Intervista / Il puparo Pulvirenti: “Le recite una forte emozione”

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Un’arte antica che viene dalla Spagna

L’Opera dei Pupi, che mette in scena le principali gesta degli eroi medievali che lottarono per la difesa della cristianità contro i saraceni, è un’arte antica, che affonda le sue radici nella Spagna del ’500. La sua diffusione, nei piccoli teatri o nelle pubbliche piazze della nostra Sicilia, avviene tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800. Sullo sfondo delle vicende, interpretate dai vari protagonisti come Carlo Magno, Orlando, Rinaldo, Angelica e Gano di Maganza, venivano trattati anche argomenti dal profondo valore morale e trasmessi stili e comportamenti molto cari al popolo siciliano, quali la priorità della fede, la giustizia, la libertà, il senso dell’onore e sentimenti quali l’amore, l’odio, la vendetta.

Nasce nel 1887 l’Opera dei pupi ad Acireale

Con il passare del tempo, questa importante forma di spettacolo arrivò anche nel nostro territorio. Nel 1887, il puparo acese don Mariano Pennisi, diede vita ad un teatro dell’Opera dei Pupi ad Acireale, in via Tono, poi trasferito nell’attuale via Alessi. Don Mariano nella realizzazione dei pupi, seguì un gusto molto personale, introducendo tecniche e dimensioni diverse rispetto a quelle delle scuole palermitana e catanese. Nel 1934 il testimone passò al figlio adottivo Emanuele Macrì, il quale portò l’Opera dei Pupi in giro per il mondo riscuotendo enormi successi. Don Emanuele, ridestò entusiasmo anche nei tanti spettatori acesi, che puntualmente accorrevano per farsi narrare le imprese di Carlo Magno e dei suoi valorosi paladini. Grazie alla sua bravura e talento molti furono i giovani della nostra città che crebbero alla sua scuola. Alcuni di loro, ancora oggi, con amore e dedizione, malgrado il passare degli anni, sono impegnati a mantenere viva l’antica tradizione pupara acese.

Salvatore Pulvirenti allievo di Emanuele Macrì

Tra questi un posto particolare occupa il maestro Salvatore Pulvirenti. La sua particolare passione per il teatro dei pupi, che conobbe fin da bambino, lo porterà ad entrare a far parte di questo affascinante mondo diventando allievo del Macrì. Nato e cresciuto ad Aci Platani, oltre alla realizzazione di molti spettacoli, da sempre si è dedicato all’antica arte della costruzione dei Pupi siciliani da teatro e da esposizione, che realizza nel suo laboratorio artigianale. Tanti sono i riconoscimenti e i premi che gli sono stati attribuiti nel tempo, tra questi ricordiamo: il Premio Cav. Isidoro Platania, ricevuto dal Comune di Aci Catena nel 2006; il Premio “Platanesi illustri” 2008; il Premio Aci e Galatea 2014 ed infine nel 2018 gli viene conferito il Premio “Sant’Alfio Fonte di Pace” quale onorificenza per aver custodito e tramandato, attraverso la bellezza delle sue opere di elevato valore artistico, un’arte riconosciuta dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.

Siamo andati a trovarlo e, con la semplicità e la disponibilità che lo hanno sempre contraddistinto, si è lasciato intervistare rispondendo con sincerità e schiettezza alle nostre domande.

Maestro Pulvirenti, cosa lo ha portato, fin da bambino, ad occuparsi di questo affascinante mondo dell’Opera dei pupi?

La passione per l’Opera dei Pupi, che racconta le gesta di tanti personaggi medievali, mi ha accompagnato da sempre. Ma ciò che ha segnato la mia vita è stato l’incontro con Emanuele Macrì avvenuto nel 1969. Stare con lui mi ha formato sotto l’aspetto teatrale: ho imparato a manovrare i pupi e l’arte di dare voce ai diversi protagonisti in scena. La mia passione era anche quella di realizzare i pupi, seguendo la mia aspirazione di poter diffondere e tramandare questa antica tradizione. Quindi nel 1976 sono entrato a far parte della bottega artigianale del maestro Angelo Cordella, che operava a Milano, ma di origini siciliane essendo nato e cresciuto a Caltagirone. Alla sua scuola ho avuto la possibilità di acquisire metodi e tecniche della costruzione dei Pupi secondo la tradizione palermitana e catanese, anche se la scuola acese conserva caratteristiche costruttive proprie e diverse rispetto alle altre scuole siciliane

Nel 1978, ha partecipato come costumista, al film “Turi e i Paladini” realizzato in memoria del maestro Emanuele Macrì, scomparso nel 1974. Cosa ricorda di questa esperienza?

