Giornalismo / L’anima della Sicilia negli articoli di Augusto Ajon

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Augusto Ajon

Se alle nuove generazioni di giornalisti in Sicilia si vuole tramandare anche un’ereditaria missione di memoria identitaria, i contributi dell’indimenticato collega Augusto Ajon risultano particolarmente rilevanti, dato che la maggior parte dei suoi sforzi professionali vennero indirizzati alla questione meridionale. Si tratta di un argomento che il nostro padroneggiava particolarmente bene, impegnato a denunciare ogni tipo di discriminazione economica rivolta non solo alla Sicilia, ma anche a tutto il resto del Mezzogiorno.

Fu probabilmente anche pe questo che sviluppò una certa avversione per buona parte della classe politica del suo tempo, la quale tendeva a sottovalutare il problema o, peggio, volgere il capo verso tutt’altra parte, denunciandone l’imperizia e l’inettitudine: ancora oggi, non a caso, parliamo ancora come allora ad esempio di quanto il Ponte sullo stretto di Messina cambierebbe gli scenari storici del Sud. La nostra Sicilia, tanto amata da Ajon, fu peraltro trattata con estrema accuratezza in molteplici aspetti: dall’economia alla politica, dalla storia alla cultura, il giornalista ne evidenziò non solo i pregi, ma anche i celeberrimi tragici difetti, come la mafia e le sue attività criminose.

Giornalismo / L’anima della Sicilia negli articoli di Augusto Ajon

Si rammenti in questo senso la raccolta “Il permesso di dire”, pubblicata da “Galatea Editrice”, che racchiude molti articoli del giornalista, tra i quali suggeriamo, ad esempio “Il vittimismo del sud” scritto per “Telesud” il 10-6-1969, dove Ajon con proverbiale eleganza, rispondeva alla tesi di Virgilio Titone, professore di storia moderna all’Università di Palermo, il quale sosteneva che l’arretratezza del Mezzogiorno fosse causata dalla testardaggine e dalla pigrizia dei meridionali. Ajon argomentò come la questione fosse decisamente più complessa, irta di ragioni da imputare molto più a governanti che, pressoché scientificamente per tornaconto, avevano scelto di non investire nel Meridione che privilegiando il Nord Italia.

Non lo fece certo per compiacere o per malcelata nostalgia infondata, dato che in un altro articolo intitolato “Parliamone bene”, scritto sempre per la nostra Voce dell’Jonio nel numero datato 29 novembre 1970, rispose, citando lo scrittore Vitaliano Brancati (nella foto) ad una lettrice, la quale che esortava la redazione a parlare bene della Sicilia, che “per parlare bene della propria terra bisogna prima conoscerne gli aspetti peggiori”.

Vitaliano Brancati

Giornalismo / La Sicilia e i siciliani negli articoli di Augusto Ajon

Come questi e tanti altri articoli permettono ancora oggi di evincere, non possiamo che dare lustro a quel ritratto di Augusto Ajon che ne denota un uomo tanto amante della libertà quanto sostenitore della democrazia, contrario al potere accentrato e indiscriminato. Un uomo che amava la coerenza e non ne sopportava la latitanza soprattutto nella classe politica e che merita di essere sempre ricordato per i suoi sforzi nel rendere la nostra Sicilia un posto davvero più emancipato, sviluppato e migliore.

“Se parlo tanto spesso dei Siciliani vuol dire unicamente che essi sono per me il migliore argomento; e se ne parlo con tono scherzoso, vuol dire che l’affetto che mi lega ad essi, è tale che io devo difendere la mia serietà con lo scherzo, Difatti se nel parlar di loro non mi appigliassi in fretta e furia ai loro difetti, difficilmente riuscirei a sostenermi: i miei occhi si riempirebbero di lacrime, e le immagini di una emozione tutta meridionale affollerebbero il mio discorso, il quale andrebbe lentamente a fondo come una barca troppo carica.

E’ buon consiglio, quando si è innamorati, guardare l’ombra che fa il naso di lei sulla guancia destra o sinistra, e la piccola cicatrice che un antico foruncolo ha lasciato sul suo collo perfetto: solo in questo modo, i sentimenti scendono a un grado sopportabile. Io non dirò che sono innamorato del popolo siciliano, ma ne sono senz’alcun dubbio amico, parente e ammiratore in tale misura che, per abbassare questi sentimenti a un grado decoroso, devo continuamente guardare al vestito nero, al passo e strascicato, ai fiori dell’occhiello, ai grossi parapioggia, insomma a tutti i loro piccoli difetti che anch’essi, fra l’altro, mi diventavano amabili tra le mani”, scriveva sulla nostra Voce dell’Jonio nel suddetto numero.

