Immigrazione / I perché dei migranti in fuga dalla Tunisia all’Italia

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La crisi economica attuale sta mettendo in fuga migliaia di migranti dalla Tunisia, disegnando una nuova ondata d’immigrazione verso l’Italia. Dopo una storia migratoria fatta di tre grandi fasi, il flusso corrente potrebbe determinare una risalita di posizione per quella che oggi è la tredicesima comunità extra europea per numerosità nel nostro Paese.

Immigrazione / La fuga dei migranti dalla Tunisia all’Italia in tre tempi 

La densità dei flussi migratori dalla Tunisia al Bel Paese ha definito una storia in tre tempi. La prima di queste fasi risale alla fine degli anni Sessanta. Tra il 1962 e il 1963, il Consiglio Nazionale del Neo-Dustur (partito politico tunisino di ideologia nazionalista) proclamò l’adozione del socialismo e del regime a partito unico. Ma l’esperimento socialista, e il conseguente avvicinamento del Paese africano ai regimi totalitari dell’Europa dell’Est, si rivelò essere un gravoso fallimento. Questo insuccesso aprì le porte ad una timida ripresa economica e all’emigrazione tunisina.

A partire dal 1968, infatti, i primi migranti tunisini approdarono in Italia in cerca di nuove opportunità di vita e migliori prospettive professionali. Iniziò così a crearsi una delle prime collettività straniere in Italia. La zona maggiormente interessata, in questo primo periodo, fu la Sicilia. Provenienti principalmente dalle zone costiere del Paese africano (Chebba, Mahdia e Sfax), i migranti tunisini si dirigevano soprattutto nella zona del trapanese. All’epoca, lo Stato italiano non disponeva di un regolare sistema di visti, mancanza che facilitava l’ingresso dei cittadini tunisini nel nostro territorio. Ad attrarli, soprattutto la crescente domanda di manodopera straniera nel settore agro-ittico. Ambito che, ancora oggi, offre impiego al maggior numero di membri della comunità.

La fuga dei migranti dalla Tunisia all’Italia in tre tempi islamismo migranti tunisia italia

La seconda ondata si verificò tra gli anni Ottanta e Novanta, in concomitanza con la crisi petrolifera. Che, inevitabilmente, coinvolse anche la Tunisia. Già nel decennio precedente la situazione sociale e politica non era stata del tutto pacifica. Crisi delle università, scontro tra governo e sindacato tunisino, crisi del sistema politico. Tutte circostanze che favorirono l’avanzata di un islamismo estremista, il quale portò il Paese a sfiorare la guerra civile. Tra il 1983 e il 1984 le rivolte del pane provocarono 70 morti. E, nel 1986, una grave crisi finanziaria si abbatté sullo Stato.

Nel frattempo, in Europa l’immigrazione iniziava ad essere regolamentata. Tra i provvedimenti adottati nel nostro Paese, la Legge Martelli modificava il decreto legge 30 dicembre 1989. Proposta dal socialista Claudio Martelli e firmata da Francesco Cossiga, la Legge n.39/1990 aboliva la riserva geografica alla Convenzione di Ginevra del 1951. Nello specifico, la norma si proponeva di regolamentare organicamente l’immigrazione. Ridefinire lo status di rifugiato. Introdurre la programmazione dei flussi dall’estero. Precisare le modalità di ingresso e respingimento alla frontiera e il soggiorno in Italia.

Negli anni 2000 una terza ondata migratoria produsse un raddoppiamento della comunità tunisina d’Italia. In quel periodo, il parziale processo di democratizzazione promosso dal presidente Zine el-Abidine Ben Ali, subì alcune battute d’arresto. Tra l’intensificazione della repressione agli oppositori politici e una grave crisi sociale, legata alla disoccupazione, le uscite dalla Tunisia si rafforzarono. A questa impennata contribuirono soprattutto gli accordi bilaterali stipulati tra Italia e Tunisia. Difatti, questi ultimi furono firmati al duplice scopo di limitare i rischi dell’immigrazione irregolare e promuovere quella regolare.