E’ stata una esperienza interessante. Ho realizzato diversi costumi e le armature che hanno impreziosito il film diretto dal regista Angelo D’Alessandro. Un impegno che mi ha occupato del tempo, ma che mi ha anche dato la possibilità di crescere artisticamente.

La sua abilità nel costruire un pupo siciliano è ormai nota a tutti. Molti sono stati i riconoscimenti che le sono stati attribuiti nel tempo per sottolineare questa sua particolare bravura. Può dirci quali sono le principali tecniche che utilizza nella realizzazione dei suoi pupi?

La struttura del Pupo è costituita da tre elementi: legno, metallo e stoffa. Posso dire che io costruisco il pupo artigianalmente in tutta la sua interezza. La parte più difficile e delicata da realizzare è la testa, alla quale cerco di dare un’impronta personale. Successivamente, attraverso l’utilizzo dei colori, cerco di dare espressività ai voti secondo le caratteristiche dei diversi personaggi. Il viso deve avere i caratteri e la bellezza quasi di una bambola, altrimenti non è un pupo siciliano. Nella preparazione dei pupi, soprattutto di quelli che svolgono il ruolo di protagonisti, è importante curare la parte ornamentale delle armature, realizzate quasi sempre in rame che scolpisco a mano. Alla fine mi dedico ai vestiti, mantelli e gonnelline, realizzati con stoffe sempre più belle e preziose.

Sappiamo che negli anni è stato coinvolto in tante iniziative culturali che lo hanno portato in giro nelle scuole del nostro territorio e in alcuni paesi dell’Europa. Qual è l’esperienza che lo ha arricchito in maniera particolare?

Devo dire che tutte le esperienze fatte nei tanti anni di lavoro mi hanno arricchito e migliorato. Tuttavia l’esperienza che considero più significativa è quella fatta nel mondo della scuola. Negli anni, attraverso i PON finanziati dalla Comunità Europea, ho avuto la possibilità di portare, nelle scuole di ogni ordine e grado del nostro territorio, l’antica arte di costruire i pupi siciliani e far conoscere a tanti ragazzi e giovani le avventure, i combattimenti, gli amori e le passioni dei paladini di Francia. Sono state esperienze che mi hanno coinvolto emotivamente. La reazione degli studenti è stata sempre di entusiasmo e sorpresa: cimentarsi nella costruzione di un pupo siciliano, scoprire come vengono manovrati, conoscere i diversi effetti sonori che accompagnano le scene dello spettacolo è stata per ciascuno di loro un’esperienza unica ed irripetibile.
Nel febbraio del 2007, grazie alla Provincia Regionale di Catania, con l’Associazione “I Paladni” ho partecipato al Gran Tour “Dalle Dolomiti all’Etna” mettendo in scena, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Budapest, “La morte di Orlando a Ronsisvalle”. Successivamente, in occasione della “Settimana della lingua italiana nel mondo”, evento culturale internazionale che si svolge ogni anno ad ottobre, lo stesso spettacolo è stato presentato presso il Teatro Universitario Uni-Dufour Salle Piaget di Ginevra (Svizzera). Due intense esperienze che mi hanno dato la possibilità di intuire quanto questa antica forma di spettacolo, tutta siciliana, sia apprezzata all’estero.

 A partire dagli anni settanta, con l’affermazione di nuove forme di intrattenimento, quali il cinema e la televisione, l’interesse del pubblico venne sempre meno e l’Opera dei Pupi ha subito una profonda crisi. Secondo lei, questa forma di arte quale futuro può avere, in questo nostro mondo in continua trasformazione?

 E’ vero! A partire degli anni settanta, con l’avvento del cinema e della televisione, l’interesse del pubblico si è affievolito e l’Opera dei Pupi ha subito una profonda crisi. All’inizio di questo nuovo millennio la crisi si è fatta più acuta è questo immenso patrimonio culturale fatto di copioni, scene e antiche storie che si tramandano di generazione in generazione rischia di scomparire per sempre. Oggi, infatti, gli spettacoli vengono realizzati solamente all’interno di appositi teatri e sono rivolti prevalentemente alle scolaresche e ai turisti.
Quello che è mancato in questi anni è un vera programmazione. Ad Acireale, come anche alle Ciminiere di Catania, sono stati spesi parecchi soldi per restaurare e rendere efficienti i teatri dell’Opera dei Pupi, ma sono rimasti puntualmente vuoti. Si auspica che, passato questo periodo di pandemia, le istituzioni, in sinergia con le diverse compagnie presenti nel territorio, possano essere capaci, attraverso una vera progettazione, di rilanciare questa forma d’arte che rappresenta, ancora oggi, un importante simbolo isolano, capace di affascinare ed emozionare tutti coloro che vogliono immergersi nel folclore siciliano.

Giovanni Centamore

   

 

 

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