Energia / I Paesi OPEC verso il declino?

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I Paesi dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, abbreviato OPEC, si avviano verso il declino? Si discute sempre più, in questi anni, di una possibile transizione energetica che renda i Paesi non produttori di petrolio e gas naturale meno dipendenti dal mercato, soprattutto in vista dei picchi dei prezzi dell’energia degli ultimi mesi. L’OPEC è un cartello petrolifero composto da 13 Stati, la maggior parte dei quali provenienti dall’Africa e dalle regioni del Medio Oriente. Il cartello è, al 2021, costituito da: Algeria, Angola, Arabia Saudita, Guinea Equatoriale, Emirati Arabi Uniti, Gabon, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Repubblica del Congo e Venezuela.

Energia / I Paesi OPEC verso il declino? Le origini dell’organizzazione

L’Organizzazione fu fondata nel 1960, ed oggi ha sede a Vienna (Austria). La nascita dell’OPEC può essere intesa come risposta al dominio economico delle Sette Sorelle, termine coniato da Enrico Mattei per indicare alcune multinazionali petrolifere Occidentali, di cui 5 americane, una anglo-olandese e una inglese. Esse si occupavano dell’estrazione, raffinazione ed esportazione della maggior parte del petrolio mondiale, garantendo ai Paesi, in cui avvenivano le prime due fasi, compensi bassissimi. Questo sistema faceva parte dell’imperialismo economico imposto dagli Stati Occidentali, con gli Stati Uniti in testa, verso i Paesi del cosiddetto “Terzo mondo”.

La formazione del cartello è riconducibile ad una volontà di indipendenza da parte di quei Paesi con ampia disponibilità di giacimenti. Tale processo è associabile allo stesso clima che portò alla decolonizzazione in molti paesi del mondo. Ad oggi, i Paesi OPEC, hanno espresso tutto il loro potenziale e monopolizzato il mercato dell’energia. Controllano, infatti, circa l’80% delle riserve mondiali di petrolio e il 50% di gas naturale.

Il potere del cartello

Paesi OPEC petrolioIl cartello è riuscito nel tempo a tenere sotto scacco il mercato mondiale, come dimostrato dalla crisi petrolifera del 1973, che i Paesi arabi scatenarono in risposta del supporto occidentale ad Israele, nell’ambito del conflitto israelo-palestinese. Pochi anni dopo, nel 1979, la rivoluzione Iraniana causò ancora un’altra crisi energetica. Oggi, questi Paesi arabi sono in grado di controllare la produzione e la distribuzione a livello mondiale del petrolio. Sono in grado di abbassare e alzare i prezzi a seconda dell’andamento dell’economia globale.

Tuttavia, tra i 13 Paesi OPEC citati, soltanto l’Arabia Saudita e, soprattutto, gli Emirati Arabi Uniti, sembrano avere conosciuto grandi livelli di sviluppo economico, a seguito delle attività petrolifere. Non si può certo dire lo stesso per i diritti umani, ma è un altro discorso. Città come Dubai o Abu Dhabi, hanno conosciuto profonde trasformazioni, e sono in grado di attirare ogni anno grosse quantità di investitori stranieri. Lo stesso non si può dire di altri Paesi. Sono oggi Paesi altamente instabili Iran, Iraq, Libia e Venezuela, tanto per citarne alcuni.

Non è tutto oro quello che luccica

Dunque avere riserve di petrolio non è poi la risoluzione di tutti i problemi, se manca la stabilità geopolitica del territorio. Il caso eclatante è la Libia, dalle primavere arabe del 2011 sempre più in crisi ed oggi terra di conquista da parte della Turchia e della Russia. Un altro fattore da tenere in considerazione è quello economico. L’economia di questi Paesi deve svilupparsi costruendo una rete di infrastrutture necessarie e ha bisogno di essere diversificata, come sta provando a fare Dubai. La metropoli del lusso sta cercando investimenti nel settore terziario e, in particolare, nel settore immobiliare.

La stessa capacità di poter alzare a proprio piacimento i prezzi del greggio può rivelarsi un’arma a doppio taglio. Tirare troppo la corda potrebbe spingere, sempre più, gli altri Paesi dipendenti a cercare fonti alternative, come effettivamente sta già avvenendo in Europa. Non si può tuttavia parlare di “declino” di tutti i Paesi OPEC, poiché, per ancora molti anni, gli Stati del golfo Persico continueranno a registrare incassi di centinaia di miliardi di euro dalle attività petrolifere.

Energia / I Paesi OPEC verso il declino? Lo strano caso del Venezuela

petrolio energiaIl Venezuela è il Paese con le più grandi riserve petrolifere di tutto il mondo. La BP Statistical Review of World Energy 2020 ha stimato che solo nel Paese del continente Sudamericano ci sia il 17,8% delle riserve petrolifere mondiali, pari a 304 miliardi di barili. È curioso, però, come il Venezuela sia uno degli Stati più poveri al mondo. Probabilmente l’unico vantaggio che trae dalla sua posizione è che il costo della benzina è veramente irrisorio: si parla di 4 centesimi al litro (contro i 2 euro che sono stati raggiunti in tante parti d’Europa). Per il resto, il Venezuela è attualmente un paese allo sbando: la disoccupazione è alle stelle, così come la criminalità, e la popolazione vive appena al di sopra della soglia di povertà.

Questo perché, così come nei paesi medio orientali, la disponibilità di petrolio non garantisce stabilità economica. La ricchezza resta spesso nelle mani di lobby e autorità politiche che, con avidità, tengono tutto per sé o spendono il denaro in modo disastroso. È vero che i paesi occidentali, nel corso della storia, con politiche imperialistiche che talvolta, negli ultimi anni, hanno assunto anche l’accezione di “esportazione di democrazia”, hanno influito negativamente sulla crescita economica di tutti quei Paesi considerati “arretrati”. Ma oggi, è colpa dell’imperialismo se il Venezuela, la nazione più ricca del Sud America, è dal 2013 in forte declino? O forse è colpa di classi politiche dirigenti che, volenti o nolenti, non riescono a distribuire, quantomeno in modo dignitoso, la ricchezza nel proprio Paese?

Michele Garro

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