Immigrazione / L’odierna fuga dei migranti dalla Tunisia all’Italia

La Tunisia è attualmente soffocata da una grave crisi economica. Acuitasi già nel 2015, inizialmente la recessione è stata il prodotto della combinazione specifica di tre fattori. Il primo è il crollo dello Stato dirigista autoritario di Ben Ali. Quindi la conseguente crescita dell’inflazione (oggi al 9.40% circa). Poi l’implementazione di politiche economiche di austerità richieste dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) in cambio di un prestito di 1,9 miliardi di dollari. Che però, ancora, non parte.

kais saied crisi tunisiaNegli ultimi mesi, si è assistito al deterioramento di una crisi già pienamente in atto su più fronti. Sul piano socioeconomico e della stabilità finanziaria, il presidente della Repubblica Kaïs Saïed si è rifiutato di sottoscrivere l’accordo negoziato dal suo governo con il FMI per il prestito. Secondo lui, l’accordo non è altro che un inaccettabile diktat sulla politica interna del suo Paese. Poiché prevede il condizionamento dell’erogazione del denaro all’attuazione di un piano di riforme.

Nel frattempo, il ministro dell’economia tunisino Samir Saied si augura di trovare al più presto un punto d’incontro con il FMI. Per lui, un accordo è necessario per avere i mezzi per attuare il piano di sviluppo. Ad accompagnare questo profilo, la crisi dello Stato di diritto e delle libertà civili e politiche. A cui si ricollega l’arresto di Rached Ghannouchi, leader del partito islamista di opposizione Ennahda.

L’odierna fuga dei migranti dalla Tunisia all’Italia

Le problematiche sempre crescenti hanno rafforzato l’interdipendenza tra il piano della politica interna e quello delle relazioni internazionali del Paese africano. Da una parte la difficile congiuntura economica che passa per la necessità di sbloccare l’accordo con il FMI. Dall’altra, il conseguente aumento dei flussi migratori dalla Tunisia hanno spinto i vertici della diplomazia occidentale a premere per l’erogazione del prestito. L’obiettivo è la stabilizzazione del Paese, in modo da controllare anche le forti emigrazioni che ne derivano. E la cui maggior parte è indirizzata verso coste italiane.

La Tunisia è infatti la principale rotta di transito verso l’Italia. Il punto di unione tra il flusso degli emigrati tunisini e quello proveniente dall’Africa sub-sahariana. La scelta del punto di partenza per le migrazioni ricade su questa opzione per due motivi. Innanzitutto il clima mite. In secondo luogo, si tratterebbe di una valida alternativa alla Libia, maggiormente equipaggiata dall’Italia di fondi e di attrezzature per il respingimento. I dati delle Nazioni Unite, aggiornati all’aprile 2023, indicano che dall’inizio dell’anno circa 24 mila migranti e rifugiati imbarcati per l’Italia via Mediterraneo (il 57% del totale) sono partiti dalla Tunisia.  

Immigrazione / Un antico scambio tra la Sicilia e la Tunisia festival cous cous sicilia

La Sicilia ha contribuito fortemente all’accoglienza della gran parte di tunisini approdati in Italia. D’altra parte, un’importante componente dei flussi in uscita dal nostro Paese verso la Tunisia è stata siciliana. Infatti, quasi il 60% delle emigrazioni verificatesi tra il 1876 e il 1925 verso il Paese africano, hanno avuto origine dall’isola più grande d’Italia. In particolare, da Trapani e Palermo. Tanto da ricreare il quartiere della Piccola Sicilia a Tunisi e in altre località.

Dopo un po’ di tempo, si è verificato un vero e proprio scambio di migranti. Non a caso, stando ai dati del 2022, oggi un tunisino regolarmente soggiornante in Italia su quattro vive nel Meridione. La comunità è infatti caratterizzata da una forte concentrazione in Sicilia. E ad offrire un particolare contributo all’elevata percentuale di cittadini tunisini in questa regione, è Mazara del Vallo. Questa località ha ospitato il più antico nucleo di immigranti tunisini di tutto il territorio italiano.

Bisogna comunque ricordarsi della prossimità geografica tra la Sicilia e la Tunisia, che definisce un’inevitabile vicinanza culturale. Se, da una parte, i tunisini sono attratti dalle nostre danze, musica, letteratura, cibo e cinema, dall’altra si percepisce una reciproca ammirazione. Tanto che, a confermare queste compatibilità, la Sicilia festeggia annualmente il Festival del Cous Cous. L’evento, che si svolge a San Vito Lo Capo, rappresenta così un punto d’incontro di mondi diversi, ma non così distanti.

Roberta Lazzaro

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