Giornalismo / La Sicilia ed Acireale viste da Augusto Ajon

Il “parlar bene di Acireale” (nella foto), intendeva Ajon, è evidentemente proporzionale al parlare bene della Sicilia e dei siciliani, dei quali Ajon trattava infatti spesso. “E il parlarne bene quando invece è necessario – o almeno si ritiene necessario – il parlarne male non ci lascerebbe tranquilli. Perchè in tal caso sarebbe anzitutto ipocrisia, e quindi un tradimento verso chi si affida al nostro discorso. E poi a noi piace occuparci dei grossi difetti, che decisamente non amiamo, mentre quelli piccoli possono anche apparire addirittura ‘amabili'”, scriveva. L’essenziale, sottolineava, è che si parli in buona fede, il che spesso non avviene, evidenziava Ajon.

acireale

“D’altra parte – tratteggiava noi crediamo nella libertà; e crediamo pure nella democrazia – quella sostanziale, – che è una forma della libertà. Noi crediamo perciò negli uomini liberi – ce ne sono anche ad Acireale – e in coloro che hanno il gusto di sentircisi. Forse si tratta d’un dono, di un grande dono. Beato chi ce l’ha! Parlar bene a tutti i costi non conviene dunque a nessuno. Chi ama la Sicilia, chi ama la propria terra, pensi a individuarne gli aspetti peggiori, e poi disquisisca sulle buone qualità, se ci sono. L’ironia: è scarsamente usata per trattare i poderosi problemi della nostra vita politica.

I siciliani, gli uomini politici siciliani, si contorcono, non sempre sorridendo, quando ne sono oggetto. E’ pur vero che il male di non sopportare l’ironia non è vecchio in Italia (è ancora il Brancati). Ma ci si dovrebbero assuefare – quando si tratta, appunto, di ironia, e non di dileggio o , peggio, di libello – perchè questa è una maniera di argomentare profondamente civile”.

Giornalismo in Sicilia / Quella degenerazione del Natale secondo Augusto Ajon

Fine scrutatore di luci e derive della società acese e dunque più in generale isolana, Ajon si rese più di una volta protagonista di riflessioni non certo popolare e per di più in un certo senso, non poco “scomode” per tanti. Probabilmente forte di un’autentica fede cristiana che non necessitava di orpelli ed mielosi formalismi, non lesinò tramite la sua penna alcune denunce inerenti le stesse derive consumistiche relative ad alcuni riti tradizionali. Emblematico, in questo senso l’articolo intitolato “Difendiamo il presepe”, pubblicato per la rivista “Presenza cristiana” e datato 19 gennaio 1957.

“Come sia stato possibile che il Natale, da poetica liturgia della povertà, sia diventato sfacciata esaltazione del consumo, è mistero antropologico la cui spiegazione razionale soddisfa la mente ma non il cuore. Gli anni ’60 fanno da spartiacque ed il miracolo economico che essi assicurano spazza come vento di tramontana modelli culturali vecchi di secoli. Anche Acireale non sfugge alla Rivoluzione Culturale; e pian piano la “Grotta” (nella foto d’epoca quello storico della Grotta in Santa Maria nella Neve, ndr), il vecchio presepe con i suoi mille anonimi miserabili eroi, si scolora nell’Immaginario collettivo, perde il primato della referenzialità natalizia fino addirittura a scomparire in qualche famiglia piu’ “moderna”, od essere relegato in un oscuro angolino e diventare oggetto obsoleto e fuori moda”, scriveva.

Vecchio Presepe Settecentesco Acireale

“Emergono invece i nuovi modelli di riferimento: Babbo Natale e L’albero di Natale, infatti l’uno con la sua slitta trainata dalle renne, carica di giocattoli e doni, l’altro, abete luccicante di palle colorate e multiforme, non sono soltanto prodotti di importazione ed il risultato di una suadente colonizzazione culturale, ,a sopratutto l’espressione di una societa’ opulenta ed edonista. Essi rappresentano i simboli della trasformazione ormai avvenuta: Il Natale e’ diventata la festa del regalo a tutti i costi, dell’effimero e del consumismo”, leggiamo.

Giornalismo in Sicilia / I tratti profetici degli articoli di Augusto Ajon

Se si pensa che queste parole furono scritte da Ajon negli anni ’50, quando il processo di “modernizzazione” della festivita’ natalizia era appena agli inizi, non è difficile cogliere anche una certa portata profetica dei suoi tratteggi giornalistici. Vale la pena riflettere ancora oggi sulla sua conclusione:

”Noi siciliani – certa borghesia snobista, soprattutto, non il proletariato, che bene o male, custodisce, fra le tante, la tradizione dell’opera dei pupi – subiamo stranamente il fascino di tutto estraneo al nostro patrimonio folkloristico, ci proviene dal nord. Siamo pronti assai spesso a rinunziare a quando ci appartiene pur di far posto ad usi di cui, talvolta nemmeno apprezziamo il significato. Sia detto chiaramente che l’albero di natale non rientra nel folklore e nella civilta’ siciliana. Cio’ non soltanto perche’ si tratta di una tradizione nordica e pagana, ma perche’ noi abbiamo gia’ una tradizione: quella del presepe. L’albero di Natale non rientra nel nostro folklore, non dice nulla a noi, al nostro popolo, ai nostri bambini. Solo, ci sarebbe da constatare come un oggetto per noi insignificante, si stia facendo strada”.

Per il bene della nostra terra, con le sue necessarie implicazioni deontologiche in materia giornalistica, ma anche e soprattutto nel tentativo di orientare la nostra quotidianità secondo autentico spirito critico e rispetto per il più profondo senso di certe nobilissime tradizioni autentiche, faremmo bene a immortalare queste riflessioni di Augusto Ajon, onorandone tanto la dimestichezza professionale quanto la rara caratura etico-morale votata all’amore per Acireale e la Sicilia tutta.

Mario Agostino

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