati ad ovest. Con una particolarità che interessa l’Italia. Mentre gli acquisti di pacchetti azionari a Wall Street  sono stati fatti con grande discrezione – non è molto difficile nascondersi dietro opportuni paraventi finanziari, o muoversi con passo felpato -, in Italia lo sbarco di denari cinesi è avvenuto in modo opposto. Oltreoceano, in silenzio e a piccoli passi: gli americani sono molto sensibili su questi temi, e vedono con sospetto la presenza del nemico cinese dentro le loro corporations. A Milano, invece, i fondi sovrani cinesi e le compagnie partecipate da Pechino hanno acquistato titoli solidi e sicuri come Eni, Enel, Terna… Aziende che storicamente hanno business rodati, fatturati sicuri, dividendi interessanti; aziende che, tra l’altro, hanno come azionista di riferimento lo Stato italiano.

Ottimo, se non fosse che gli acquisti sono stati fatti superando – magari di pochissimo – la soglia del 2 per cento, oltre la quale si è obbligati per legge a rendere pubblico appunto il possesso di tale pacchetto azionario. Un niente in meno, e si stava belli nascosti. Invece no: la scelta è stata appunto quella di far sapere urbi et orbi che la Cina ci è vicina.

Peccato che la Cina non sia un Paese qualunque, ma la superpotenza che contenderà sempre di più all’Occidente la supremazia mondiale. Con molte meno velleità (rispetto alle nostre) di esportare ovunque democrazia, libertà, uguaglianza, diritti. Anche di importarli, per il vero.

Si dirà: non è un 2 per cento che può far cambiare la collocazione internazionale di un Paese. Certo che no. Comunque ha la capacità di far ponderare con attenzione le proprie scelte. E non lo diciamo in linea teorica: la Germania che ha stretto legami fortissimi con la Russia e il suo metano, è in realtà il Paese più riluttante, oggi, nello spingere verso sanzioni contro Putin e i russi. E ha un atteggiamento decisamente pragmatico con una Cina che sta diventando il suo primo mercato di riferimento per le esportazioni di auto, prodotti meccanici e chimici, tecnologia varia.

E non pensiamo di essere indenni da questo virus. La nostra Pirelli e la società petrolifera Saras dei Moratti, per dire,  hanno importanti azionisti russi nel proprio board; gente a cui lo Stato italiano vorrebbe sforbiciare le unghie in ritorsione a Putin. Chiaro però che i danni “collaterali” potrebbero essere notevoli, dopo simili decisioni. Quei danni che già stanno pagando le grandi realtà ortofrutticole esportatrici in Russia: tutto potevano pensare, ad inizio stagione in primavera – al maltempo, alla grandine, alla concorrenza estera, al prezzo degli antiparassitari – meno che di vedere rovinata la stagione da una guerra a tremila km di distanza dai meleti…

Nicola Salvagnin

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