L’attesa in El Salvador / Mons. Morao: “Romero beato spinga i salvadoregni alla riconciliazione”

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Murales con mons. Oscar Romero, prossimo beato
Monsignor Luigi Morao, di origini trevigiane, sarà fra i vescovi concelebranti: “Il pensiero e l’opera di mons. Romero sono validi oggi come lo erano 35 anni fa: no alla violenza; no all’ingiustizia; no all’abuso di autorità; sì al rispetto della dignità umana, per umile che sia una persona; sì alla solidarietà con i più bisognosi; sì alla difesa dei più ‘calpestati’ dalla società”. 
Murales con mons. Oscar Romero, prossimo beato
Murales con mons. Oscar Romero, prossimo beato

Sono attese circa 250 mila persone il prossimo 23 maggio a San Salvador al rito di beatificazione di monsignor Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo della capitale salvadoregna assassinato nel 1980 dagli “squadroni della morte” del regime mentre celebrava l’eucaristia. Hanno già annunciato la propria presenza nove capi di Stato latinoamericani, cinque cardinali, quindici arcivescovi e sessanta vescovi. Tra questi, a concelebrare, ci sarà anche un vescovo italiano, di origini trevigiane: monsignor Luigi Morao, francescano conventuale e vescovo di Chalatelango, cittadina che si trova nel nord del piccolo Paese centroamericano, vasto poco più del Veneto.

Mons. Morao, in che modo è venuto a contatto nella sua azione missionaria e pastorale con la figura di mons. Romero?

“Quando lo uccisero, il 24 marzo 1980, io ero missionario nelle Filippine. Nell’85 i superiori francescani mi trasferirono in Guatemala e, alcuni anni dopo, a San Miguel, nell’El Salvador, e precisamente nell’oratorio San Giuseppe, parrocchia fondata molti anni prima dai francescani veneti grazie all’intervento dell’allora don Oscar Romero, parroco a San Miguel. I miei 10 anni a S. Giuseppe, oltre ad essere una straordinaria esperienza di evangelizzazione, promossa da un docile, ben formato e convinto Rinnovamento carismatico cattolico, furono anche 10 anni di contatti e conoscenze con antichi parrocchiani ed amici dell’allora don Oscar Romero. Tutti, all’unisono, mi davano testimonianze dello zelo pastorale del giovane sacerdote”.

Come è stata accolta nell’El Salvador la notizia della beatificazione? “Con immensa gioia e con molta speranza. Con immensa gioia perché si compie in mons. Romero la parola di Gesù: ‘Beati quelli che lavorano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio’ (Mt 5,9). E in questo paese, unico nel mondo, che porta il nome del Salvatore del mondo, c’e troppo bisogno di pace. Non esagero, troppo bisogno di pace. La beatificazione, pur essendo un fatto ecclesiale, ha attirato l’attenzione di giovani e di adulti; è stata oggetto di commento sia da parte degli intellettuali che da parte della gente semplice, umile e analfabeta. Nelle grandi cattedrali, nelle chiesine di montagna, nelle reti o mezzi di comunicazione sociali, nelle piazze delle città e paesi, nei centri commerciali, nei centri di studio, ma soprattutto nel cuore dei salvadoregni, questa notizia è stata accolta come un balsamo che lenisce le pene di questo popolo così martirizzato dalla violenza”.
All’epoca la figura di Romero fu nel Paese segno di profezia e contraddizione. È ancora così?
“L’aspettativa del popolo salvadoregno per la beatificazione, nella stragrande maggioranza è davvero enorme. Ma sempre ci sono eccezioni, sempre c’è qualche ‘bastian contrario’. C’è chi, proveniente dalla destra, ha inopportunamente affermato che mons. Romero è stato un sovversivo, un guerrigliero, che avrebbe appoggiato la violenta ideologia di sinistra. Queste false accuse in parte si devono al fatto che alcuni sacerdoti, notoriamente di sinistra, crearono confusione tra la gente appendendo sulle pareti di conventi, canoniche ed altri edifici l’immagine del Che Guevara assieme all’immagine di mons. Romero”.
E lei personalmente come ha accolto questa notizia?
“Come cristiano e come religioso, per me è stata una bellissima notizia, perché il pensiero e l’opera di mons. Romero sono validi oggi come lo erano 35 anni fa: no alla violenza; no all’ingiustizia; no all’abuso di autorità; sì al rispetto della dignità umana, per umile che sia una persona; sì alla solidarietà con i più bisognosi; sì alla difesa dei più ‘calpestati’ dalla società”.
Cosa potrà portare questo evento alla Chiesa e alla società del vostro Paese?
“Qui le cose si complicano; è difficile dare una risposta. Dio non fa miracoli per spettacolo. Quando i farisei chiedevano dei miracoli a Gesù, lui rispondeva: ‘Gente testarda e dura di cuore’. Mons. Romero, uomo di Dio e martire, dal cielo può intercedere per noi, certamente! Però ci vuole un impegno serio e costante da parte nostra, cominciare un processo di conversione personale. Per conto mio, chiedo che, per intercessione di mons. Romero, il Signore ci conceda che i politici siano meno corrotti e più preoccupati per il benessere del popolo che li ha eletti; o che i teppisti, – las maras salvadoreñas – gruppi giovanili numerosissimi, organizzatissimi, spietati con i loro avversari e anche con i civili innocenti ed inermi, e muniti di armi sofisticate, possano calmare la sete di sangue e di violenza che li distingue già da molti anni. La situazione è peggiorata in questi ultimi tempi. In vari luoghi, controllati da questi giovani, la Polizia non si arrischia più a entrare. Fino a circa due anni fa, su poco più di sei milioni di abitanti, El Salvador soffriva per 13 o 14 omicidi al giorno. Oggi sono 16 e a volte 18. Alcune settimane fa ci sono stati 31 assassinati in un solo giorno. Voglia Dio che la vicina beatificazione di mons. Romero spinga a tutti i salvadoregni a un autentico processo di riconciliazione nazionale”.

Bruno Desidera

(Fonte: AgenSir)

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